Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 44332 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 44332 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a PALERMO il 15/09/1973
avverso la sentenza del 15/02/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; ricorso
letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per l’inammissibilità
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia con la quale il 1 luglio 2022 il Tribunale di Termini Innerese aveva dichiarato NOME COGNOME responsabile del reato di cui all’art. 624 cod. pen. perché, in qualità di locatario di due immobili ubicati in Bagheria, INDIRIZZO in assenza di regolare contratto per la fornitura di energia elettrica, si era impossessato di una quantità di energia elettrica non determinabile al fine di alimentare i citati immobili e trarne profitto, sottraendola ai coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME. Fatto commesso in Bagheria fino al 9 dicembre 2015.
2. NOME COGNOME propone ricorso avverso tale decisione deducendo, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 624, comma 3, cod. pen. in combinato disposto con gli artt. 336 e 337 cod. proc. pen. Il difensore ritiene che erroneamente il giudice di merito abbia ritenuto valida la querela sporta da NOME COGNOME nonostante l’intestataria del contatore sia COGNOME NOME, suocera della querelante. Il proprietario del contatore, si assume, deve essere necessariamente individuato nel distributore di energia elettrica e il possessore dell’energia elettrica deve essere necessariamente identificato nell’intestatario del contratto di fornitura. Non avendo i coniugi COGNOME–COGNOME effettuato la voltura del contatore a loro favore, non erano legittimati a presentare querela, tanto più che quest’ultima è stata sottoscritta solo da NOME COGNOME
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione e travisamento della prova in relazione all’art. 624 cod. pen. in quanto la prova della sua responsabilità si fonda esclusivamente sulle dichiarazioni della parte civile, senza alcuna verifica della loro attendibilità. Inoltre, la ricostruzione dei fatti riporta in sentenza travisa il fatto che la COGNOME, in fase di indagine, aveva sospettato la sottrazione dell’energia sulla base degli incongruenti ed elevati importi delle bollette Enel, mentre nella querela aveva fatto riferimento anche al black-out contemporaneo del suo immobile e degli immobili di proprietà del Cilia; inoltre, la COGNOME non ha fatto riferimento alla reale intestataria del contratto di fornitura, alla quale presumibilmente venivano indirizzate le bollette. Quale riscontro esterno, a fronte dell’ammissione da parte dell’imputato circa l’allaccio abusivo, non vi sono accertamenti sullo stato dei luoghi e le immagini del contatore Enel realizzate dagli ufficiali di polizia giudiziaria sono risultate indisponibili nel server. La sentenza è affetta da vizio motivazionale laddove, essendo il bene asseritamente sottratto una cosa mobile con un valore
economico, non è stato accertato se l’imputato abbia tratto profitto da tale allaccio.
Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 131 bis cod. pen. Secondo la difesa, il giudice dell’impugnazione non ha fornito adeguata motivazione a sostegno del diniego dell’art. 131 bis cod. pen. in quanto si è limitato a fare riferimento all’offensività della condotta, consistita nel furto ai danni dei vicini, e alla gravità dei fatti avvalorata d precedenti penali, ossia a elementi che non tengono conto della mancanza di prova dell’entità del danno subito dalle persone offese né della quantità di energia elettrica sottratta e che, facendo riferimento alla capacità a delinquere’ non possono essere assunti a fondamento del giudizio ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen.
Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione ini relazione all’art. 62 bis cod. pen. Il giudice ha negato le circostanze attenuanti generiche facendo riferimento alla personalità dell’imputato, emergente dai precedenti penali, e all’assenza di elementi positivamente valutabili, ma tale motivazione è contraddittoria in quanto non tiene conto del comportamento del COGNOME, che ha ammesso l’allaccio abusivo, e fa un mero richiamo ai precedenti penali dell’imputato.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto si risolve nella pedissequa reiterazione di analoga doglianza dedotta in appello e puntualmente disattesa dalla corte di merito, dovendosi tale motivo considerare non specifico ma soltanto apparente, in quanto omette di assolvere alla tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso.
Occorre muovere da Sez. U COGNOME (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, Rv. 255975 – 01), che ha affermato il seguente principio: «Il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti re personali o di godimento, ma anche nel possesso – inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità – che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta
la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela». In base a tale principio, correttamente già richiamato nella sentenza impugnata, non vi è dubbio in merito alla legittimazione di NOME COGNOME a sporgere la querela e la relativa censura risulta meramente reiterativa di un motivo di appello già congruamente rigettato dal giudice di merito.
Risulta pacifico nel caso in esame che l’abitazione fornita di energia elettrica con il contatore al quale è stato abusivamente allacciato altro cavo elettrico era abitata da COGNOME NOME e COGNOME NOME, da considerarsi, indipendentemente dall’intestazione del contratto di fornitura e del relativo contatore, soggetti passivi del reato, in quanto tali legittimati a proporre querela. Il giudice di appello ha già, peraltro, replicato all’ulteriore profilo di censur inerente all’assenza di querela di NOME COGNOME richiamando l’art. 122 cod. pen., a mente del quale «il reato commesso in danno di più persone è punibile anche se la querela è proposta da una soltanto di esse».
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
E’ pacifico in giurisprudenza che le dichiarazioni del soggetto passivo del reato che si sia costituito parte civile possono essere legittimamente poste da sole a fondamento della responsabilità dell’imputato, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., purchè il narrato sia soggetto ad un più rigoroso controllo di attendibilità, opportunamente corroborato dall’indicazione di altri elementi di riscontro (Sez. 4, n. 410 del 09/11/2021, dep. 2022, Aramu, Rv. 282558 – 01; Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, COGNOME, Rv. 279070 – 01; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312 – 01). Nel caso esame, secondo quanto espresso dalle conformi sentenze di merito, dall’annotazione di polizia giudiziaria del 9 dicembre 2015, acquisita su istanza dell’appellante ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., è emersa l’oggettiva constatazione che nella presa collegata al contatore della querelante vi erano due cavi elettrici, uno di colore blu ed uno di colore nero, inseriti nella doppia spina e riconducibili al contatore di pertinenza dell’appartamento del piano secondo di proprietà del Cilia, dovendosi per ciò solo ritenere che il giudizio di responsabilità si sia fondato, non solo sulle dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile, ma anche su un solido elemento di riscontro rispetto al quale la censura omette un serio confronto.
Il profilo di censura che allega l’assenza di prova che il ricorrente abbia tratto profitto dall’allaccio abusivo trascura che il legislatore ha strutturato reato di furto configurando il profitto quale componente dell’elemento soggettive in termini di dolo specifico, onde per la consumazione del reato non rileva il
mancato conseguimento del profitto, essendo sufficiente che tale fosse l’obiettivo dell’agente.
Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Il giudice di primo grado aveva già rigettato l’istanza di applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. in considerazione delle modalità della condotta e della sussistenza di più pregiudizi penali in capo al ricorrente. Il giudice di appello ha confermato tale valutazione. Sebbene sia condivisibile la censura mossa nel ricorso nel senso che non possono valutarsi come ostativi i precedenti penali, in quanto l’art. 131 bis cod. pen. richiama il solo primo comma dell’art. 133 cod. pen., deve rilevarsi tuttavia l’infondatezza del dedotto vizio di motivazione. La Corte territoriale ha, infatti, valorizzato una specifica caratteristica indicativa di gravità della condotta, consistente nel fatto che l’imputato ha perpetrato un furto al danno dei vicini di casa. Tale motivazione sostiene adeguatamente la pronuncia negativa.
Il quarto motivo è manifestamente infondato. Non spetta al giudice di legittimità sindacare la valutazione discrezionale rimessa, sul punto del trattamento sanzionatorio, al giudice di merito qualora essa non si risolva in arbitrio o in difetto di motivazione. Nel provvedimento impugnato è, a tale proposito, presente congrua motivazione alle pagg. 3-4 e precisamente: si è richiamato il comportamento processuale dell’imputato che, pur avendo ammesso l’allaccio abusivo, ha sostenuto di aver ricevuto il consenso dallo zio della persona offesa (che ha negato la circostanza); si è espressamente escluso che il quantitativo di energia elettrica sottratta possa escludere o attenuare la responsabilità dell’autore del furto; si sono infine richiamati i precedenti penali del COGNOME.
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende.
Così deciso il 12 novembre 2024 sigliere estensore
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