Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 16013 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 16013 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BRESCIA nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a SALO’ il 03/09/1970
avverso la sentenza del 15/07/2024 del TRIBUNALE di BRESCIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Sostituto Procuratore Generale COGNOME
che ha concluso riportandosi alla requisitoria in atti e chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore, l’avv. COGNOME del foro di ROMA, che si riporta alla memoria in atti e insiste per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Brescia ha, tra l’altro, dichiarato non doversi procedere per mancanza di querela nei confronti di NOME COGNOME accusato del reato di furto di avifauna (sette esemplari complessivi, appartenenti alle specie “Pettirosso”, “Capinera” e “Tordo bottaccio”), contestatogli al capo A dell’imputazione. L’imputato è stato condannato, invece, per le altre due fattispecie di reato contenute nell’imputazione, vale a dire la ricettazione di ulteriore avifauna sottratta (decine di esemplari morti, trovati in suo possesso), in parte ricompresa in specie non cacciabili, ed il reato di maltrattamento di animali previsto dall’art. 544-ter cod. pen.
Il Tribunale, quanto al delitto di furto, ha ritenuto di non poter configurar come contestata “in fatto” la circostanza aggravante dell’essere, l’avifauna sottratta, una cosa “destinata a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza” – aggravante che, anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 15 ottobre 2022, n. 150, consente la procedibilità d’ufficio del delitto di furto – poiché un simile attribuzione rientrerebbe nel novero delle circostanze aggravanti di natura valutativa, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite.
In tale ottica, neppure si è ritenuta sufficiente l’indicazione, contenuta nell’imputazione, che gli uccelli oggetto della condotta fossero beni costituenti “patrimonio indisponibile dello Stato”, nozione non equivalente al concetto di cosa “destinata a pubblico servizio o a pubblica utilità”.
Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per saltum il pubblico ministero, deducendo violazione di legge in relazione alla declaratoria di non procedibilità.
L’aggravante dell’essere le cose destinate a pubblica utilità sarebbe insita nell’indicazione dell’imputazione, secondo cui l’avifauna sottratta rientra nel patrimonio indisponibile dello Stato, tenuto conto della tutela accordata, dall’art. 9, secondo comma, della Costituzione, all’ambiente, alla biodiversità ed agli ecosistemi, nell’interesse delle future generazioni, nonché dell’art. 1 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che inserisce la fauna selvatica nel patrimonio indisponibile dello Stato, conferendole tutela “nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale”.
Il Sostituto Procuratore Generale COGNOME ha chiesto con requisitoria scritta il rigetto del ricorso.
3.1. La difesa dell’imputato ha depositato memoria con cui chiede il rigetto del ricorso del Procuratore Generale della Corte d’Appello, rappresentando come l’aggravante di cui si chiede l’operatività ai fini della procedibilità non sia st contestata espressamente, neppure eventualmente modificando la contestazione dell’aggravante dell’esposizione a pubblica fede, invece esplicitamente richiamata nell’imputazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. La sentenza impugnata, in relazione alla contestazione di furto di avifauna contenuta nel capo A, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato per mancanza di querela, avendo riscontrato l’assenza della citata condizione di procedibilità, necessaria dopo le modifiche apportate all’art. 624, terzo comma, cod. pen. dal d.lgs. n. 150 del 2022, che ha ridotto l’ambito della procedibilità d’ufficio per il delitto di furto alle sole fattispecie espressamente richiamate, e precisamente: se la persona offesa è incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre taluna delle aggravanti di cui all’articolo 625, numeri 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, e 7-bis) del codice penale.
Nel caso di specie, piuttosto che una di tali ipotesi, erano state contestate esplicitamente, anche con l’indicazione dell’art. 625, primo comma, n. 7, cod. pen., le aggravanti dell’esposizione alla pubblica fede – da sempre ritenuta dalla giurisprudenza di questa Corte applicabile in caso di furto di avifauna – e del mezzo fraudolento (quest’ultima poiché l’imputato aveva utilizzato, per appropriarsi dell’avifauna, di reti da uccellaggione).
Il Tribunale ha ritenuto di non poter configurare come contestata “in fatto”, o comunque validamente, la circostanza aggravante dell’essere, l’avifauna sottratta, una cosa “destinata a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza”, aggravante che, anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 15 ottobre 2022, n. 150, consente la procedibilità d’ufficio del delitto di furto, alla luce della già richiam disposizione di cui al terzo comma dell’art. 625 cod. pen., che prevede detta procedibilità officiosa quando il reato è aggravato ai sensi di una delle due ipotesi contemplate nell’art. 625, primo comma, n. 7, cod. pen., diverse dall’esposizione alla pubblica fede, invece espressamente esclusa all’uopo dal legislatore.
Tale convincimento è stato collegato a due ordini di ragioni, l’una consequenziale all’altra:
l’aggravante della destinazione a pubblico servizio o a pubblica utilità ha natura valutativa e, quindi, per giurisprudenza delle Sezioni Unite, deve essere esplicitamente contestata o attraverso un univoco richiamo normativo oppure mediante espressioni adeguate a descrivere il contenuto dell’aggravante;
non è stata ritenuta sufficiente ed idonea a descrivere detto contenuto dell’aggravante “valutativa” l’indicazione, nell’imputazione, relativa al fatto che gli uccelli sottratti fossero beni costituenti “patrimoni indisponibile dello Stato”, nozione considerata non equivalente al concetto di cosa “destinata a pubblico servizio o a pubblica utilità”.
2.1. Il pubblico ministero ricorrente deduce, all’opposto, che l’aggravante della destinazione dell’avifauna a pubblico servizio o a pubblica utilità, utile a fa scattare la procedibilità d’ufficio, possa ritenersi ricompresa semanticamente nel richiamo espresso, contenuto nell’imputazione, al fatto che l’avifauna sottratta appartenga al patrimonio indisponibile dello Stato.
Per sostenere tale affermazione, il ricorrente evidenzia come l’art. 9, secondo comma, della Costituzione abbia conferito ampia tutela all’ambiente, alla biodiversità ed agli ecosistemi, nell’interesse delle future generazioni, così riempiendo di nuovo contenuto l’art. 1 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che pure inserisce la fauna selvatica nel patrimonio indisponibile dello Stato, abbinando tale qualità alla necessità di tutela funzionale all’interesse della comunità nazionale ed internazionale.
Il Collegio ritiene, anzitutto, di dover svolgere due premesse preliminari all’esame delle ragioni del ricorso.
Anzitutto, va ribadita l’affermazione della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, anche dopo l’entrata in vigore della legge 11 febbraio 1992, n. 157, che disciplina l’attività venatoria, è configurabile il reato di furto aggrava di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato, qualora l’apprensione o il semplice abbattimento della fauna sia commesso da persona non munita di licenza di caccia (cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 16981 del 18/2/2020, COGNOME, Rv. 279254 in una fattispecie proprio di uccellagione e Sez. 4, n. 13506 del 4/3/2020, COGNOME, Rv. 279135).
La legge n. 157 del 1992 distingue l’uccellagione, che a norma dell’articolo 3 della citata disciplina è sempre vietata, dall’attività venatoria che è consentita, se esercitata nei tempi e nei modi previsti dalla legge (cfr. gli artt. 12 e 13 della legg n. 157 del 1992). Secondo l’orientamento costante di questa Corte, costituisce
“uccellagione” qualsiasi sistema di cattura degli uccelli con mezzi fissi, di impiego non momentaneo, e comunque diversi da armi da sparo (reti, panie o altri strumenti fissi, ecc.), diretto alla cattura di un numero indiscriminato di volati mentre costituisce esercizio venatorio ogni atto diretto alla cattura di singoli esemplari di fauna selvatica (cfr., ex plurimis, da ultimo, Sez. 3, n. 11350 del 10/2/2015, COGNOME, Rv. 262808 e Sez. 3, n. 7861 del 12/1/2016, COGNOME, Rv. 266278, che si richiamano a Sez. 3, n. 1713 del 18/12/1995 dep. 1996, COGNOME, Rv. 204726; Sez. 3, n. 4918 del 10/4/1996, Giusti, Rv. 205462; Sez. 3, n. 2423 del 20/2/1997, COGNOME, Rv. 207635; Sez. 3, n. 9607 del 2/6/1999, COGNOME, Rv. 214597; Sez. 3, n. 139 del 13/11/2000, COGNOME, Rv. 218696; Sez. 3 n. 6966 del 17/4/2000, COGNOME, Rv. 217676). Ciò che rileva, ai fini della sussistenza del reato di uccellagione di cui agli artt. 3 e 30 lett. e) della legge n. 157 del 1992 è il mezz usato per la caccia; la distinzione legislativa opera, quindi, con riferimento esclusivamente al mezzo usato e non alla destinazione delle prede catturate, poiché il legislatore ha voluto sanzionare in modo specifico un sistema di cattura che ha in genere una potenzialità offensiva più indeterminata e comporta maggior sofferenza biologica per i volatili (Sez. 3, n. 4918 del 10/04/1996, Giusti, Rv. 205462), consentendo la cattura indiscriminata di uccelli di tutte le specie con la possibilità di arrecare al patrimonio avicolo un danno potenzialmente maggiore di quello ricollegabile alla normale cattura o abbattimento di uccelli mediante attività di “caccia”.
In secondo luogo, la modifica all’art. 9 della Costituzione – avvenuta a mezzo della legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, con cui si è introdotto (con l’art. 1, comma 1) un secondo comma alla disposizione previgente, dedicato a sottolineare esplicitamente come la Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni, demandando alla legge ordinaria la disciplina dei modi e delle forme di tutela degli animali – ha segnato un importante passaggio nel senso dell’ampliamento delle prerogative di salvaguardia dell’ambiente e degli ecosistemi che lo compongono, anzitutto sul territorio nazionale.
Da tale potenziamento della cornice di principi di salvaguardia, tuttavia, non possono derivare automatismi concettuali che coinvolgono la natura dei beni, al fine di qualificarli o meno ai sensi dell’aggravante in esame, che rivela la sua natura valutativa ad un attento esame.
La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha già evidenziato, in astratto e co riguardo ad altre fattispecie concrete, di cui si dirà di qui a poco al par. 3.1., com la circostanza della destinazione della cosa a pubblico servizio o a pubblica utilità configuri un’ipotesi di aggravante valutativa, seguendo il solco di quanto stabilito dalle Sezioni Unite, nella sentenza Sez. U, n. 24906 del 18/4/2019, Sorge, Rv.
275436, che ha operato una distinzione tra aggravanti contestabili “in fatto”, e non valutative, ed aggravanti con natura, appunto, “valutativa”, le quali ultime hanno bisogno di essere specificamente evocate nell’imputazione per potersi ritenere validamente contestate.
Sia pur senza dettare una soluzione rigida, le Sezioni Unite hanno distinto tra le modalità di contestazione delle aggravanti che presentano la caratteristica di essere “autoevidenti”, vale a dire immediatamente percepibili da un agente “medio” nella loro portata aggravatrice del trattamento sanzionatorio, che possono legittimamente ritenersi contestabili “in fatto”, mediante la spiegazione della condotta e del suo contesto, e quelle che non hanno tale carattere di “autoevidenza”.
Per queste ultime, è doverosa una contestazione che risulti chiara e precisa e che richiami l’imputato ad una difesa accorta e puntuale, visto che l’intera disciplina della coerenza tra contestazione e sentenza è funzionale ad assicurare la piena esplicazione del diritto di difesa.
Le Sezioni Unite hanno ritrovato nell’art. 417, lett. b), cod. proc. pen. la necessità di includere, fra gli elementi contenuti nella richiesta di rinvio a giudizi «l’enunciazione in forma chiara e precisa» non solo del fatto, ma anche delle circostanze aggravanti (come anche nell’art. 429, comma 1, lett. b, per il decreto dispositivo del giudizio – a sua volta richiamato dall’art. 450, comma 3, per la citazione a giudizio direttissimo dell’imputato libero e dall’art. 456, comma 1, per il decreto dispositivo del giudizio immediato – e nell’art. 552, comma 1, lett. c, cod. proc. pen. con riguardo al contenuto del decreto di citazione diretta a giudizio dinanzi al tribunale in composizione monocratica).
L’indicazione dell’aggravante assume, dunque, nell’ottica di sistema cui rimanda la sentenza “Sorge”, il rilievo di una componente essenziale e indefettibile della contestazione dell’accusa, in linea con la previsione dell’art. 6, comma 3, lett. a) CEDU per la quale «ogni accusato ha diritto soprattutto ad essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico»: il riferimento alla informazione dettagliata sulla natura dell’accusa non può che comprendere le circostanze aggravanti nella loro incidenza sull’entità del fatto contestato e sulle conseguenze sanzionatorie che ne derivano (cfr. la sentenza Corte EDU, 11/12/2007, RAGIONE_SOCIALE).
La precisazione degli elementi fattuali costitutivi dell’aggravante risponde, poi, ad una prospettiva sostanzialistica fondata sulla necessità di correlazione fra l’accusa e la decisione al fine di realizzare la concreta possibilità per l’imputato d difendersi sull’oggetto dell’addebito (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051).
Da tali coordinate sistematiche, le Sezioni Unite hanno ricavato la distinzione tra:
circostanze aggravanti non valutative, la cui contestazione in fatto non dà luogo a particolari problematiche di ammissibilità, in quanto esse si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive: i questi casi, invero, l’indicazione di tali fatti materiali è idonea a riporta nell’imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo possibile l’adeguato esercizio dei diritti di difesa dell’imputato;
circostanze aggravanti valutative, nelle quali, in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa include componenti valutative, sicchè le caratteristiche della fattispecie concreta integrano l’ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particolari connotazioni qualitative o quantitative, in base ad una valutazione compiuta in primo luogo dal pubblico ministero nella formulazione dell’imputazione, e di seguito sottoposta alla verifica del giudizio.
3.1. In linea con le Sezioni Unite, una recente linea ermeneutica di questa Corte regolatrice – sorta proprio in occasione del mutamento normativo riguardante la procedibilità dei reati di furto a seguito del d.lgs. n. 150 del 2022 ritiene la circostanza aggravante della destinazione del bene sottratto alla pubblica utilità o al pubblico servizio, in relazione al furto di energia elettrica, di na valutativa e la considera validamente contestata o contestabile, oltre che nei casi nei quali sia stata formalmente indicata, anche qualora ad essa ci si riferisca mediante “espressioni evocative” o perifrasi che la richiamino in modo sufficientemente intuibile.
Dette espressioni devono risultare idonee a prendere il posto della contestazione formale (quella cioè effettuata mediante l’indicazione dell’articolo di legge o del comma in cui è menzionata l’aggravante, con l’esplicitazione del richiamo normativo) ed a consentire all’imputato di difendersi (cfr., tra le altre Sez. 5, n. 37142 del 12/6/2024, COGNOME, Rv. 287060 – 01; Sez. 5, n. 14890 del 14/3/2024, COGNOME, Rv. 286291).
La natura valutativa della circostanza in esame deve essere riaffermata anche in relazione alla fattispecie di furto venatorio.
La questione posta dal ricorso, pertanto, ruota intorno alla sufficienza del richiamo contenuto nell’imputazione ad intendere l’aggravante dell’essere la cosa sottratta destinata a pubblico servizio o a pubblica utilità.
Nel caso di specie, l’espressione evocativa spendibile come eventuale contestazione della circostanza valutativa in esame sarebbe quella che abbina
all’essere l’avifauna “patrimonio indisponibile dello Stato” la qualità di “cosa destinata a pubblico servizio o a pubblica utilità”.
Orbene, il Collegio rileva come, a prescindere dalla questione relativa a se possa ritenersi in astratto ed assiomaticamente che tutto quanto rientri negli ecosistemi oggetto di tutela costituzionale ed appartenga al patrimonio indisponibile dello Stato debba essere considerato “destinato a pubblica utilità o a pubblico servizio”, ai fini della contestazione utile dell’aggravante prevista dall’ar 625, primo comma, n. 7, cod. pen., nel caso di specie, deve escludersi che tale aggravante sia stata adeguatamente contestata, per un’ulteriore, preliminare e prevalente ragione: l’unica delle tre differenti circostanze aggravatrici, esplicitamente ricollegata per esteso dall’imputazione al richiamo normativo, egualmente espresso, all’art. 625, primo comma, n. 7, cod. pen., è quella dell’esposizione a pubblica fede e nessuna modifica della contestazione è stata mai richiesta nel corso del processo, al fine di ritenere configurabile l’aggravante della destinazione a pubblica utilità o a pubblico servizio.
Dunque, non ci si trova dinanzi ad un mero richiamo normativo del capo d’imputazione alla disposizione che prevede l’aggravante poi effettivamente considerata, richiamo normativo che, sussistendo le condizioni per una corretta contestazione, descritte da ultimo dalle Sezioni Unite, nella sentenza Sez. U, n. 24906 del 18/4/2019, Sorge, Rv. 275436, avrebbe potuto portare ad una diversa qualificazione giuridica, seguendo le procedure poste a garanzia del contraddittorio con l’imputato.
Piuttosto, è stata operata dal pubblico ministero una vera e propria scelta univoca per la sola aggravante espressamente contestata, abbinata al richiamo normativo dell’art. 625, primo comma, n. 7, cod. pen.; scelta che, oggi, alla luce delle modifiche previste dal d.lgs. n. 150 del 2022 all’art. 624, comma 3, cod. pen., non è più idonea a radicare la procedibilità d’ufficio (la stessa inidoneità caratterizza anche l’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento, che accompagna nel caso di specie l’imputazione).
Pertanto, anche volendo immaginare configurabile, in aggiunta a quella contestata, la diversa ipotesi aggravatrice della destinazione a pubblico servizio o a pubblica utilità, pure enunciata nell’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., idonea a radicare la procedibilità d’ufficio ai sensi del citato comma terzo dell’art 624, non sarebbe possibile in questa sede farla emergere, in mancanza di adeguata modifica dell’imputazione da parte del pubblico ministero nel corso del processo di merito, per l’ineludibile equivocità dell’imputazione, che mina la possibilità di un corretto rapporto difensivo tra contestazione ed imputazione, rispettoso del diritto di difesa.
A ritenere altrimenti, sarebbe violato il principio di corrispondenza tra accusa e sentenza, che coinvolge anche le circostanze aggravanti e richiede il rispetto delle forme previste dagli artt. 516 e ss. cod. proc. pen. per procedere alla contestazione di un fatto diverso, valutato l’operare di un’ulteriore aggravante, a pena di nullità (prevista dall’art. 522 cod. proc. pen.).
Nel medesimo senso, si è già espressa questa Corte regolatrice, con la sentenza Sez. 5, n. 26889 del 15/3/2024.
3.2. Si evidenzia, infine, con l’obiettivo di puntualizzare il perimetro d possibile configurabilità dell’aggravante valutativa della destinazione dell’avifauna oggetto del reato di furto alla pubblica utilità o al pubblico servizio, che si tratt un’elaborazione da costruire in relazione alle ipotesi che si proporranno, quando ci si troverà dinanzi ad una corretta ed adeguata contestazione dell’aggravante in esame, poiché la giurisprudenza di questa Corte regolatrice, sinora, in relazione al furto di avifauna, ha avuto modo di esprimersi funditus unicamente in ordine alla sussistenza dell’aggravante dell’esposizione a pubblica fede, la sola contestata nella prassi applicativa (cfr. Sez. 5, n. 16981 del 18/2/2020, COGNOME, Rv. 279254, in motivazione, nonché Sez. 5, n. 14022 del 08/01/2014, COGNOME, Rv. 259870; Sez. 4, n. 21285 del 08/05/2009, COGNOME, Rv. 243513; Sez. 2, n. 5964 del 06/04/1984, COGNOME, Rv. 164964).
In generale, pur con una certa flessibilità nella valutazione delle fattispecie concrete, deve comunque sottolinearsi che la “qualità” della condotta di reato, costituita dalla destinazione del bene sottratto, dovrebbe comunque essere evidenziata in modo percepibile dall’imputazione, per garantire il diritto di difesa, anche solo mediante un aggettivo o una locuzione semantica utile ad evocarla.
Anche il richiamo all’avifauna come parte del “patrimonio indisponibile dello Stato”, dunque, va contestualizzato nell’imputazione complessivamente costruita, ai fini della configurabilità dell’aggravante valutativa in esame.
A maggior ragione se si tiene conto del fatto che, a determinate condizioni di tempo e di modo, il legislatore consente tuttora di cacciare alcune specie di cd. fauna “omeoterma”, ancorchè sicuramente rientranti, gli uccelli collettivamente considerati, nel concetto di biodiversità ed ecosistemi al centro della tutela costituzionale.
A prescindere dalla condivisione o meno di tale opzione legislativa (che risponde alla necessità di bilanciamento tra le esigenze di tutela del patrimonio faunistico ed ecologico dello Stato e quelle di continuare a garantire ad una parte della cittadinanza – gli appassionati di caccia e le loro associazioni di rappresentanza – di svolgere una pratica dai retaggi ancestrali), la stessa disciplina costituzionale demanda inequivocabilmente al legislatore ordinario la disciplina delle forme e dei modi di tutela degli animali.
Tale previsione, e precisamente la distinzione ivi contenuta tra l’ambiente e gli ecosistemi oggetto di tutela come beni collettivi (di cui alla prima parte dell’art
9, terzo comma, Cost.) e gli animali quali esemplari, la cui tutela è delegata al seconda parte
legislatore ordinario, che ne disciplina “i modi e le forme” (cfr. la della citata disposizione costituzionale), conforta la tesi dottrinaria prevalente,
secondo cui la protezione costituzionale degli animali selvatici deve avvenire in un quadro ‘antropocentrico’ di tutela dell’ambiente e della biodiversità, in cui l’animale
è tutelato come parte di un sistema in funzione della conservazione del patrimonio ambientalistico per le future generazioni di esseri umani.
A livello europeo, la Direttiva 2009/147/CE (Direttiva “Uccelli”) e la Direttiva
92/43/CEE (Direttiva “Habitat”) si muovono nell’ottica poi recepita dalla
Costituzione e mirano a contribuire alla conservazione della biodiversità in Europa attraverso una legislazione che protegga le specie selvatiche e i loro habitat, con
divieti (cattura, uccisione, distruzione dei nidi, detenzione di uova e di esemplari vivi o morti, disturbo ingiustificato o eccessivo), tuttavia derogabili a specifich
condizioni.
In questo contesto complesso si colloca, dunque, l’attività venatoria, che è consentita ove risulti “sostenibile”, ossia tale da non pregiudicare la conservazione di specie e popolazioni di uccelli: da qui, i divieti e la regolamentazione di mezzi e modalità dell’attività venatoria consentita da parte della legge n. 157 del 1992.
Tornando alla possibilità, dunque, di contestare l’aggravante valutativa della destinazione alla pubblica utilità o al pubblico servizio, in relazione ad esemplari di avifauna oggetto di furto, essa può essere ammissibile in presenza di condizioni di richiamo lessicale che la facciano pur sempre emergere chiaramente, alla luce della complessità del quadro di tutela.
Qualsiasi casistica esemplificativa potrebbe essere fuorviante, sicchè sarà solo il contesto di ciascuna imputazione in concreto considerata a determinare il giudizio sulla chiarezza o meno dell’indicazione dell’aggravante valutativa in esame, prevista dall’art. 625, primo comma, n. 7, cod. pen., ai fini della sua legittima contestazione e, dunque, di una sua eventuale configurabilità che, va da sé, potrà essere valutata anch’essa soltanto in concreto, non essendovi preclusioni astratte al riguardo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso del Procuratore Generale. Così deciso il 28/2/2025.