Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 35204 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4   Num. 35204  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Correggio il DATA_NASCITA
Parte civile:
COGNOME NOME, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 24/10/2024 della Corte d’appello di Bologna.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO del foro di Modena, in difesa della parte civile, il quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso e ha concluso per la conferma della sentenza impugnata; , in difesa dell’imputata, il quale ha insistito per l’annullamento della sentenza impugnata per tutti i motivi udito l’AVV_NOTAIO del foro di Reggio Emilia indicati nel ricorso, rilevando anche la prescrizione del reato . 
RITENUTO IN FATTO
 Con  la  sentenza  indicata  in  epigrafe ,  la  Corte  d’appello  di Bologna  ha confermato la declaratoria di responsabilità di NOME COGNOME in ordine al reato di furto pluriaggravato in danno della RAGIONE_SOCIALE, per essersi impossessata della
somma complessiva di euro 88.411,25 nella sua qualità di impiegata amministrativa della stessa società, munita di delega per le operazioni bancarie e con accesso al carnet di  assegni  (fatti  commessi  dal  luglio  2011  al  22  maggio 2013).
 Avverso  tale  sentenza  il  difensore  del l’imputata propone  ricorso  per cassazione, lamentando (in sintesi, giusta il disposto di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.) quanto segue.
 Violazione del  principio  dell’oltre  ogni  ragionevole  dubbio  e  vizio  di motivazione, per avere la Corte di appello ritenuto irrisorio l’ammanco annuo di circa 33.000 euro rispetto ad un fatturato della ditta di circa 450/500 mila euro l’anno, tanto più se si considera che la somma complessiva drenata è stata pari a 88.411,25 euro. Non è credibile che un simile ammanco non sia stato verificato immediatamente, per cui non si giustifica il ritardo di un anno nella proposizione della querela.
II)  Violazione  di  legge  e  vizio  di  motivazione,  relativamente  alla  ritenuta sussistenza  degli  elementi  oggettivi  e  soggettivi  del  reato  di  furto  contestato; mancata riqualificazione dei fatti nell’ipotesi di appropriazione indebita; violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
III) Intervenuta estinzione del reato per prescrizione.
IV) Violazione di legge in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
 Per  quanto  attiene  al  primo  motivo,  concernente  il  lamentato  vizio motivazionale in punto di responsabilità dell’imputat a per le fattispecie di furto a lei  ascritte,  si  osserva  che  la  doglianza  svolge  essenzialmente  non  consentite censure  di  merito,  a  fronte  di  una  motivazione  della  sentenza  impugnata  che sfugge ai rilievi sollevati dalla ricorrente.
2.1. La censura si limita a tacciare di illogicità la, per contro, ragionevole valutazione dei giudicanti, i quali hanno spiegato che la denuncia-querela era stata presentata a distanza di un anno dai fatti contestati, a seguito delle rimostranze di un fornitore che aveva lamentato il mancato pagamento di una nota di credito (per euro 752,62) risalente al giugno 2012. In effetti -opinano i giudici -il drenaggio del denaro era stato effettuato su un fatturato della ditta di circa 450/500 mila euro l’anno, motivo per cui il titolare della ditta (COGNOME
NOME) e gli altri impiegati della RAGIONE_SOCIALE non si erano accorti subito dell’ammanco, trattandosi di somme prelevate annualmente all’incirca pari a 33.000 euro, importo considerato -non illogicamente -esiguo se parametrato al fatturato annuo. Il tempo decorso per la presentazione della querela è certamente congruo in relazione agli importi annualmente sottratti, i quali appaiono anche proporzionati rispetto al totale oggetto di contestazione (euro 88.411,25), trattandosi di fatti perpetrati dal 2011 al 2013.
2.2. Per il resto, la sentenza impugnata ha dato ampiamente conto delle prove documentali e orali che hanno consentito di ricostruire il modus operandi adottato dall’imputata per appropriarsi degli ingenti importi dianzi indicati , segnatamente tramite: i) doppi bonifici, uno al fornitore e l’altro, di pari importo e indicando quale beneficiario uno dei fornitori della società, sul proprio conto corrente; ii) redazione ed incasso di numerosi assegni con firma apocrifa ‘COGNOME NOMENOME; iii) disposizione di bonifici a proprio favore, in corrispondenza dell’erogazione dello stipendio mensile, per importi superiori al dovuto.
Le argomentazioni sul punto offerte dalla Corte territoriale, conformi a quelle del  Tribunale,  appaiono  immuni  da  vizi  logico-giuridici  e  sono,  come  tali, incensurabili in cassazione.
Anche il secondo motivo sviluppa censure di merito e comunque non si confronta con le esaurienti argomentazioni della pronuncia impugnata.
3.1.  Contrariamente  a  quanto  dedotto  dalla  ricorrente,  nel  caso  non  è contestata  l’aggravante  dell’uso  di  violenza  sulle  cose  ma  quella  dell’essersi l’imputata avvalsa di un mezzo fraudolento, circostanza che è stata motivatamente  affermata  mediante  le  sopra  descritte  modalità  fraudolente dell’agire  della COGNOME,  attraverso  la  sistematica  sottrazione  e  appropriazione  di somme di denaro di pertinenza della RAGIONE_SOCIALE.
3.2. Sulla questione della qualificazione giuridica del reato, invocandosi la mancata riqualificazione dei fatti nell’ipotesi di appropriazione indebita, basterà osservare che l’imputata non aveva la disponibilità delle somme sottratte ma era solo autorizzata ad operare sui conti correnti, sulla base di specifiche disposizioni derivanti da esigenze operative dell’azienda. Nella specie, pertanto, trova applicazione il principio per cui risponde del reato di furto aggravato, e non di appropriazione indebita, la dipendente di una società, incaricata di provvedere ai pagamenti in nome della stessa, che si impossessi di somme di denaro sottraendole dal conto corrente aziendale (Sez. 4, n. 8128 del 31/01/2019, Canzian, Rv. 275215 -01; nella fattispecie, la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva escluso che l’imputata avesse la disponibilità del denaro sottratto solo perché disponeva della “password” per operare sul conto
corrente della società, rilevando che la facoltà dell’imputata di effettuare pagamenti non le conferiva una signoria autonoma sui conti correnti, trattandosi di facoltà vincolata alle istruzioni e alle direttive impartitele dai vertici societari, e che la provvista depositata sui conti correnti era sempre rimasta nella piena disponibilità dell’ente titolare; in senso analogo v. Sez. 2, n. 2098 del 03/11/2022, dep. 2023, Maniscalco, Rv. 283897 -01; Sez. 5, n. 37419 del 21/06/2021, Manoliu, Rv. 281873 – 01). La configurabilità del reato di furto risulta, a maggior ragione, pienamente integrata con riferimento alle condotte di sottrazione di somme di denaro poste in essere mediante la compilazione e l’utilizzo di assegni falsi, stante l’evidente modalità sottrattiva dell’azione .
Il motivo con cui ci si duole del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen., peraltro con considerazioni di puro merito, è manifestamente infondato perché, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa ricorrente, tale attenuante è stata riconosciuta dai giudici di merito, con giudizio di  equivalenza  rispetto  alle  aggravanti,  secondo una  valutazione  non  arbitraria né  manifestamente  illogica,  come  tale  incensurabile  nella  presente  sede  di legittimità.
Quanto alla censura con cui si deduce l’ estinzione del reato per prescrizione, è appena il caso di rilevare che il ricorrente pone a fondamento del motivo la considerazione -manifestamente infondata (v. supra al par. 3.2) -secondo cui la fattispecie in contestazione sarebbe giuridicamente sussumibile nell’ipotesi di appropriazione indebita ex art. 646 cod. pen. Per contro, con riferimento al reato di furto pluriaggravato oggetto di contestazione, basterà rilevare come la riscontrata inammissibilità del ricorso, cui consegue la mancata instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., tra cui la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata (cfr. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266 -01).
6 .  Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue  quella  al  pagamento  della  sanzione  pecuniaria,  che  si  stima  equo quantificare nella misura indicata in dispositivo.
La  ricorrente  va  anche  condannata  a  rifondere  alla  parte  civile  le  spese sostenute  nel  presente  giudizio  di  legittimità,  liquidate  in  complessivi  euro tremila, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese  processuali  e  della  somma  di  euro  tremila  in  favore  della  cassa  delle ammende,  nonché  alla  rifusione  delle  spese  in  favore  della  parte  civile  RAGIONE_SOCIALE,  liquidate  in  euro  tremila  oltre  accessori  come  per legge.
Così deciso il 18 settembre 2025
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME