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Furto cosa propria: si può rubare un bene di proprietà?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44707/2024, ha confermato la condanna per rapina nei confronti di un uomo che aveva sottratto con violenza un cellulare di sua proprietà, ma concesso in prestito d’uso (comodato) alla vittima. La Corte ha chiarito che il reato di furto o rapina non tutela solo la proprietà, ma anche il possesso. Pertanto, si configura il ‘furto cosa propria’ quando il proprietario sottrae il bene a chi ne ha la legittima detenzione o possesso, ledendo così un diritto altrui.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto cosa propria: È reato sottrarre un bene di cui si è proprietari?

L’idea comune è che non si possa rubare qualcosa che ci appartiene. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 44707/2024) ha ribadito un principio fondamentale del diritto penale: il concetto di furto cosa propria. Questo caso dimostra come la legge non tuteli unicamente il diritto di proprietà, ma anche altre relazioni giuridiche con i beni, come il possesso. Sottoporre con violenza un oggetto di nostra proprietà a chi lo detiene legittimamente può, infatti, configurare il grave reato di rapina.

Il Caso: La Sottrazione Violenta del Cellulare in Comodato

I fatti alla base della decisione riguardano un uomo condannato in primo e secondo grado per rapina, maltrattamenti e resistenza a pubblico ufficiale. Il ricorso in Cassazione si concentrava esclusivamente sull’accusa di rapina. L’imputato aveva acquistato un telefono cellulare e lo aveva poi concesso in prestito d’uso (tecnicamente, un contratto di comodato) alla persona offesa. In un secondo momento, egli aveva sottratto con violenza il telefono alla donna.

La Tesi della Difesa e il Principio del Furto Cosa Propria

La difesa dell’imputato sosteneva che non potesse configurarsi il reato di rapina, poiché l’oggetto sottratto, il telefono, era di sua proprietà. Secondo questa tesi, mancava un elemento essenziale del reato: l'”altruità” della cosa. In pratica, l’imputato rivendicava il diritto di riprendersi ciò che era suo. Tuttavia, questa linea difensiva si scontra con l’interpretazione consolidata del concetto di furto cosa propria.

L’Analisi della Corte sul Concetto di “Altruità”

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, offrendo una dettagliata analisi del concetto di “altruità” nei reati contro il patrimonio. I giudici hanno chiarito che, ai fini del delitto di furto (e di conseguenza di rapina, che ne è una forma aggravata dalla violenza), la nozione di “altruità” non coincide perfettamente con quella civilistica di proprietà.

Il bene giuridico protetto dalla norma non è solo la proprietà, ma anche il possesso, inteso come relazione di fatto tra una persona e una cosa. Affinché si possa parlare di furto, è sufficiente che la cosa sia sottratta a chi la detiene legittimamente, anche se il detentore non è il proprietario.

Le Motivazioni della Decisione della Cassazione

La Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso, stabilendo che la condotta dell’imputato integrava pienamente il reato di rapina. La persona offesa, infatti, non era una mera detentrice precaria del cellulare; ne era la comodataria. Il contratto di comodato le conferiva un diritto personale di godimento, ovvero il diritto di detenere e utilizzare il telefono in modo autonomo e protetto dalla legge, anche nei confronti del proprietario.

Sottraendo con violenza il bene, l’imputato non ha semplicemente esercitato un suo diritto di proprietà, ma ha leso il diritto di possesso della vittima. Inoltre, la Corte ha sottolineato un aspetto ulteriore: anche se il “contenitore” (il telefono) era di proprietà dell’agente, i dati in esso contenuti (messaggi, foto, contatti) erano in titolarità della persona offesa. La sottrazione mirava quindi a impossessarsi anche di questi contenuti, rafforzando la natura illecita della condotta.

Le Conclusioni: Quando la Proprietà non Basta

Questa sentenza conferma un principio cruciale: la proprietà di un bene non conferisce il diritto di riappropriarsene con la forza a danno di chi ne abbia il legittimo possesso o detenzione per un altro titolo. Il furtum rei suae è pienamente configurabile quando il proprietario, per rientrare in possesso del suo bene, lede un diritto altrui tutelato dall’ordinamento. La decisione riafferma la centralità della tutela del possesso come situazione di fatto giuridicamente rilevante, la cui violazione, specialmente se attuata con violenza, viene sanzionata penalmente a prescindere da chi sia il titolare del diritto di proprietà.

È possibile commettere il reato di rapina su un oggetto di propria proprietà?
Sì, è possibile. La Cassazione ha confermato che si configura il reato di rapina (o furto) anche quando il proprietario di un bene lo sottrae con violenza a chi lo possiede o detiene legittimamente in base a un altro titolo giuridico, come un contratto di comodato (prestito d’uso).

Cosa intende la legge per “cosa altrui” nel reato di furto o rapina?
Per “cosa altrui” la legge penale non intende solo un bene di proprietà di un’altra persona, ma qualsiasi bene su cui un altro soggetto eserciti un potere di fatto tutelato, come il possesso o la detenzione. Il reato tutela non solo la proprietà, ma anche queste relazioni di fatto con la cosa.

In questo caso, perché la vittima aveva un diritto protetto sul telefono, pur non essendone proprietaria?
La vittima aveva un diritto protetto perché deteneva il telefono in base a un contratto di comodato. Questo contratto le conferiva il diritto personale di utilizzare il bene. Sottraendoglielo con violenza, l’imputato ha leso questo specifico diritto al possesso, che è tutelato penalmente indipendentemente dal diritto di proprietà.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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