Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 630 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 630 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DCOGNOMENOME nato a PALERMO il 08/04/1989
avverso la sentenza del 22/12/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
letta la requisitoria depositata dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Bologna ha confermato la sentenza emessa il 22/01/2019 dal Tribunale di Forlì, con la quale NOME COGNOME – all’esito di giudizio abbreviato – era stato condannato alla pena di dieci mesi di reclusione, in relazione ai reati previsti dagli artt. 624 e 337 cod.pen., con il beneficio della sospensione condlizionale.
La Corte territoriale ha premesso la ricostruzione del fatto operata dal Tribunale dalla quale risultava che – sulla base del verbale di arresto – gli agenti operanti avevano proceduto all’arresto in flagranza dell’imputato a seguito di una segnalazione da parte della persona offesa NOME COGNOME il quale aveva esposto che, mentre si trovava all’interno di un locale, glli era stato sottratto il portafogli dall’interno della propria giacca, lasciata su un divano; era quindi risultato che, a seguito della segnalazione e per effetto dell’immediato intervento degli operanti, si era proceduto a rintracciare due soggetti, uno dei quali minorenne mentre l’altro era stato identificato nell’odierno imputato, sulla cui persona era stata rinvenuta la somma contante di C 125,00 oltre a carte di credito intestate all’COGNOME; era altresì risultato che, nel frangente, l’imputato – in evidente stato di ubriachezza aveva spintonato uno degli operanti nel tentativo di eludere l’ispezione personale, lanciandogli addosso il proprio giubbotto.
La Corte ha quindi ritenuto infondato il motivo con il quale era stata chiesto il t – t GLYPH 7- – 2 riconoscimento della fattispecie del furto nella sola forma del tentativo, rit GLYPH che il furto era avvenuto all’interno di un locale t cui 19tefflol’imputato si era introdotto per poi allontanarsi, mantenendo quindi un possesso autonomo dei beni sottratti e che aveva dovuto restituire solo per effetto dell’intervento delle forze dell’ordine; ha ritenuto infondato il motivo inerente alla dedotta carenza dell’elemento psicologico necessario ai fini dell’integrazione della fattispecie di resistenza a pubblico ufficiale, atteso che lo spintonamento era da intendersi sorretto dall’intenzione di opporsi all’intervento degli operanti; ha ritenuto infondato il motivo di appello relativo al riconoscimento dell’aggravante prevista dall’art.61, n.2, cod.pen., atteso che 01 la condotta di resistenza era finalizzata a mantenere il possesso dei beni sottratti; ha infine ritenuto infondati i motivi attinenti alla dosimetria della pena, ritenendo corretto il giudizio di equivalenza tra la predetta aggravante e le circostanze attenuanti generiche e adeguatamente applicati i parametri previsti dall’art.133 cod.pen..
Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando un unitario motivo di
impugnazione, con il quale ha dedotto l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen., in relazione all’art.56 cod.pen., nel capo in cui la decisione impugnata aveva ritenuto integrato il delitto di furto consumato nonostante l’imputato non fosse mai uscito dalla sfera di vigilanza della persona offesa.
Ha dedotto che la (corte territoriale non avrebbe tenuto adeguato conto del fatto che la persona offesa era rimasta costantemente a breve distanza spaziale dall’imputato; richiamando sul punto l’arresto espresso da Sez. U,. n.52117 del 2014, sulla base della quale il dato della diretta osservazione da parte della persona offesa impediva la consumazione del delitto di furto se non nelle sole forme del tentativo; nel caso di specie, deduceva che il ricorrente era rimasto sotto la sfera di vigilanza della persona offesa per tutta la durata della condotta, con conseguente contrarietà della sentenza ai citati principi di legittimità.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
Data per acquisita la successione temporale degli eventi, come ricostruiti concordemente nellí due sentenzi di merito, l’unico motivo di ricorso si accentra sulla richiesta derubricazione del reato di furto, contestato nella forma consumata, in quella solo tentata; argomento che, a propria volta, richiama il precedente di questa Corte espresso da Sez. U, n. 52117 del 07/2014, Prevete, Rv. 261186 1 peraltro riferita alla diversa fattispecie concreta di sottrazione di beni all’interno di un supermercato e nella quale è stato rilevato che il monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell’ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo in continenti, impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l’agente conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo.
Il predetto principio, attinente alla fattispecie del furto consumato all’interno degli esercizi commerciali caratterizzati da uno specifico sistema di sorveglianza
interna, non si attaglia invece all’ipotesi in questione, caratterizzata da una sottrazione operata all’interno di un locale.
Ciò in quanto a rilevare – sulla base di una considerazione non smentita dal citato arresto delle Sezioni Unite – è che il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l’imputato consegua, anc:he se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva il che accade anche se venga inseguito e bloccato dalla polizia giudiziaria che lo aveva osservato a distanza (in tal senso Sez. 5, n. 48880 del 17/09/2018, S., Rv. 274016 – OlSez. 5, n. 26749 del 11/04/2016, COGNOME, Rv. 267266 – 01), allorché, come è nel caso in esame, l’intervento delle forze dell’ordine sia del tutto casuale, estemporaneo o sopravvenuto, tale da non poter impedire l’impossessamento della res (in motivazione così Sez. 5, n. 4868 del 25/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282969 – 01).
D’altro canto, richiamando Sez. 4, n. 474:3 del 15/03/1995, Ominelli, Rv. 201870 – poiché il momento consumativo del furto è costituito dalla sottrazione della cosa, passata, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in cui è stata sottratta, sotto il dominio esclusivo dell’agente – sono irrilevanti, ai fini dell consumazione del delitto, sia il fatto che la res furtiva rimanga (come nel caso di specie) nella sfera di vigilanza della persona offesa, con la possibilità di un pronto recupero della stessa, sia il criterio temporale, relativo alla durata del possesso del responsabile, sia le modalità di custodia e di trasporto della refurtiva (nello stesso senso non massimate : Sez. 5, Sentenza n. 41145 del 2010, COGNOME, Sez. 4, Sentenza n. 34766 del 2008, COGNOME nonché Sez. 5, n. 33605 del 17/06/2022, T, Rv. 283544).
Ne consegue che, in modo coerente e logico, i giudici di merito hanno ravvisato tutti gli elementi costitutivi della fattispecie consumata del delitto di furto.
5. L’inammissibilità del ricorso rende inapplicabile la disciplina transitoria dettata dall’art.85, comma 1, d. Igs. 10 ottobre 2022, n.150 in relazione al reato di furto (Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, COGNOME, Rv. 273551 – 01; nonché, in relazione specifica alla disciplina introdotta dalla suddetta novella, Sez. 5, n. 5223 del 17/01/2023, COGNOME, Rv. 284176).
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente
va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso, il 29 novembre 2023
Il Consigliere estensore
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Il Presidente