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Furto consumato: quando si perfeziona il reato?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per furto. La Corte ha stabilito che per aversi furto consumato è sufficiente che l’agente abbia conseguito la piena disponibilità della refurtiva, anche solo per un breve lasso di tempo, rendendo irrilevante la richiesta di derubricazione a tentativo. Inoltre, ha confermato la legittimità del diniego delle attenuanti generiche basato sulla valutazione di elementi ostativi specifici, come le modalità della fuga.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto Consumato: Quando il Reato è Perfezionato? L’Analisi della Cassazione

La distinzione tra furto tentato e furto consumato rappresenta un punto cruciale nel diritto penale, con implicazioni significative sulla determinazione della pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su quando il reato di furto può considerarsi perfezionato, anche se il possesso della refurtiva è stato di breve durata. Questo articolo analizza la decisione, evidenziando i principi giuridici applicati e le loro conseguenze pratiche.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un individuo condannato sia in primo grado dal Tribunale di Tivoli che in secondo grado dalla Corte d’Appello di Roma per il reato di furto. La condanna definitiva era fissata a due anni e quattro mesi di reclusione, oltre a una multa. L’imputato ha deciso di presentare ricorso per Cassazione, contestando la qualificazione giuridica del fatto e la determinazione della pena.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha basato il ricorso su due motivi principali:

1. Errata qualificazione giuridica del reato: Si sosteneva che il reato dovesse essere qualificato come tentato furto (ex artt. 56 e 624-bis cod. pen.) e non come furto consumato, poiché non vi era stato un consolidato possesso della refurtiva.
2. Vizio di motivazione sulla pena: Si lamentava la mancata riforma della sentenza riguardo alla misura della pena e, in particolare, la mancata concessione delle attenuanti generiche, ritenendo la motivazione della Corte d’Appello carente o illogica.

La Decisione della Corte sul Furto Consumato

La Corte di Cassazione ha dichiarato il primo motivo di ricorso inammissibile e manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno sottolineato che, per integrare il furto consumato, è sufficiente che l’agente abbia acquisito la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, anche se per un periodo di tempo molto breve. Nel caso di specie, la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito aveva accertato che l’imputato era riuscito ad ottenere tale disponibilità. La Corte ha ribadito un principio consolidato: il reato si consuma nel momento in cui la cosa rubata esce dalla sfera di vigilanza del precedente possessore ed entra in quella dell’agente. Pertanto, la richiesta di derubricazione a tentativo è stata respinta.

Le Attenuanti Generiche e la Misura della Pena

Anche il secondo motivo è stato giudicato manifestamente infondato. Per quanto riguarda la mancata concessione delle attenuanti generiche, la Corte ha affermato che il giudice di merito non è tenuto a prendere in esame ogni singolo elemento favorevole o sfavorevole, ma può limitarsi a indicare gli elementi ritenuti decisivi. Nel caso specifico, la circostanza che gli autori del reato si fossero fermati solo dopo diversi chilometri e a seguito dell’intervento di altre pattuglie è stata considerata un fattore ostativo sufficiente per negare il beneficio.

In merito alla misura della pena, la Cassazione ha ricordato che, quando la sanzione irrogata è inferiore alla media edittale, non è richiesta una motivazione particolarmente dettagliata. È sufficiente un richiamo al criterio di adeguatezza della pena, che implicitamente tiene conto di tutti gli elementi previsti dall’art. 133 del codice penale.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. In primo luogo, la distinzione tra tentativo e consumazione nel reato di furto dipende dal conseguimento dell’autonoma disponibilità del bene, indipendentemente dalla durata di tale possesso. Una volta che l’agente ha il controllo effettivo sulla cosa, il reato è perfezionato. In secondo luogo, il potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena e nella concessione delle attenuanti è ampio. La motivazione può essere sintetica se la pena è contenuta e se si basa su elementi concreti e decisivi che giustificano le scelte operate, come nel caso del diniego delle attenuanti a causa delle modalità della fuga.

Le conclusioni

L’ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale stabile e rigoroso. Per gli operatori del diritto e i cittadini, il messaggio è chiaro: il furto consumato si realizza con il semplice impossessamento della refurtiva, anche temporaneo, e la valutazione del giudice sulla pena e sulle attenuanti, se logicamente motivata sulla base di elementi concreti, è difficilmente censurabile in sede di legittimità. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Quando un furto si considera consumato e non solo tentato?
Un furto si considera consumato quando l’autore del reato acquisisce la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, sottraendola alla sfera di controllo del precedente possessore. Secondo la Corte, è sufficiente che tale disponibilità sia conseguita anche solo per un breve lasso di tempo.

Per negare le attenuanti generiche, il giudice deve analizzare tutti gli elementi presentati dalla difesa?
No. Il giudice, nel motivare il diniego delle attenuanti generiche, non è obbligato a considerare tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, ma è sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti per la sua decisione, come ad esempio le modalità della condotta post-reato.

È necessario che il giudice motivi in modo dettagliato una pena inferiore alla media prevista dalla legge?
No. Secondo la Corte, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice. È sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, che include implicitamente la valutazione degli elementi di cui all’art. 133 del codice penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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