Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 32731 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 32731 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/01/2025 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo violazione di legge e/o vizio motivazionale in relazionealla mancata riqualificazione dei fatti nell’ipotesi tentata, alla mancata concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità e all’applicazione della recidiva.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi, in particolare, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata.
Il secondo e il terzo motivo, peraltro, afferiscono al trattamento punitivo benché sorretto da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive.
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
2.1. Quanto alla qualificazione giuridica dei fatti, la Corte emiliana ha ritenuto che non potesse accogliersi l’istanza di riqualificazione del fatto nella fattispecie tentata, sul corretto rilievo che, difformemente da quanto ritenuto dalla Difesa, l’imputato era entrato nel pieno possesso di parte della refurtiva, ovvero di una delle due collanine strappate dal collo della persona offesa, nonché di un ciondolo a forma di crocifisso. La collanina veniva restituita alla donna dai ragazzi intervenuti in sua difesa, mentre del crocifisso si perdevano le tracce (esso infatti non veniva restituito alla Dinca, ma neppure trovato indosso all’imputato all’esito della perquisizione personale).
Correttamente i giudici del gravame del merito hanno ritenuto che non consentirebbe la riqualificazione ex art. 56 cod. pen. neppure l’ipotesi (peraltro non corroborata da altri elementi) che un terzo si fosse impossessato del ciondolo sottraendolo allo stesso, COGNOME, posto che anzi tale eventualità comproverebbe a maggior ragione l’impossessamento del crocifisso da parte dell’imputato, al quale non sarebbe stato possibile sottrarlo se non fosse già definitivamente passato sotto la sua sfera di dominio. Né che si potesse riqualificarsi il furto in furto tentato
solo perché una delle collanine è rimasta impigliata negli abiti della persona offesa, posto che, per granitica giurisprudenza, “qualora l’agente, operando in un medesimo contesto temporale e spaziale, si impossessi di una parte dei beni e non riesca, per cause indipendenti dalla sua volontà, ad impossessarsi di altri esistenti nello stesso luogo, si realizza un solo reato consumato, non potendosi ravvisare nel fatto ne l’ipotesi del tentativo ne quella di furto consumato in concorso con il tentativo” (il richiamo è al dictum di Sez. 5, n. 32786 del 25/06/2013, COGNOME, Rv. 257256 – 01).
2.2. Motivatamente confutato è stato anche il motivo con cui si chiedeva riconoscersi all’imputato l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. in quanto le due collanine e il ciondolo oggetto dell’azione criminosa, benché in parte restituite, erano secondo quanto riferito dalla persona offesa, d’oro, dunque di valore non certo irrisorio. E sul corretto rilievo che, in ogni caso la tenuità del danno va valutata rispetto alla gravità dell’evento globalmente considerato: nel caso di specie la donna, in ragione dello strappo, è caduta a terra sulle ginocchia, provando forte agitazione come constatato dagli operanti, tant’è che fu condotta in Pronto Soccorso, sicché il danno non può essere considerato di speciale tenuità.
Peraltro, correttamente la Corte territoriale rileva che non sono certo le condizioni soggettive dell’imputato a dover essere considerate al fine di valutare l’entità del danno, ma solo quelle della persona offesa, di cui non si conoscono dati tali da portare a ritenere nei suoi riguardi di scarsa gravità l’ammanco denunciato.
Ai fini dell’accertamento della tenuità del danno – va qui riaffermato- è necessario considerare, oltre al valore in sé della cosa sottratta, anche il valore complessivo del pregiudizio arrecato con l’azione criminosa, valutando i danni ulteriori che la persona offesa abbia subìto in conseguenza della sottrazione della “res”. (così Sez. 5, n. 24003 del 14/1/2014; Lanzini, Rv. 260201, relativamente ad una fattispecie in cui l’imputato si era impadronito della borsa della persona offesa contenente un cellulare e le chiavi di casa ed in cui questa Corte, confermando la decisione del giudice di appello, ha escluso l’applicabilità dell’attenuante in questione, ritenendo i beni sottratti, complessivamente valutati, di valore economico non irrilevante, anche tenuto conto degli ulteriori danni subìti dalla persona offesa, in relazione al furto delle chiavi della propria abitazione; conf. Sez. 6, n. 30177 del 4/6/2013, Chielli ed altro, Rv. 256643).
2.3. Pienamente motivata, infine, è la ritenuta recidiva.
Evidenzia la Corte territoriale che non può escludersi la contestata recidiva reiterata, specifica, infraquinquennale in quanto COGNOME risulta gravato da ben sette iscrizioni nel casellario giudiziale, una sola delle quali successiva alla commissione del reato per cui si procede. Fra i precedenti penali si annoverano condanne per reati in materia di stupefacenti, per resistenza a pubblico ufficiale, per violazione
dell’ordine del Questore di lasciare il territorio nazionale, per danneggiamento, invasione di terreni ed edifici, per lesioni personali, ecc., commessi fra il 2013 e il 2022. Trattasi di reati in gran parte determinati da motivi di lucro, o comunque offensivi del patrimonio, rispetto ai quali la commissione di un furto con strappo rappresenta un’indubbia escalation posto che per procurarsi un profitto l’imputato non ha esitato a porre in pericolo anche l’incolumità della persona offesa.
I giudici del gravame del merito hanno, dunque, operato una concreta verifica in ordine alla sussistenza degli elementi indicativi di una maggiore capacità a delinquere del reo, di talché la sentenza impugnata non presenta i denunciati profili di censura. E va ricordato che secondo il dictum di questa Corte di legittimità, l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva rientra nell’esercizio dei poteri discrezionali del giudice, su cui incombe solo l’onere di fornire adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo che giustifichi l’aumento di pena (Cfr. Corte Cost. sent. n. 185 del 2015 nonché, ex plurimis, sez. 2, n. 50146 del 12/11/2015, caruso ed altro, Rv. 265684).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 17/09/2025