Furto Consumato o Tentato? La Cassazione Chiarisce il Momento Decisivo
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 12824/2025) offre un’importante lezione sulla differenza tra furto consumato e furto tentato, un confine spesso sottile ma con conseguenze significative sulla pena. La Suprema Corte ha stabilito che il reato si perfeziona nel momento in cui la merce rubata viene nascosta, anche se il ladro non ha ancora lasciato il luogo del delitto. Analizziamo insieme questa decisione per comprenderne la portata.
Il Caso: Dal Furto alla Corte di Cassazione
Il caso riguarda un individuo condannato in primo grado e in appello per furto aggravato commesso in un’abitazione privata. Non soddisfatto della decisione della Corte d’Appello di Lecce, l’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando due questioni principali: la qualificazione giuridica del fatto e la mancata concessione di alcuni benefici di legge.
Il Primo Motivo di Ricorso: Qualificazione Giuridica
L’argomento centrale della difesa era che il reato dovesse essere considerato solo tentato e non un furto consumato. Secondo il ricorrente, la corte di merito aveva sbagliato nell’applicare la legge penale e aveva motivato in modo insufficiente la sua decisione. La tesi difensiva si basava sull’idea che, non avendo ancora abbandonato il luogo del furto, il possesso della refurtiva non fosse ancora definitivo.
Il Secondo Motivo: Sospensione Condizionale e Non Menzione
Il secondo motivo di ricorso lamentava la denegata sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel casellario giudiziale. Tuttavia, questa doglianza si basava su una presunta contraddizione tra la parte motivazionale della sentenza d’appello e il suo dispositivo (la decisione finale).
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambi i motivi con argomentazioni chiare e precise.
In merito alla distinzione tra tentativo e consumazione, i giudici hanno ribadito un principio consolidato: il furto consumato si realizza non con l’uscita dal luogo del delitto, ma nel momento in cui l’autore del reato consegue un autonomo potere di disposizione sulla cosa rubata. L’occultamento della merce, ovvero l’atto di nasconderla (ad esempio in una borsa o sotto i vestiti), è considerato sufficiente a integrare questo requisito. Nascondendo l’oggetto, infatti, l’autore del reato lo sottrae alla sfera di vigilanza del proprietario e se ne appropria, anche se solo temporaneamente. Pertanto, la Corte ha ritenuto corretta la valutazione del giudice di merito, che aveva escluso l’ipotesi del tentativo proprio in ragione del già avvenuto occultamento dei beni.
Per quanto riguarda il secondo motivo, la Cassazione lo ha giudicato manifestamente infondato. I giudici hanno chiarito che il dispositivo della sentenza d’appello aveva confermato integralmente la decisione di primo grado, la quale già concedeva i benefici richiesti. La frase contraria presente nella parte motivazionale è stata quindi classificata come un semplice refuso, un errore materiale irrilevante. In questi casi, vige il principio della prevalenza del dispositivo sulla motivazione, poiché è il primo a contenere la decisione effettiva del giudice.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza consolida due importanti principi giuridici. In primo luogo, definisce con chiarezza il momento in cui un furto passa da tentato a consumato: l’occultamento della refurtiva è il momento chiave che segna il passaggio di possesso. Ciò significa che non è necessario attendere che il ladro si allontani dal luogo del reato per poterlo accusare di furto consumato. In secondo luogo, la decisione riafferma la stabilità delle decisioni giudiziarie, sottolineando che un mero errore materiale nella motivazione non può invalidare o modificare ciò che è stato chiaramente stabilito nel dispositivo della sentenza.
Quando un furto si considera consumato e non solo tentato secondo questa ordinanza?
Secondo la Corte di Cassazione, il furto si considera consumato nel momento in cui la merce sottratta viene occultata (nascosta) dall’autore del reato, poiché tale atto è sufficiente a sottrarla al controllo del proprietario e a stabilire un possesso autonomo sulla stessa, anche se il ladro si trova ancora nel luogo del delitto.
Cosa prevale in una sentenza in caso di contraddizione tra la motivazione e il dispositivo?
In caso di contraddizione, prevale sempre il dispositivo, ovvero la parte finale della sentenza che contiene la decisione del giudice. La motivazione, che spiega le ragioni della decisione, è subordinata ad esso, e un’eventuale discrepanza dovuta a un errore materiale (refuso) non inficia la validità della decisione contenuta nel dispositivo.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati non erano validi. Il primo motivo contestava la valutazione dei fatti e la persuasività della motivazione del giudice di merito, aspetti non sindacabili in Cassazione se la motivazione è logica. Il secondo motivo era manifestamente infondato, basandosi su un refuso irrilevante nella motivazione della sentenza impugnata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12824 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12824 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a COPERTINO il 17/04/1978
avverso la sentenza del 26/04/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte d’appello di Lecce ha confermato la sua condanna per il reato di furto in luogo di privata dimora aggravato.
Ritenuto che il primo motivo di ricorso, con il quale si contesta la correttezza della qualificazione del fatto come furto consumato anziché tentato, denunciando erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione della sentenza impugnata, non è consentito, perché non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali tali da imporre diversa conclusione del processo. In particolare, non sono consentite tutte le doglianze che censurano la persuasività, l’adeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. Invero, con motivazione esente dai descritti vizi logici, il giudice di merito ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si vedano, in particolare, pag.4-5) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini dell’affermazione della responsabilità, in particolare con riguardo all’esclusione dell’ipotesi tentata in ragione del già avvenuto occultamento della merce sottratta.
Ritenuto, in ordine al secondo motivo di ricorso relativo alla denegata sospensione condizionale della pena e non menzione della condanna che le doglianze del ricorrente sono manifestamente infondate non essendovi stata nel giudizio d’appello alcuna reformatio in peius, atteso che il dispositivo della sentenza impugnata ha confermato integralmente la decisione di primo grado e quindi anche con riferimento alla concessione dei menzionati benefici, mentre quanto riportato nella parte motivazionale deve imputarsi ad un mero refuso e comunque è irrilevante attesa la prevalenza del dispositivo sulla motivazione.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per la Cassa delle Ammende non ravvisandosi elementi di colpa del ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12/03/2025