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Furto consumato: quando si perfeziona il reato?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per furto con destrezza. L’ordinanza ribadisce un principio chiave: il furto consumato si realizza nel momento in cui l’agente acquisisce la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, anche se per un tempo molto breve. La mera riproposizione di censure già esaminate nei gradi di merito non costituisce un valido motivo di ricorso.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto consumato: quando un furto si può definire perfezionato?

La distinzione tra tentativo e consumazione nei reati contro il patrimonio, e in particolare nel furto, è una questione di cruciale importanza nel diritto penale. Stabilire l’esatto momento in cui il reato si perfeziona ha dirette conseguenze sulla qualificazione giuridica del fatto e sulla pena applicabile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 7796/2024) ci offre l’occasione per tornare su questo tema, chiarendo ancora una volta il criterio distintivo per definire il furto consumato.

I fatti del caso: il ricorso in Cassazione

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato in primo grado e in appello per due episodi di furto aggravato dalla destrezza. L’imputato, non rassegnato alla condanna, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i fatti avrebbero dovuto essere qualificati come mero tentativo di furto e non come reato consumato. Il ricorrente, in sostanza, chiedeva una derubricazione del reato, con una conseguente riduzione della pena. L’argomentazione difensiva si basava sull’idea che non fosse stata raggiunta una piena e sicura disponibilità dei beni sottratti.

La distinzione tra furto tentato e furto consumato

La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha colto l’occasione per ribadire un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità. Il criterio per distinguere il tentativo dal furto consumato non risiede nella durata del possesso o nella sicurezza di poter godere della refurtiva, ma in un momento preciso: quello in cui l’agente consegue la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della cosa sottratta.

Questo significa che il reato si perfeziona non appena il bene esce dalla sfera di vigilanza e controllo della vittima ed entra in quella dell’autore del reato. Anche se questo possesso dura solo per un brevissimo lasso di tempo, il reato è da considerarsi consumato. Il tentativo, al contrario, si configura quando l’azione criminale non giunge a compimento o l’evento non si verifica per cause indipendenti dalla volontà dell’agente.

La decisione della Suprema Corte

La Corte ha ritenuto il motivo di ricorso manifestamente infondato, in quanto si limitava a riproporre le medesime questioni già valutate e correttamente respinte dalla Corte d’Appello. I giudici di merito avevano infatti applicato in modo corretto il principio di diritto sopra esposto, ritenendo che, nei casi specifici, l’imputato avesse effettivamente acquisito, seppur per poco tempo, la disponibilità autonoma dei beni.

Le motivazioni

La motivazione della decisione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale (richiamando, tra le altre, la sentenza n. 48880 del 2018), secondo cui il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l’imputato consegua la piena disponibilità della refurtiva. La Corte ha sottolineato che il ricorso era meramente riproduttivo di censure già adeguatamente vagliate e disattese, senza introdurre nuovi e validi argomenti di diritto che potessero giustificare un annullamento della sentenza impugnata. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame conferma che per la configurazione del furto consumato è sufficiente che l’agente ottenga un’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, anche se per un periodo di tempo minimo e anche se successivamente la perda o venga fermato. Questa pronuncia ribadisce la rigidità della linea interpretativa della Cassazione e serve da monito: un ricorso che non solleva vizi di legittimità, ma si limita a riproporre una diversa lettura dei fatti già scartata dai giudici di merito, è destinato all’inammissibilità, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Quando un furto si considera consumato e non solo tentato?
Un furto si considera consumato nel momento in cui l’autore del reato acquisisce la piena, autonoma ed effettiva disponibilità del bene sottratto, facendolo uscire dalla sfera di controllo della vittima.

È sufficiente un possesso molto breve della refurtiva per aversi un furto consumato?
Sì, la giurisprudenza confermata da questa ordinanza stabilisce che il reato è consumato anche se l’agente consegue la disponibilità della refurtiva per un tempo brevissimo.

Cosa accade se un ricorso in Cassazione si limita a riproporre argomenti già respinti in appello?
Se il ricorso è una mera riproduzione di censure già esaminate e respinte dal giudice di merito, senza sollevare nuove questioni di legittimità, viene dichiarato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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