Furto consumato: quando un furto si può definire perfezionato?
La distinzione tra tentativo e consumazione nei reati contro il patrimonio, e in particolare nel furto, è una questione di cruciale importanza nel diritto penale. Stabilire l’esatto momento in cui il reato si perfeziona ha dirette conseguenze sulla qualificazione giuridica del fatto e sulla pena applicabile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 7796/2024) ci offre l’occasione per tornare su questo tema, chiarendo ancora una volta il criterio distintivo per definire il furto consumato.
I fatti del caso: il ricorso in Cassazione
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato in primo grado e in appello per due episodi di furto aggravato dalla destrezza. L’imputato, non rassegnato alla condanna, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i fatti avrebbero dovuto essere qualificati come mero tentativo di furto e non come reato consumato. Il ricorrente, in sostanza, chiedeva una derubricazione del reato, con una conseguente riduzione della pena. L’argomentazione difensiva si basava sull’idea che non fosse stata raggiunta una piena e sicura disponibilità dei beni sottratti.
La distinzione tra furto tentato e furto consumato
La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha colto l’occasione per ribadire un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità. Il criterio per distinguere il tentativo dal furto consumato non risiede nella durata del possesso o nella sicurezza di poter godere della refurtiva, ma in un momento preciso: quello in cui l’agente consegue la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della cosa sottratta.
Questo significa che il reato si perfeziona non appena il bene esce dalla sfera di vigilanza e controllo della vittima ed entra in quella dell’autore del reato. Anche se questo possesso dura solo per un brevissimo lasso di tempo, il reato è da considerarsi consumato. Il tentativo, al contrario, si configura quando l’azione criminale non giunge a compimento o l’evento non si verifica per cause indipendenti dalla volontà dell’agente.
La decisione della Suprema Corte
La Corte ha ritenuto il motivo di ricorso manifestamente infondato, in quanto si limitava a riproporre le medesime questioni già valutate e correttamente respinte dalla Corte d’Appello. I giudici di merito avevano infatti applicato in modo corretto il principio di diritto sopra esposto, ritenendo che, nei casi specifici, l’imputato avesse effettivamente acquisito, seppur per poco tempo, la disponibilità autonoma dei beni.
Le motivazioni
La motivazione della decisione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale (richiamando, tra le altre, la sentenza n. 48880 del 2018), secondo cui il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l’imputato consegua la piena disponibilità della refurtiva. La Corte ha sottolineato che il ricorso era meramente riproduttivo di censure già adeguatamente vagliate e disattese, senza introdurre nuovi e validi argomenti di diritto che potessero giustificare un annullamento della sentenza impugnata. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame conferma che per la configurazione del furto consumato è sufficiente che l’agente ottenga un’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, anche se per un periodo di tempo minimo e anche se successivamente la perda o venga fermato. Questa pronuncia ribadisce la rigidità della linea interpretativa della Cassazione e serve da monito: un ricorso che non solleva vizi di legittimità, ma si limita a riproporre una diversa lettura dei fatti già scartata dai giudici di merito, è destinato all’inammissibilità, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Quando un furto si considera consumato e non solo tentato?
Un furto si considera consumato nel momento in cui l’autore del reato acquisisce la piena, autonoma ed effettiva disponibilità del bene sottratto, facendolo uscire dalla sfera di controllo della vittima.
È sufficiente un possesso molto breve della refurtiva per aversi un furto consumato?
Sì, la giurisprudenza confermata da questa ordinanza stabilisce che il reato è consumato anche se l’agente consegue la disponibilità della refurtiva per un tempo brevissimo.
Cosa accade se un ricorso in Cassazione si limita a riproporre argomenti già respinti in appello?
Se il ricorso è una mera riproduzione di censure già esaminate e respinte dal giudice di merito, senza sollevare nuove questioni di legittimità, viene dichiarato inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7796 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7796 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/06/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che l’imputato COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Roma ne ha confermato la condanna per due episodi di furto con destrezza (artt. 624, 625, comma primo, n. 4, cod. pen.);
Considerato che l’unico motivo di ricorso, che insiste per la derubricazione dei fatti nella ipotesi tentata – è meramente riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito (cfr. pag. 2) che si è pienamente conformato agli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità secondo cui il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l’imputato consegua, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva (Sez. 5, n. 48880 del 17/09/2018, S., Rv. 274016 – 01);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 07/02/2024