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Furto consumato: quando si perfeziona il reato?

Un’imputata ricorre in Cassazione sostenendo che il suo furto fosse solo tentato. La Corte dichiara il ricorso inammissibile, ribadendo che il furto consumato si perfeziona nel momento in cui si ottiene la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, anche se per un breve istante. La Corte ha inoltre giudicato inammissibile il motivo sulla recidiva, in quanto mera riproposizione di censure già esaminate.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto Consumato: Quando un Tentativo Diventa Reato Pieno?

La distinzione tra furto tentato e furto consumato è una delle questioni più dibattute nelle aule di giustizia e riveste un’importanza cruciale per determinare la gravità del reato e l’entità della pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce su questo tema, definendo con chiarezza il momento esatto in cui il reato si considera perfezionato. Analizziamo insieme la decisione per comprendere i principi di diritto applicati e le loro implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso: La Controversia sulla Qualificazione del Reato

Il caso nasce dal ricorso presentato da un’imputata, condannata in primo e secondo grado per il reato di furto in concorso, previsto dagli articoli 110 e 624-bis del codice penale. La Corte d’Appello di Roma aveva confermato la sua responsabilità penale.
L’imputata, non rassegnandosi alla decisione, ha proposto ricorso per Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. L’errata qualificazione giuridica del fatto: a suo dire, il reato non si era mai perfezionato e avrebbe dovuto essere qualificato come mero tentativo di furto.
2. La mancata esclusione della recidiva.

La Questione Giuridica: Tentativo o Furto Consumato?

Il cuore della controversia risiede nel determinare il momento preciso in cui la sottrazione del bene altrui cessa di essere un tentativo per diventare un reato a tutti gli effetti. Secondo il nostro ordinamento, il tentativo si configura quando un soggetto compie atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, ma l’azione non si compie o l’evento non si verifica. Il reato consumato, invece, si ha quando tutti gli elementi della fattispecie criminosa si sono realizzati. Nel furto, questo confine è spesso sottile e dipende dalla possibilità che l’autore del reato ha avuto di disporre liberamente della refurtiva.

L’Analisi della Corte di Cassazione sul Furto Consumato

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo motivazioni chiare su entrambi i punti sollevati dalla difesa. Per quanto riguarda il primo motivo, i giudici hanno ritenuto la tesi del furto tentato manifestamente infondata. Sulla base della ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, è emerso che l’imputata aveva effettivamente conseguito la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva. Questo è il criterio decisivo: non importa per quanto tempo si sia mantenuto il possesso del bene rubato; anche un istante è sufficiente a integrare il reato consumato, purché in quell’istante l’agente abbia avuto il controllo esclusivo sulla cosa sottratta.

Il Motivo sulla Recidiva: Perché è Stato Ritenuto Inammissibile?

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla recidiva, è stato respinto. La Corte ha stabilito che non è possibile, in sede di legittimità, riproporre le stesse censure già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, a meno che non si sollevino critiche specifiche e puntuali contro le argomentazioni della sentenza impugnata. Nel caso di specie, il motivo era una semplice riproduzione di argomenti già vagliati, rendendolo così inammissibile.

Le Motivazioni

La decisione della Cassazione si fonda su due principi cardine.
Primo, il momento consumativo del furto coincide con l’acquisizione di una signoria di fatto sulla cosa sottratta, autonoma e indipendente dalla sfera di controllo del precedente detentore. La durata di tale possesso è irrilevante. Citando un precedente consolidato (Sez. 5, n. 48880 del 17/09/2018), la Corte ribadisce che il reato si perfeziona quando l’imputato riesce ad avere, anche solo per un breve lasso di tempo, la piena disponibilità della refurtiva.

Secondo, il giudizio di Cassazione non è un terzo grado di merito, ma un giudizio di legittimità. Ciò significa che non si possono riproporre le stesse questioni di fatto già decise, a meno che non si evidenzino vizi logici o giuridici nel ragionamento del giudice precedente. Il ricorso che si limita a ripetere le argomentazioni già disattese, senza una critica mirata, è destinato all’inammissibilità.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro su cosa costituisca furto consumato, offrendo un criterio netto per distinguirlo dal tentativo. In secondo luogo, serve da monito sulla corretta redazione dei ricorsi per Cassazione, che devono concentrarsi su specifiche violazioni di legge e non sulla riesposizione di fatti. La dichiarazione di inammissibilità ha comportato per la ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a conferma della serietà con cui vengono valutati i requisiti di ammissibilità dei ricorsi.

Quando si considera un furto ‘consumato’ e non solo ‘tentato’?
Un furto si considera consumato nel momento in cui l’autore del reato acquisisce la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva (i beni rubati), anche se tale disponibilità dura per un tempo molto breve.

È possibile riproporre in Cassazione gli stessi motivi di appello già respinti dal giudice precedente?
No, non è consentito in sede di legittimità (davanti alla Corte di Cassazione) riproporre profili di censura già adeguatamente esaminati e respinti dal giudice di merito, se il ricorso non contiene una specifica critica delle argomentazioni usate nella sentenza impugnata.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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