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Furto consumato: quando il reato è tentato?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per furto aggravato. L’imputato sosteneva si trattasse di mero tentativo, ma la Corte ribadisce che il furto consumato si realizza quando si ha la piena e autonoma disponibilità dei beni, anche per poco tempo, uscendo dalla sfera di controllo della vittima.

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Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto Consumato: la Cassazione traccia la linea di confine con il tentativo

Quando un furto può dirsi realmente compiuto e quando, invece, resta fermo allo stadio del tentativo? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32642/2024, torna a fare chiarezza su questo punto cruciale, ribadendo un principio fondamentale per distinguere le due fattispecie. L’analisi del caso offre spunti essenziali per comprendere il criterio della disponibilità autonoma della refurtiva, elemento chiave per definire il furto consumato.

I Fatti di Causa

Un uomo veniva condannato in primo grado e in appello, presso la Corte d’Appello di Bologna, per il reato di furto aggravato. Non accettando la decisione, l’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione, affidandosi a un unico motivo: la presunta erronea qualificazione giuridica del fatto. A suo dire, la condotta contestatagli non integrava un furto consumato, bensì un semplice tentativo, e lamentava una violazione di legge e un vizio di motivazione da parte dei giudici di merito.

L’unico motivo di ricorso: la distinzione tra furto consumato e tentato

Il ricorrente chiedeva alla Suprema Corte una riconsiderazione del suo caso, sostenendo che le circostanze di fatto avrebbero dovuto portare a una condanna per tentato furto. La difesa si concentrava sull’idea che l’imputato non avesse mai ottenuto una piena ed effettiva signoria sulla refurtiva. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha immediatamente evidenziato la natura del ricorso: non una critica a un errore di diritto, ma un tentativo di ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. Il ricorso, pertanto, si presentava già sotto una luce critica.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ragioni principali. In primo luogo, ha ribadito che il giudizio di cassazione non è una terza istanza di merito dove poter rimettere in discussione la ricostruzione dei fatti operata dai giudici dei primi due gradi di giudizio, a meno che la motivazione non sia palesemente illogica o contraddittoria, vizio non riscontrato nel caso di specie.

In secondo luogo, e qui sta il cuore della decisione, la Corte ha giudicato il motivo manifestamente infondato. Ha richiamato la sua consolidata giurisprudenza, che individua il criterio distintivo tra consumazione e tentativo nella circostanza che l’imputato consegua, anche solo per un breve lasso di tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva. Il furto consumato si realizza nel momento in cui i beni sottratti escono dalla sfera di vigilanza e controllo del soggetto passivo (la vittima) ed entrano nel dominio esclusivo dell’agente.

Al contrario, si rimane nell’ambito del tentativo se l’azione delittuosa viene monitorata fin dal suo inizio, ad esempio tramite osservazione diretta da parte della persona offesa, di addetti alla sorveglianza o delle Forze dell’Ordine. In questi casi, l’agente non consegue mai, neppure momentaneamente, un’autonoma disponibilità della refurtiva, poiché questa non è mai realmente uscita dalla sfera di controllo di chi poteva intervenire per impedirne la sottrazione definitiva.

Le conclusioni

L’ordinanza conferma un principio di diritto solido e di grande importanza pratica. Il discrimine tra tentativo e consumazione non risiede nella durata del possesso, ma nella qualità dello stesso. È sufficiente che l’autore del reato abbia avuto per un istante la possibilità di disporre liberamente della cosa rubata, al di fuori del controllo diretto della vittima, perché si possa parlare di furto consumato. La continua sorveglianza, invece, impedisce che tale passaggio di potere avvenga, mantenendo il fatto entro i confini del tentativo. A seguito della declaratoria di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Qual è il criterio distintivo tra furto tentato e furto consumato secondo la Cassazione?
Il criterio risiede nel conseguimento, da parte dell’imputato, della piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, anche se per un breve periodo. Se l’agente ottiene questo controllo, il furto è consumato; in caso contrario, rimane allo stadio di tentativo.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché non lamentava un errore di diritto, ma mirava a ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività non consentita in sede di Cassazione. Inoltre, il motivo è stato ritenuto manifestamente infondato perché in contrasto con i principi consolidati della giurisprudenza.

Cosa succede se l’azione di furto è costantemente monitorata?
Se la condotta delittuosa è monitorata sin dall’inizio (ad esempio, dalla vittima, da guardie giurate o dalla polizia), l’agente non consegue mai un’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva. Di conseguenza, il reato non si consuma e la condotta viene qualificata come tentativo di furto, poiché i beni non escono mai dalla sfera di vigilanza e controllo del soggetto passivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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