Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 33199 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 33199 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 18/04/1993
avverso la sentenza del 12/12/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il PubblicojinstroCOGNOME in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha cocdtso chiedendo
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 12/12/2024, la Corte d’Appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale del medesimo capoluogo appellata da NOME COGNOME con la quale il predetto era stato condannato per il reato di furto in abitazione aggravato ai sensi dell’art. 625, comnna 1, n. 2 cod. pen., così riqualificato il fatto allo stesso ascritto nella imputazione.
Il ricorrente, alla stregua di quanto riportato nel capo d’imputazione, era chiamato a rispondere del reato di cui agli artt. 110, 56, 624-bis, 625 n. 2, 61 n. 5 cod. pen., “perché in concorso con NOME COGNOME per il quale si procede separatamente, si introducevano all’interno dell’abitazione di COGNOME NOME e COGNOME NOME durante la loro assenza, dopo aver tranciato le inferriate e rotto il vetro di una porta, ponendo in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di numerosi monili d’oro rinvenuti in un vano delle scale nel percorso del tentativo di fuga di COGNOME non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla sua volontà perché veniva sorpreso dalle Forze di Polizia. Con l’aggravante del fatto commesso con violenza sulle cose ed in circostanza tale da impedire la pubblica e privata difesa perché commesso in tempo di notte”.
I giudici di merito, nelle sentenze conformi, ritenevano dimostrata la sussistenza della fattispecie del furto in abitazione consumato, aggravato dalla violenza sulle cose, risultando dalle emergenze probatorie che l’imputato avesse conseguito il possesso dei beni sottratti, sia pure per breve tempo, introducendosi nell’abitazione delle vittime dopo avere danneggiato il vetro e l’inferriata.
NOME ha proposto ricorso per cassazione a mezzo di difensore, deducendo:
Violazione e falsa applicazione degli artt. 56 e 624-bis cod. pen.; contraddittorietà della motivazione per illogicità intra ed extratestuale; erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in ordine alla mancata configurazione del reato di cui all’art. 624-bis cod. pen. nella forma tentata, erronea e/o apparente motivazione sul punto; conflitto di giudicati ex art. 28 cod. proc. pen., illogicità intratestual della motivazione.
La Corte territoriale non avrebbe fornito idonea motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi di fatto, con particolare riferimento
al comportamento addebitato all’imputato. GLYPH Dal GLYPH contenuto della informativa in atti, risulta che l’imputato, in un primo momento, è stato avvistato all’interno dell’appartamento mentre tentava di uscire dalla portafinestra dell’abitazione. Successivamente – qui si rileva l’illogicità della motivazione – la localizzazione e l’arresto dell’imputato sarebbero avvenuti nel pianerottolo del piano superiore dell’appartamento delle persone offese e la perquisizione personale a suo carico dava esito negativo.
Il rinvenimento dei diversi oggetti sarebbe avvenuto all’ultimo piano del condominio dove aveva trovato rifugio il coimputato.
La Corte d’appello ha ritenuto di confermare la condanna per furto consumato accomunando posizioni processuali differenti. E’ erroneo ritenere che l’impossessamento della refurtiva sia avvenuto ad opera di entrambi gli imputati.
Non può affermarsi che il ricorrente abbia esercitato un potere sui beni in considerazione del fatto che: 1. La perquisizione sulla persona del ricorrente ha dato esito negativo; 2. I beni sono stati rinvenuti nella disponibilità di altro soggetto ed in luogo diverso da quello in cui è stato identificato e bloccato COGNOME; 3 l’azione è stata interrotta dall’intervento della Polizia; 4. Il ricorrente è stato rinvenuto senza monili all’interno del condominio dal quale, peraltro, non aveva possibilità di uscita.
Tali elementi avrebbero dovuto indurre la Corte territoriale a ritenere che l’iter criminis non si fosse esaurito, in quanto l’azione delittuosa non ha raggiunto la massima gravità concreta fermandosi allo stadio di tentativo.
M Violazione ed erronea applicazione della legge penale per illogicità e carenza di motivazione circa l’asserita irrilevanza sostenuta dalla Corte territoriale tra la vicenda in esame e la diversa qualificazione giuridica del fatto che ha riguardato il coimputato; conflitto di giudicati ex art. 28 cod. proc. pen.; manifesta illogicità extratestuale della motivazione.
Il P.M. titolare delle indagini ha sempre contestato il tentativo di furto in abitazione; il coimputato ha definito la sua posizione con sentenza di patteggiamento che ha riguardato la fattispecie del tentato furto in abitazione.
La Corte di merito ha erroneamente ritenuto di non riconoscere nella vicenda in esame un contrasto di giudicati.
La sentenza citata in motivazione a sostegno del decisum è inconferente in quanto il caso ivi trattato riguardava due diverse pronunce emesse all’esito del giudizio ordinario e del rito abbreviato.
Nel caso che occupa, il giudizio abbreviato ed il patteggiamento sono entrambi giudizi allo stato degli atti.
III) Violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza di tutti i motivi dedotti.
Quanto alla prima doglianza, la Corte territoriale, tenendo conto degli argomenti difensivi con i quali l’appellante aveva censurato la sentenza di primo grado, ha offerto una logica e coerente motivazione in ordine alle ragioni poste a fondamento del decisum in punto di affermazione della penale responsabilità dell’imputato.
In particolare, con riferimento al rilievo riguardante la mancanza di prove circa l’impossessamento della refurtiva da parte dell’imputato, ha posto in evidenza come l’imputato, all’atto dell’intervento del personale di Polizia, dopo essersi allontanato repentinamente dall’abitazione delle persone offese, trovò rifugio nel vano scala dell’ultimo piano del condominio, dove venne anche rinvenuta una parte dei monili in oro sottratti dall’abitazione dei coniugi COGNOME. Altra parte dei preziosi asportati furono invece rinvenuti nella disponibilità del correo COGNOME rintracciato in un secondo momento sempre nel vano scale del condominio in cui insisteva l’appartamento dei coniugi trafugato.
Ebbene, risulta piuttosto evidente dalla ricostruzione offerta in sentenza come il convincimento espresso dai giudici di merito nelle conformi sentenze sia basato su criteri inferenziali coerenti e logici, non suscettibili, in quanto tali, d essere censurati in questa sede.
La responsabilità penale dell’imputato è stata infatti ritenuta dimostrata sulla base della circostanza che egli fu sorpreso nell’appartamento delle vittime ed alla luce del complessivo comportamento serbato nella immediatezza dei fatti (fuga alla vista della Polizia, ritrovamento di parte della refurtiva nel luogo in cui il ricorrente aveva cercato di nascondersi).
I rilievi difensivi oltre ad essere riproduttivi di doglianze già attentamente vagliate dalla Corte di merito e disattese con argomentazioni puntuali, risultano essere palesemente versati in fatto.
Come è noto, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (ex multis Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F. Rv. 280601).
La circostanza in base alla quale la refurtiva non fu trovata nel luogo in cui si era nascosto il ricorrente alla vista della Polizia, ma nella sola disponibilità del coimputato, riveste connotati puramente avversativi rispetto a quanto argomentato in sentenza. Per fare valere la discrasia rilevata nella ricostruzione dei fatti, la difesa avrebbe dovuto prospettare il vizio del travisamento della prova – non dedotto in questa sede – osservando l’onere di allegare l’atto integrale dal quale dovrebbe evincersi che i giudici abbiano fondato la decisione su una prova incontestabilmente diversa (cfr., ex multis, Sez. 1, n. 6112 del 22/01/2009, COGNOME, Rv. 243225).
In ogni caso, avendo i due correi agito in concorso – circostanza correttamente sostenuta nella motivazione della sentenza sulla base della considerazione di tutte le emergenze probatorie – risulta non dirimente comprendere in quale punto del piano scala dello stabile furono rinvenuti i preziosi sottratti dall’abitazione dei coniugi e chi materialmente effettuò l’asportazione.
Con specifico riferimento alla qualificazione giuridica del fatto, essendo stata la refurtiva asportata dall’abitazione delle vittime e collocata nel vano scala del condominio si configura a carico del ricorrente la fattispecie del furto consumato. Secondo consolidato orientamento di questa Corte, risponde di furto consumato e non semplicemente tentato chi, dopo essersi impossessato della refurtiva, non si sia ancora allontanato dal luogo della sottrazione e abbia esercitato sulla cosa un potere del tutto momentaneo, essendo stato costretto ad abbandonarla subito dopo il fatto per il pronto intervento dell’avente diritto o della polizia (si vedano in proposito Sez. 5, n. 17045 del 20/02/2001, COGNOME, Rv. 219030:”Risponde di furto consumato e non semplicemente tentato colui che abbia nascosto sulla sua persona la cosa sottratta, anche se non si sia allontanato dal luogo della sottrazione ed abbia esercitato un potere del tutto temporaneo sulla refurtiva, essendo poi stato costretto ad abbandonarla subito dopo il fatto, in conseguenza dell’altrui pronto intervento”; Sez. 5, n. 2726 del 24/10/2016, COGNOME, Rv. 269088:”Risponde del delitto di furto consumato e non tentato colui che, pur non essendosi allontanato dal luogo di commissione del reato, abbia ivi occultato la refurtiva, così sottraendola al controllo della persona
offesa e acquisendone il possesso”; Sez. 5, n. 7704 del 05/05/1993, Gallo, Rv. 194483). Ciò che rileva, infatti, ai fini della configurazione del reato consumato è che il soggetto agente si sia impossessato della cosa sottratta anche per brevissimo tempo (ex multis Sez. 4, n. 31461 del 03/07/2002, COGNOME, Rv. 222270:”In tema di furto, il reato può dirsi consumato nell’ipotesi in cui la cosa sia sottratta al possessore e l’agente se ne sia impossessato, anche per brevissimo tempo, sfuggendo alla cerchia di vigilanza di quest’ultimo; non rileva a tal fine il fatto che l’agente sia stato costretto ad abbandonare la refurtiva, immediatamente dopo la sottrazione, per l’intervento del tutto aleatorio di un terzo estraneo alla sfera di vigilanza del possessore derubato”).
5. Del pari inammissibile è il secondo motivo di ricorso. Correttamente la Corte d’appello ha sostenuto come il diverso esito processuale di giudizi svolti a carico di più persone per il medesimo fatto non possa dare luogo al contrasto di giudicati, invocato dalla difesa ex art. 28 cod. proc. pen., in realtà riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., legittimante i giudizio di revisione.
Il fatto, all’esito del giudizio che occupa, è stato qualificato come furto consumato sulla base di una applicazione ineccepibile dei principi ermeneutici sopra illustrati.
La divergenza tra l’esito del giudizio conclusosi con il patteggiamento a carico del coimputato – a cui è stata applicata la pena per il reato di tentato furto in abitazione – e quello di cui al presente giudizio, conclusosi con sentenza di condanna per il reato di furto in abitazione consumato, non determina il contrasto lamentato.
In base a consolidato orientamento di questa Corte, il contrasto di giudicati non ricorre nell’ipotesi in cui due diversi giudici attribuiscano una diversa valutazione giuridica a fatti ricostruiti, sotto il profilo della lo verificazione oggettiva, in maniera identica nei due processi (Sez. 6, n. 12030 del 04/03/2014, COGNOME, Rv. 259461).
La ratio è insita nel fatto che l’ordinamento lascia integra l’autonomia e la libertà di ciascun giudice nella valutazione giuridica di un fatto e conseguente formulazione del giudizio, attività a lui istituzionalmente riservate.
Si è anche precisato come tale principio valga ancor più nel caso in cui il diverso esito sia dipeso dalla diversità del rito prescelto [cfr. Sez. 6, n. 16477 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 283317:”In tema di revisione, non sussiste contrasto fra giudicati agli effetti dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. se i fatti posti a base delle due decisioni, attribuiti a più concorrenti nel medesimo reato, siano stati identicamente ricostruiti dal punto di vista del loro accadimento
oggettivo ed il diverso epilogo giudiziale sia il prodotto di difformi valutazioni di quei fatti – specie se dipese dalla diversità del rito prescelto nei separati giudizi e dal correlato, diverso regime di utilizzabilità delle prove – dovendosi intendere il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili non in termini di mero contrasto di principio tra le decisioni, bensì con riferimento ad un’oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui esse si fondano. (Fattispecie relativa a reato di turbata libertà degli incanti, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure il rigetto dell’istanza di revisione avanzata dall’istigatore, condannato in sede di giudizio abbreviato, in relazione alla assoluzione “perché il fatto non sussiste” pronunciata, in esito a giudizio ordinario, in favore dei soggetti istigati)”].
Il principio può trovare applicazione anche nel caso in esame, dovendo considerarsi come il rito del patteggiannento abbia connotati diversi dal rito abbreviato: sebbene sia richiesto che il giudice del patteggiamento si pronunci sulla corretta qualificazione giuridica, la delibazione da svolgersi in quella sede è di tipo sommario e tendente ad evitare che l’accordo sul fatto si traduca in un accordo sulla pena.
In ogni caso, come osservato correttamente dalla Corte territoriale, nel capo d’imputazione elevato a carico di entrambi gli imputati si legge come la refurtiva fosse stata asportata dall’appartamento e ritrovata nel vano scale, circostanza che legittima, alla luce dei principi ermeneutici sopra richiamati, l’inquadramento giuridico operato in sentenza.
La sentenza è scevra dai vizi denunciati quanto alla mancata applicazione dell’istituto di cui all’art. 131-bis cod. pen. (ultimo motivo di ricorso).
Il reato di furto in abitazione aggravato dalla violenza sulle cose è punito con la pena minima di anni 5 di reclusione oltre la multa.
Ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., nella formulazione più favorevole introdotta dal d.lgs 150/2022, il beneficio può essere concesso nel caso di reati puniti con pena detentiva non superiore nel minimo a due anni di reclusione. Pertanto, la corretta qualificazione del fatto in termini di furto in abitazione consumato, aggravato ai sensi dell’art. 625 n. 2 cod. pen., osta al riconoscimento del beneficio.
Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in euro tremila in favore
della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Deciso in Roma il 23 settembre 2025