Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13618 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13618 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ATTENNI NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/04/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
letta la memoria conclusiva depositata dall’AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente, che ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto I ‘accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma, con la sentenza emessa il 21 aprile 2023, riformava quella del Tribunale capitolino riducendo la pena inflitta e confermando la sentenza nel resto, in ordine alla responsabilità penale di NOME COGNOME per il delitto previsto dall’art. 624-bis cod. pen. perché, in concorso con altro imputato, si introduceva all’interno del garage di proprietà di NOME COGNOME, impossessandosi di un televisore e di una bicicletta, risultando contestata anche la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce violazione di legge lamentando che la Corte di appello avrebbe dovuto riqualificare la condotta posta in essere in tentativo di furto, in quanto la circostanza che la refurtiva era stata posta nel bagagliaio dell’auto in uso al ricorrente – rimanendo intrappolato all’interno dell’area condominiale, essendogli stata impedita la via di fuga dall’intervento del portiere, che chiudeva il cancello di uscita dall’area interessata – escluderebbe che i beni fossero al di fuori dall’area di vigilanza e di controllo del soggetto passivo.
Il secondo motivo deduce violazione della legge penale in relazione alla ritenuta recidiva, in quanto la sentenza impugnata non avrebbe dato conto, procedendo a una applicazione automatica, della maggiore pericolosità e riprovevolezza conseguente alla condotta delittuosa posta in essere, giustificante l’aumento per la recidiva.
Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte – ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. 127 del 2020 – chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso, rilevando come il primo motivo fosse meramente reiterativo di quello di appello, il secondo manifestamente infondato.
La difesa del ricorrente ha chiesto accogliersi il ricorso, illustrando, in replica alla requisitoria della Procura generale, per un verso come il primo motivo si fondi sulla circostanza che l’autore del furto non aveva l’autonoma ed effettiva disponibilità delle cose sottratte, tanto da poterle utilizzare liberamente, per altro verso ribadendo il secondo motivo.
Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina proroc;iata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5duodedies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Quanto al primo motivo la Corte di appello esclude la fondatezza della tesi difensiva, ora prospettata e già proposta nelle medesime forme con il motivo di appello.
A ben vedere la Corte territoriale ha chiarito come all’arrivo del portiere la refurtiva fosse stata già caricata in auto, cosicché il portiere, chiudendo il relativo cancello, ha impedito ai due la fuga con l’autovettura contenente la refurtiva.
In sostanza, la Corte esclude che vi sia stata osservazione e controllo durante la fase di appropriazione, rilevando come il portiere giunse dopo che l’impossessamento era già intervenuto.
Con tali argomenti non si confronta in modo specifico il primo motivo dì ricorso che, dunque, a buona ragione la Procura generale ritiene non consentito, in quanto meramente reiterativo di quello di appello.
Per altro, il motivo è anche manifestamente infondato, in quanto nel caso di specie difetta la vigilanza e il controllo nel corso dell’azione appropriativa.
Basti qui richiamare l’autorevole orientamento che ha ritenuto che in caso di furto in supermercato, il monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell’ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo “in continenti”, impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l’agente conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo (Sez. U, n. 52117 del 17/07/2014, Prevete, Rv. 261186 01).
È evidente che nel caso in esame la Corte di appello correttamente, avendo escluso che vi fosse stato il monitoraggio dell’azione in costanza di appropriazione, abbia ritenuto intervenuta la consumazione: d’altro canto, è stato osservato come il reato di furto si consumi quando il bene trafugato passa, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in cui è stato sottratto, sotto il dominio esclusivo dell’agente, sicché sono irrilevanti sia il fatto che la “res furtiva” rimanga nella sfera di vigilanza della persona offesa, con la possibilità del suo pronto recupero, sia la durata del possesso, sia, infine, le modalità di custodia e di trasporto (Sez. 5, n. 33605 del 17/06/2022, T., Rv. 283544 – 01). In caso del tutto analogo a quello in esame, relativo ad un furto in appartamento, è stato in modo condivisibile
osservato che risponde del delitto di furto in abitazione consumato, e non tentato, colui che abbia conseguito l’autonoma disponibilità dei beni sottratti, uscendo dall’abitazione, sebbene sia stato poi fermato dalle forze dell’ordine prima di uscire dall’area condominiale (Sez. 4, n. 11683 del 27/11/2018, dep, 2019, Arena, Rv. 275278 – 01). Il motivo è dunque, comunque, manifestamente infondato.
Quanto alla seconda doglianza, deve rilevarsi come la Corte territoriale abbia fatto proprio l’argomentare del primo giudice, che non si era limitato a richiamare le cinque precedenti condanne, ne aveva rilevato la natura di precedente specifico per due e poi la commissione del fatto per cui si procede nel quinquiennio: la Corte in modo non manifestamente illogico e correttamente aggiunge che tali circostanza costituiscano la riprova della maggiore pericolosità dell’imputato, in linea con i principi per cui l’aumento per la recidiva si giustific se il nuovo episodio criminoso sia «concretamente significativo – in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti ed avuto riguardo ai parametri indicati dall’art. 133 cod. pen. – sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo» (Corte cost, sent. n. 192 del 2007).
In altri termini, costituisce «precipuo compito del giudice del merito verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosità, tenendo conto della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualità dei comportamenti, del margine di offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità esistente fra loro, dell’eventuale occasionalità della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero ed indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali» (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibe’, Rv. 247838),
Tali elementi sono tutti valutati dalla Corte territoriale cosicché il motivo è manifestamente infondato.
Il ricorso è pertanto inammissibile e ne consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso in Roma, 06/12/2023
Il Consigliere estensore
GLYPH
Il Presiden