Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11884 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11884 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/03/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/09/2022 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza del Tribunale di Catania del 5 maggio 2021, emessa a seguito di giudizio abbreviato, con la quale COGNOME NOME e COGNOME NOME erano stati condannati alla pena di mesi otto di reclusione ed euro 200,00 di multa, in relazione al reato di cui agli artt. 61, n.5, 110, 624 e 625, n. 2, cod. pen.
Entrambi gli imputati, a mezzo di unico difensore, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo tre motivi di impugnazione.
2.1.Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della fattispecie tentata nel reato di furto.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n.4, cod. pen..
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate e riconosciute aggravanti.
3. Il ricorso è inammissibile.
Con riferimento al primo motivo di ricorso, va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, risponde del delitto di furto consumato e non tentato colui che, pur non essendosi allontanato dal luogo di commissione del reato, abbia conseguito, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva (Sez. 4, n. 11683 del 27/11/2018, dep. 2019, Arena, Rv. 275278; Sez. 5, n. 48880 del 17/9/2018, S., Rv. 274016; Sez. 5, n. 2726 del 24/10/2016, dep. 2017, Pavone, Rv. 269088).
In linea con tale principio, la Corte territoriale ha rilevato che i ricorrenti avevano asportato le casse di birra dal rimorchio, per poi collocarle a significativa distanza dallo stesso, ai fini di un successivo trasferimento in altro luogo. Per tale ragione la Corte di merito ha correttamente ritenuto già concretizzato il rischio di dispersione delle casse in conseguenza dello spostamento delle medesime, aggiungendo che l’azione criminosa non si era svolta sotto la costante sorveglianza del personale di vigilanza dell’area portuale.
In ordine al secondo motivo di ricorso, va premesso che la concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subìto in conseguenza della
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sottrazione della res, senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato (Sez. 4, n. 6635 del 19/01/2017, Sicu, Rv. 269241; Sez. U, n. 35535 del 12/07/2007, COGNOME, Rv. 236914).
L’attenuante del danno di speciale tenuità presuppone un giudizio complesso che prenda in considerazione tutti gli elementi della fattispecie concreta necessari per accertare non il solo danno patrimoniale, ma il danno criminale nella sua globalità, cosicché, ai fini della sua configurabilità nel reato di furto, non possono essere ritenuti determinanti i soli parametri dell’entità lievissima del pregiudizio causato alla persona offesa e il valore irrisorio del bene sottratto (Sez. 5, n. 344 del 26/11/2021, dep. 2022, Ghirasam, Rv. 282402).
Alla luce dei predetti elementi, tenuto conto non solo del valore della refurtiva (euro quattrocento) e del danno cagionato al telone del semirimorchio, la Corte di merito ha considerato negativamente le modalità dell’azione.
5. In relazione al terzo ed ultimo motivo di ricorso, va rilevato che, secondo le Sezioni Unite di questa Corte, alla quale la giurisprudenza successiva si è allineata, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931; Sez. 2, n. 31543 dell’08/06/2017, COGNOME, Rv. 270450).
Il giudizio di bilanciamento tra le circostanze aggravanti ed attenuanti, pertanto, costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., senza che occorra un’analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati (Sez. 5 , n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838 – 02), essendo rilevante che il giudizio sia condotto mediante apprezzamento degli elementi così individuati, condotto in modo logico e coerente rispetto a quelli concorrenti di segno opposto (Sez. 1, n. 17494 del 18/12/2019, dep. 2020, Defilippi, Rv. 279181 – 02).
Il giudizio di comparazione, peraltro, risulta sufficientemente motivato, quando il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale previsto dall’art. 69 cod. pen. scelga la soluzione dell’equivalenza, anziché della prevalenza delle attenuanti, ritenendola quella più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. 2, n. 31531 del 16/05/2017, Pistilli, Rv. 270481).
Alla luce dei predetti principi, nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata, va ritenuta congrua ed adeguata, avendo la Corte di merito sottolineato
l’assenza di elementi idonei a formulare un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti contestate, evidenziando di aver valutato le condizioni soggettive ed economico-sociali degli imputati.
Per tali ragioni i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila ciascuno, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno alla Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma il 14 marzo 2024.