Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34574 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7   Num. 34574  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/10/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/01/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Per mezzo del comune difensore di fiducia, NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma indicata in epigrafe. Con questa sentenza, è stata confermata la condanna pronunciata, all’esito di giudizio abbreviato, dal Tribunale di Roma per il reato di cui agli artt. 110, 624, 625 2, n. 5 e n. 7 cod. pen. del quale gli odierni ricorrenti sono stati ritenut responsabili, in concorso tra loro, per essersi impossessati, previa effrazione, di una Fiat Punto parcheggiata sulla pubblica via sottraendola al legittimo proprietario. Il furto è stato ascritto a NOME COGNOMECOGNOME quale autore materiale, e agli altri, a titolo di concorso, per averlo coadiuvato nell’azione illecita, avergl fornito gli utensili necessari all’effrazione e aver aspettato che portasse a termine l’azione criminosa a bordo di una Fiat Panda, ferma in doppia fila con le frecce di sosta inserite. I ricorrenti deducono, con l’unico comune motivo, violazione di legge e vizi di motivazione per essere stato qualificato il fatto come delitto consumato e non come delitto tentato. Sostengono che NOME COGNOME non conseguì neppure momentaneamente il possesso dell’auto sottratta perché l’intera condotta fu osservata dalla PG, che avrebbe potuto intervenire ad impedire la consumazione, ma non lo fece e, tuttavia, non perse mai di vista gli spostamenti degli imputati, tanto da aver bloccato l’auto quando la stessa aveva percorso un centinaio di metri.
Rilevato che analoga argomentazione, sviluppata nei motivi di gravame, è stata disattesa dalla Corte di appello, secondo la quale: NOME COGNOME riuscì, «previa manomissione della serratura e dell’apparecchio di avviamento, ad entrare nel veicolo, ad accenderlo e a spostarlo dal luogo ove era stato parcheggiato» (pag. 5); gli operanti si insospettirono per il suo comportamento, ma, per intervenire, dovettero invertire il senso di marcia, dunque aspettare che le condizioni del traffico lo permettessero; quando raggiunsero NOME COGNOME, questi era alla guida dell’auto, si era spostato di qualche metro e «aveva impegnato la corsia di marcia».
Rilevato che, secondo la Corte di appello, non rileva ai fini della qualificazione del furto come tentato la circostanza che tale condotta sia stata osservata a distanza dagli operanti. Secondo la sentenza impugnata, infatti, per impedire «che il bene esca dalla sfera di controllo» della vittima (e impedire, di conseguenza, che l’autore del fatto consegua la signoria sul bene sottratto), è necessaria la concomitante vigilanza della persona offesa o di un suo incaricato (pag. 6).
Rilevato che la motivazione è conforme ai principi di diritto che regolano la materia secondo i quali: «Integra il delitto di furto nella forma consumata la condotta di chi, dopo aver acquisito la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, anche se per breve tempo, venga bloccato dalla polizia giudiziaria che lo aveva monitorato, posto che tale osservazione a distanza non solo non avviene ad opera della persona offesa o di suoi incaricati, ma neppure impedisce il conseguimento dell’autonomo possesso del bene prima dell’arresto in flagranza. (In motivazione la Corte ha precisato che non ha rilevanza, ai fini della configurabilità della fattispecie nella forma consumata, l’osservazione a distanza della polizia, sia in quanto frutto di un’iniziativa occasionale, sia in quanto costituisca l’esito di una pregressa attività di indagine già in corso a carico del reo)» (Sez. 5, n. 17715 del 16/04/2025, Rv. 288010).
Ritenuta la manifesta infondatezza e, quindi, l’inammissibilità dei ricorsi. Rilevato che alla inammissibilità consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Ritenuto che, in ragione della causa di inammissibilità, ciascun ricorrente debba essere condannato anche al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7 ottobre 2025
Il Consigliere  tensore