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Furto consumato: quando il reato è completo?

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per furto in un supermercato. Si conferma che il furto consumato si realizza con l’acquisizione dell’autonoma disponibilità della merce, anche se l’arresto avviene fuori dal negozio. Negate le attenuanti e la non punibilità per via dei precedenti penali.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto Consumato in Supermercato: La Cassazione e il Momento della Consumazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 45368/2024, torna a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penale: la distinzione tra furto tentato e furto consumato. Il caso riguarda una donna condannata per aver sottratto beni da un supermercato. La sua difesa sosteneva che il reato non si fosse mai perfezionato, ma i giudici supremi hanno respinto tale tesi, dichiarando il ricorso inammissibile e consolidando un principio fondamentale: ciò che conta è l’acquisizione dell’autonoma disponibilità della merce.

I Fatti del Caso: Furto e Impugnazione

Una donna, in concorso con un’altra persona, sottraeva della merce da un supermercato. Le due venivano fermate successivamente, già a bordo di un’autovettura, in possesso dei sacchetti contenenti i beni rubati. La Corte d’Appello di Catanzaro confermava la condanna per furto. L’imputata decideva quindi di ricorrere in Cassazione, affidandosi a cinque motivi di impugnazione che spaziavano dalla qualificazione del fatto alla dosimetria della pena.

I Motivi del Ricorso: Tentativo, Attenuanti e Non Punibilità

La difesa dell’imputata contestava la decisione dei giudici di merito su più fronti:
1. Errata qualificazione del reato: Si sosteneva che i fatti dovessero essere inquadrati come delitto tentato e non consumato.
2. Mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p.: Si chiedeva il riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
3. Diniego delle attenuanti generiche: Si lamentava la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche previste dall’art. 62-bis c.p.
4. Vizio sulla dosimetria della pena: Si contestava il calcolo della sanzione applicata.

L’analisi della Cassazione sul furto consumato

La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi proposti una mera riproposizione di censure già esaminate e correttamente respinte dalla Corte d’Appello. Il punto centrale della decisione riguarda la distinzione tra tentativo e consumazione. I giudici hanno chiarito che non si può parlare di delitto tentato quando l’agente acquisisce un’autonoma disponibilità delle cose sottratte. Nel caso specifico, il fatto che le donne fossero state fermate a bordo di un’auto, già in possesso della merce, dimostrava che avevano superato la sfera di sorveglianza del supermercato e avevano il pieno e indipendente controllo dei beni. Il reato, quindi, si era già perfezionato in tutti i suoi elementi.

Il Diniego delle Attenuanti e della Causa di Non Punibilità

Anche gli altri motivi di ricorso sono stati ritenuti infondati. La Cassazione ha confermato la correttezza della decisione della Corte territoriale di negare sia l’applicazione della causa di non punibilità per tenuità del fatto sia le attenuanti generiche. La ragione di tale diniego è stata individuata nei plurimi precedenti penali a carico dell’imputata. L’abitualità nel commettere reati, desunta dai precedenti, è stata considerata un elemento ostativo alla concessione di entrambi i benefici, in quanto indice di una maggiore pericolosità sociale e di una personalità non meritevole di un trattamento sanzionatorio più mite.

Le Motivazioni

La Corte ha ribadito che i motivi di ricorso in Cassazione devono contenere una critica specifica e puntuale delle argomentazioni della sentenza impugnata, non potendosi limitare a riproporre le stesse questioni già vagliate. Nel merito, la decisione della Corte d’Appello è stata giudicata logica, congrua e corretta in punto di diritto. Sul diniego delle attenuanti generiche, i giudici hanno richiamato un principio consolidato: non è necessario che il giudice esamini ogni singolo elemento favorevole o sfavorevole, ma è sufficiente che motivi la sua decisione facendo riferimento agli elementi ritenuti decisivi. In questo caso, i reiterati precedenti penali e il comportamento processuale negativo dell’imputata sono stati considerati elementi sufficienti e decisivi per negare qualsiasi sconto di pena.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, consolida l’interpretazione giurisprudenziale secondo cui il furto in un esercizio commerciale si considera consumato nel momento in cui l’autore del reato acquisisce l’autonoma e piena disponibilità della merce, uscendo dalla sfera di controllo diretto del personale di vigilanza. In secondo luogo, sottolinea come i precedenti penali abbiano un peso determinante non solo nella valutazione della pericolosità del reo, ma anche nell’accesso a benefici come la non punibilità per tenuità del fatto e le attenuanti generiche, precludendoli in caso di abitualità del comportamento criminale.

Quando un furto in un supermercato si considera consumato e non solo tentato?
Secondo la Corte, il furto si considera consumato quando l’autore del reato acquisisce un’autonoma disponibilità dei beni sottratti. Nel caso specifico, essere fermati a bordo di un’autovettura con la merce rubata è stata considerata prova sufficiente del raggiungimento di tale autonomia, perfezionando così il reato.

Perché i precedenti penali possono impedire l’applicazione di benefici come le attenuanti generiche?
I precedenti penali, specialmente se plurimi e specifici, vengono considerati dal giudice come un indicatore dell’abitualità del reato e della personalità del colpevole. Questa valutazione negativa può giustificare il diniego delle attenuanti generiche e di altre cause di non punibilità (come quella per particolare tenuità del fatto), poiché il comportamento passato dell’imputato non lo rende meritevole di un trattamento sanzionatorio più mite.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, la Corte di Cassazione non entra nel merito della questione. La sentenza impugnata diventa definitiva e il ricorrente, oltre a vedere confermata la sua condanna, viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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