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Furto consumato: quando il reato è completo?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14150/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per furto aggravato. Il punto chiave è la definizione di furto consumato: secondo la Corte, il reato si considera perfezionato anche se il ladro riesce a impossessarsi di una sola parte della refurtiva, mentre il tentativo sul resto dei beni fallisce. L’intera condotta viene quindi qualificata come consumata e non tentata.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto Consumato: Quando un Reato è Completo Anche se il Colpo Riesce solo in Parte?

La distinzione tra un reato tentato e uno consumato è una delle questioni più delicate del diritto penale, con conseguenze significative sulla pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento sul concetto di furto consumato, stabilendo un principio fondamentale: il reato è da considerarsi perfezionato anche se l’agente si impossessa solo di una frazione dei beni presi di mira. Analizziamo questa decisione per comprendere meglio i contorni della fattispecie.

I Fatti del Caso in Analisi

Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per i reati di furto e danneggiamento aggravato, emessa dal Giudice per l’Udienza Preliminare e successivamente confermata dalla Corte d’Appello di Bologna. L’imputato, non rassegnato alla condanna, ha presentato ricorso per Cassazione, sollevando due principali motivi di contestazione.

In primo luogo, sosteneva che il furto dovesse essere qualificato come tentato e non consumato. La sua tesi si basava sul fatto che l’azione delittuosa non era andata completamente a buon fine per tutta la refurtiva. In secondo luogo, contestava la sussistenza stessa del reato di danneggiamento, ritenendo che non vi fossero prove sufficienti a suo carico.

La Distinzione tra Furto Tentato e Furto Consumato secondo la Cassazione

Il cuore della decisione della Suprema Corte ruota attorno al primo motivo di ricorso. La difesa dell’imputato cercava di far valere l’idea che un successo parziale nel furto dovesse portare a una qualificazione meno grave, quella del tentativo. Tuttavia, la Cassazione ha respinto categoricamente questa interpretazione, confermando la solidità della motivazione della Corte d’Appello.

Il principio affermato è chiaro: per aversi un furto consumato, è sufficiente che l’agente acquisisca la disponibilità autonoma anche solo di uno degli oggetti sottratti. Nel momento in cui il ladro riesce a sottrarre un bene alla sfera di controllo del proprietario, il reato si è già perfezionato. Il fatto che il tentativo di rubare altri oggetti sia fallito non degrada l’intera azione a un semplice tentativo. L’azione, nel suo complesso, viene considerata consumata.

La Valutazione sul Reato di Danneggiamento

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, relativo al reato di danneggiamento, la Corte lo ha liquidato rapidamente. Le contestazioni dell’imputato sono state classificate come “mere doglianze in punto di fatto”. Questo termine tecnico significa che l’imputato non stava contestando un errore di diritto o un vizio logico nella motivazione della sentenza, ma stava chiedendo alla Cassazione di riesaminare e rivalutare i fatti del processo. Questo è un compito che spetta ai giudici di primo e secondo grado (i giudici di merito) e non alla Corte di Cassazione, il cui ruolo è garantire la corretta applicazione della legge (giudizio di legittimità).

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile sulla base di due ragioni principali. In primo luogo, il motivo relativo alla qualificazione del furto è stato giudicato “reiterativo”, ovvero una semplice ripetizione di una censura già presentata in appello e correttamente respinta dalla Corte territoriale con una motivazione “immune da vizi logici”. La sentenza impugnata aveva già spiegato in modo esauriente perché, nonostante un’azione solo tentata per una parte della refurtiva, la consumazione del furto per un altro degli oggetti rendeva l’intero reato consumato.

In secondo luogo, come già accennato, il motivo sul danneggiamento è stato ritenuto inammissibile perché si risolveva in una richiesta di rivalutazione del merito dei fatti, preclusa in sede di legittimità. Di conseguenza, non essendoci validi motivi di diritto da esaminare, il ricorso è stato respinto, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un principio giuridico di notevole importanza pratica. Stabilisce che il discrimine tra tentativo e consumazione nel reato di furto non risiede nel successo completo del piano criminoso, ma nel momento in cui si realizza l’impossessamento, anche minimo. Le implicazioni sono chiare:

1. Irrilevanza del successo parziale: L’agente che riesce a rubare anche solo un oggetto tra i molti presi di mira risponderà di furto consumato, non tentato.
2. Momento consumativo: Il reato si perfeziona nel momento in cui l’agente acquisisce il controllo autonomo sulla cosa sottratta, anche se per un breve istante e per una piccola parte del bottino.
3. Limiti del ricorso in Cassazione: La decisione ribadisce che la Suprema Corte non è un terzo grado di giudizio sul fatto, ma un organo di controllo sulla corretta applicazione della legge. Le contestazioni fattuali devono essere sollevate e decise nei gradi di merito.

Quando un furto si considera consumato invece che tentato?
Secondo la sentenza, un furto è consumato nel momento in cui l’autore del reato riesce a impossessarsi anche di un solo oggetto tra quelli presi di mira, sottraendolo al controllo del proprietario. Il fallimento nel rubare gli altri beni non trasforma il reato in un tentativo.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano o una ripetizione di argomenti già correttamente respinti in appello, oppure contestazioni sui fatti del processo, che non possono essere riesaminate dalla Corte di Cassazione.

Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile alla Corte di Cassazione?
La persona il cui ricorso viene dichiarato inammissibile è condannata al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che in questo caso specifico è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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