Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17715 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17715 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/04/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 568/2025
NOME
CC – 16/04/2025
NOME COGNOME
Relatore –
R.G.N. 8047/2025
NOME COGNOME
COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOMECUI CODICE_FISCALE) nato in Romania il 15/07/2002
avverso la sentenza del 10/01/2025 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha confermato la condanna , pronunciata all’esito di giudizio abbreviato, di NOME COGNOME per il reato di furto aggravato dalla destrezza e dalla minorata difesa, commesso in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME (condannati in via definitiva), e così realizzato: « attirando l’attenzione di un uomo seduto a un tavolino chiedendo delle monete con un bicchiere di carta tra le mani, dopo aver coperto la visuale all’uomo con il
giubbotto che aveva sull’avambraccio destro, afferrava il telefono cellulare Samsung S22 che era appoggiato sul tavolo ‘.
Avverso la sentenza ricorre l’imputat o, tramite il difensore, proponendo tre motivi.
2.1. Con il primo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza della consumazione del reato.
Assume che la polizia giudiziaria aveva monitorato ininterrottamente gli spostamenti degli imputati sin da prima che questi ultimi raggiungessero il ristorante e che l ‘ azione furtiva si è svolta sotto il controllo degli operanti il cui intervento avrebbe potuto impedire la perpetrazione del furto.
In tale situazione il reato si sarebbe arrestato alla fase del tentativo, poiché secondo la giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite, la diretta osservazione della condotta da parte della persona offesa o della polizia giudiziaria impedisce all’autore del furto di conseguire, anche solo momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo.
Sul punto la risposta fornita dalla Corte di appello sarebbe insoddisfacente, in quanto bolla come irrilevante il dato della vigilanza continuativa, che, invece, rappresenta propria l’elemento di discrimine tra consumazione e tentativo.
2.2. Il secondo motivo deduce l’erroneo e immotivato riconoscimento della recidiva.
La sentenza impugnata incorrerebbe in un errore, laddove ritiene l’imputato gravato da plurimi precedenti penali per furto, quando invece la contestazione fa riferimento soltanto alla recidiva specifica e infraquinquennale in relazione alla condanna definitiva per un delitto della stessa specie.
La sentenza presenterebbe, inoltre, un vizio motivazionale poiché dopo aver dato genericamente atto dei precedenti penali dell’imputato, si rifugia in una clausola di stile sulla omogeneità e vicinanza delle condotte, omettendo di spiegare perché il nuovo episodio delittuoso debba ritenersi espressivo di una più accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità sociale.
2.3. Il terzo motivo contesta il mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contrapposte circostanze e la conseguente eccessiva entità del trattamento sanzionatorio.
Il ricorso, proposto in data successiva al 30 giugno 2024, è stato trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen., nel testo riscritto dal d. lgs. n. 150 del 2022 e successive modifiche.
Il Procuratore generale ha depositato una articolata requisitoria a sostegno delle conclusioni in epigrafe trascritte.
Il difensore dell’imputato si è limitato a trasmettere il decreto di ammissione dell’imputato al patrocinio a spese dello Stato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Il primo motivo è infondato.
2.1. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, il 10 maggio 2024 gli agenti della Squadro Mobile della Questura di Milano notano tre uomini (tra cui NOME COGNOME chiedere l’elemosina aggirandosi nei tavoli all’aperto di alcuni ristoranti in INDIRIZZO a Milano.
Insospettiti dal comportamento anomalo dei tre, gli agenti di polizia decidono di seguirne i movimenti e assistono alla commissione del furto per cui è processo, posto in essere materialmente da NOME COGNOME costui, dopo aver attirato l’attenzione della vittima con la richiesta di carità, le copre la visuale grazie a un giubbotto ripiegato sull’avambraccio destro, e ‘ con destrezza e abilità afferra il telefono cellulare Samsung S22 appoggiato sul tavolo ‘ e immediatamente si allontana dal ristorante unitamente agli altri due complici.
La polizia si pone all’inseguimento dei tre, che riesce a fermare poco dopo. NOME COGNOME viene trovato in possesso del cellulare rubato.
2.2. Con il motivo in esame il ricorrente solleva la questione della distinzione tra furto tentato e furto consumato, facendo leva sul monitoraggio dell’azione furtiva che, nella prospettiva difensiva, impedisce al delitto di giungere a consumazione.
2.3. La quaestio iuris in oggetto chiama in causa il tema della definizione giuridica della azione di impossessamento della cosa altrui, tipizzata dalla norma incriminatrice.
L’art. 624, primo comma, cod. pen. punisce la condotta di chi «si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri».
La norma scandisce il binomio sottrazione-impossessamento: la prima coincide con l’apprensione della res ; il secondo si ha quando l’agente consegue la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della res sottratta e, correlativamente, è recisa la signoria che sul bene esercitava il precedente detentore.
Questa considerazione si pone in sintonia con il principio di offensività, che consente di distinguere le due forme di offesa, del pericolo e del danno, in rapporto
all’interesse protetto dalla fattispecie incriminatrice: il furto consumato è reato di danno; il furto tentato è reato di pericolo con dolo di danno.
Come si ricava dalla decisione delle Sezioni Unite Prevete (Sez. U, n. 52117 del 17/07/2014) consumazione e tentativo si distinguono in ragione della compromissione, o meno, dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice.
N el furto, l’interesse protetto è quello della detenzione del bene da parte di chi ne ha diritto, per cui ove lo stesso è compromesso, il delitto è consumato.
Il furto si consuma nel momento e nel luogo in cui l’agente si impossessa della res sottratta, giacché è tale requisito che accentra il disvalore di fattispecie e determina l’offesa all’interesse tutelato.
Non assumono rilievo né il dato spaziale, poiché la norma incriminatrice (a differenza di quella corrispondente dell’abrogato codice ) non richiede lo spostamento della res sottratta dal luogo della sottrazione ad altro luogo; né il dato temporale: il furto si consuma se l’agente consegue, anche solo per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva.
Ne deriva che quando la res esce dalla sfera di vigilanza e controllo della persona offesa il furto si consuma, quand’anche l’intervento di fattori casuali e successivi neutralizzi il consolidamento nel tempo dell’ingiusto profitto e dell’altrui danno patrimoniale.
Sulla base di queste premesse deve essere intesa la ratio decidendi della richiamata decisione delle Sezioni Unite Prevete.
Invero in essa Prevete vanno distinti i principi generali, che possono guidare l’interprete nella elaborazione delle categorie giuridiche, dalla specifica ipotesi del furto in un supermercato.
Le Sezioni Unite rimarcano le peculiarità del caso concreto laddove pongono in luce: « la relazione di tipo prenegoziale, presupposta dalla condotta delittuosa, che lega l’agente al soggetto passivo, offerente in vendita della merce esposta, e che abilita il primo al prelievo dei beni dai banchi di esposizione » e chiariscono che « in tale prospettiva la condotta dell’agente il quale oltrepassi la cassa, senza pagare la merce prelevata, rende difficilmente contestabile l’intento furtivo, ma lascia impregiudicata la questione se la circostanza comporti di per sé sola la consumazione del reato, quando l’azione delittuosa sia stata rilevata nel suo divenire dalla persona offesa, o dagli addetti alla vigilanza, i quali, nella immediatezza intervengano a difesa della proprietà della merce prelevata » (Rv. 261186 – 01).
Con questa avvertenza, va interpretato principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite secondo cui: «In caso di furto in supermercato e la specificazione non è casuale , il monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero
attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell’ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo in continenti , impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l’agente conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo».
Invero il riferimento, non di rado frainteso, alla diretta osservazione da parte «delle forze dell’ordine presenti nel locale» si trova aggiunto solo nella massima (così enucleata dalle stesse Sezioni Unite, al paragrafo 7), senza però alcun aggancio alla fattispecie decisa, evidentemente intendendosi fare riferimento al caso in cui le forze dell’ordine, presenti sul posto, intervengano in continenti su sollecitazione e quale longa manus della persona offesa, non ancora definitivamente spossessata.
2.4. Va invece colto, nella prospettiva di inquadramento sistematico, il perno logico della decisione che ruota attorno alla considerazione della sfera di sorveglianza dell’offeso .
Quando la res non è uscita dalla sfera di vigilanza dell’offeso (attuata anche tramite propri delegati) e l’offeso è ancora in grado di recuperarla, l’impossessamento non si perfeziona e il furto non può dirsi consumato. Pertanto, affinché l’azione criminosa si cristallizzi alla fase del tentativo è necessario che il complesso delle cautele adottate dall’offeso consenta un contestuale intervento contenitivo all’interno di quella sfera: è soltanto in tale evenienza che è, a monte, im pedita la compromissione dell’interesse tutelato e, correlativamente, l’agente non acquisisce, neppure per un istante, il possesso della cosa sottratta.
Da quanto precede deriva che, in caso di osservazione dell’azione furtiva, il furto è tentato se: a) è possibile individuare una fase tra sottrazione e impossessamento di utile intervento difensivo; b) tale intervento difensivo deve essere attuato dalla persona offesa, o direttamente o tramite i sistemi di osservazione/protezione dalla stessa predisposti.
La prima condizione rende evidente che non sempre è possibile un intervento difensivo in continenti .
Sottrazione ed impossessamento sono necessariamente distinti dal punto di vista logico-giuridico, ma non sempre lo sono anche dal punto di vista cronologico.
L’azione compiuta dal l’agente per uscire dalla sfera di controllo dell’offeso e, dunque, per impossessarsi della bene -consente di distinguere i due momenti anche dal punto di vista cronologico, nel caso di furto in supermercato, dato che, come si è visto, tra sottrazione e impossessamento vi è uno iato temporale che permette l’intervento difensivo.
Ma ciò non accade quando, per eludere il controllo della persona offesa, è sufficiente un’azione istantanea, dato che, in tale ipotesi, l’impossessamento, pur logicamente successivo alla sottrazione, viene temporalmente a coincidere con essa (cfr. in motivazione Sez. 5, n. 25084 del 17/05/2023, COGNOME, n.m.).
2.5. Nella fattispecie, il comportamento sospetto dell ‘imputato e dei suoi complici aveva attirato l’attenzione degli agenti di polizia impegnati in un generico servizio d’ordine pubblico.
L’imputato si aggirava tra i tavoli chiedendo la carità, quindi un intervento in quel momento sarebbe stato del tutto ingiustificato, dato che il sospetto non può mai implicare colpa neppure in funzione preventiva.
La sottrazione del telefono cellulare è avvenuta con un gesto fulmineo, grazie al quale il ricorrente si è impossessato del bene, allontanandosi dal locale, dopo aver raggiunto i complici.
In casi di questo genere, l’impossessamento coincide cronologicamente con il momento della sottrazione (una vicenda del tutto similare è quella decisa da Sez. 5, n. 26749 del 11704/2016, Ouergh, Rv. 267266, in cui l’imputato si era impossessato, approfittando della disattenzione della persona offesa, della borsa di quest’ultima e, una volta allontanatosi, era intervenuta la polizia giudiziaria, che lo aveva inseguito e fermato).
In evenienze siffatte è difficile parlare di intervento in continenti a difesa della detenzione da parte di chicchessia. Invero o gli strumenti apprestati dalla persona offesa a difesa del proprio possesso impediscono, a monte, sottrazione e impossessamento, oppure il contenimento del l’azione criminosa non può che avvenire dopo l’ impossessamento.
2.6. I caratteri distintivi tra consumazione e tentativo, imperniati sulla sfera di vigilanza della persona offesa (esercitata anche tramite dipendenti, mandatari, incaricati, siano essi privati o forze dell’ordine) rende ragione della irrilevanza, ai fini in rassegna, della circostanza che il fatto cada sotto l’osservazione delle forze dell’ordine (non espressione di una antecedente iniziativa cautelativa della persona offesa).
A conclusione parzialmente diversa perviene Sez. 5, n. 4868 del 25/11/2021, COGNOME, Rv. 282969, che ha escluso la consumazione del reato in un caso di furto in abitazione, monitorato dalle forze dell’ordine grazie a sistemi di localizzazione e pedinamento: gli autori del reato, impossessatisi della refurtiva, si erano allontanati a bordo di un veicolo e successivamente arrestati.
La sentenza distingue l’intervento accidentale e non preordinato delle forze dell’ordine dal monitoraggio preventivamente attuato a seguito di una fase investigativa in corso nei confronti degli stessi autori dell’azione delittuosa e arriva a concludere che, soltanto nel secondo caso, la possibilità di intervento difensivo,
finalizzato ad impedire il protrarsi delle conseguenze del reato, cristallizza l’azione delittuosa alla fase del tentativo, anche se gli agenti abbiano deciso di procrastinare l’intervento ad un momento successivo.
L’impianto argomentativo d ella decisione, che pure muove dalla considerazione dell’oggettività giuridica di fattispecie, fa leva sulla impossibilità di calibrare diversamente la qualificazione del fatto in ragione della scelta discrezionale degli operanti di intervenire tempestivamente o meno. E, così ragionando, assume che non rileva ‘la circostanza che la sorveglianza sia stata disposta dalla persona offesa o dalla polizia giudiziaria’, ma ‘che il bene esca o meno dalla sfera di vigilanza e di controllo -diretto o indiretto -della persona offesa, potendo in concreto le fasi della condotta essere interrotte in ogni momento’.
L’affermazione va rimeditata.
Se la premessa argomentativa è la considerazione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice, è rispetto a quell’interesse che deve relazionarsi la distinzione tra furto tentato e furto consumato.
Ergo , essendo il furto una fattispecie incriminatrice posta a tutela della signoria che sulla res esercita chi la detiene, è rispetto alla sfera di vigilanza e controllo dell’offeso che si fonda la distinzione tra tentativo e consumazione.
Non può logicamente sostenersi che la sfera di vigilanza e controllo delle forze dell’ordine possa fondersi e confondersi con quella dell’offeso, onde pervenire a una estensione di quest’ultima in ragione della maggiore ampiezza della prima.
Il richiamo alla presenza delle forze dell’ordine in loco di cui alla sentenza Prevete -come detto -è da leggere in coerenza con la premessa che giustifica quell’impianto argomentativo, sicché non può interpretarsi di modo che, indipendentemente da qualsivoglia considerazione dell’oggetto giuridico della fattispecie, la sfera di vigilanza e controllo della persona offesa si espanda per il monitoraggio a distanza dell’azione furtiva da parte delle forze dell’ordine.
Ciò non revoca in dubbio la doverosità dell’atto da parte delle forze dell’ordine ex art. 55 cod. proc. pen. (che però soggiace a varie e imponderabili circostanze), bensì è il risultato di una corretta ermeneusi alla luce dell’oggettività giuridica di fattispecie.
Del resto, più a monte, la distinzione tra furto tentato e furto consumato non è neppure influenzata dai motivi del monitoraggio a distanza da parte delle forze dell’ordine: sia nel caso di monitoraggio contingente e accidentale, sia in quello di monitoraggio collegato a una pregressa attività d’indagine già in corso a carico dell’autore del reato; entra, comunque, in gioco un elemento che non impedisce all’agente di impossessarsi, anche solo per un istante, della res sottratta prima dell’arresto in flagranza.
In queste ipotesi, il furto non è tentato, ma consumato: l’attività di osservazione non avviene ad opera della persona offesa (o di suoi incaricati) e, dunque, non impedisce la compromissione dell’interesse protetto dalla fattispecie.
Va pertanto ribadito il principio di diritto secondo cui: «Con riferimento al monitoraggio dell’azione da parte delle forze dell’ordine, integra il reato di furto nella forma consumata la condotta di colui che, subito dopo l’impossessamento, venga inseguito e bloccato dalla polizia giudiziaria che lo aveva osservato a distanza. Invero il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l’imputato consegua, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, mentre l’osservazione a distanza da parte degli agenti (sia essa frutto di una iniziativa occasionale o di l’esito di una pregressa attività d’indagine già in corso a carico dell’autore del reato) non assume rilevanza ai fini della configurabilità del reato nella forma tentata poiché tale osservazione non solo non avviene ad opera della persona offesa o di personale a lei riconducibili, ma neppure impedisce il conseguimento dell’autonomo possesso della res , prima dell’arresto in flagranza» (cfr. Sez. 5, n. 4333 del 27/11/2024, dep. 2025, COGNOME, non massimata; Sez. 5, n. 25084 del 17/05/2023, COGNOME, non massimata; Sez. 5, n. 48880 del 17/09/2018, S., Rv. 274016 – 01Sez. 5, n. 26749 del 11/04/2016, COGNOME, Rv. 267266 – 01).
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Nel trattare dell’omologo motivo di appello, la Corte di appello esordisce affermando genericamente che l’imputato ” è pregiudicato per delitti di furto “, poi, però, spiega che si tratta di un unico precedente e, senza incorrere in cadute di logicità e in linea con gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, ravvisa una relazione qualificata tra i due fatti, valorizzandone l’identità di indole e la vicinanza temporale (pag. 6).
4. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora, come nella specie (cfr. pag. 7), non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatez za della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931).
Discende il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16/04/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME