Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28086 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28086 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nato in Palermo in data DATA_NASCITA, avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia in data 4/05/2023; visti gli atti, il provvedimento impugnato e H ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria scritta con cui il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 4 maggio 2023, la Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Treviso in data 24 aprile 2019 con la quale NOME COGNOME, all’esito di giudizio abbreviato, era stato condannato, con la riduzione per il rito, alla pena di 1 anno e 4 mesi di reclusione e di 400 euro di multa in quanto riconosciuto colpevole del delitto previsto dagli artt. 110, 624 e 625, primo comma, n. 5, cod. pen., per essersi impossessato, in concorso con altri, di un portafoglio, sfilato alla persona offesa dal complice e consegnato subito dopo ad NOME, che provvedeva ad occultarlo; fatto commesso in Treviso il 14 maggio 2017. In particolare, i Giudici di merito hanno escluso di poter qualificare
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la condotta ascritta all’imputato come tentato furto, avendo la persona offesa perso la disponibilità del proprio bene senza neppure accorgersi della sua sottrazione ad opera di NOME e dei suoi complici e a nulla rilevando che gli agenti di polizia giudiziaria, subito intervenuti, si fossero avveduti della condotta furtiva mentre veniva realizzata. Ciò in quanto la vigilanza attuata dalle Forze dell’ordine era generica e non mirata e che il bene oggetto dell’azione illecita era passato sotto il dominio esclusivo dell’agente, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in cui era stato sottratto.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello a mezzo del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 56 e 624 cod. pen.
In particolare, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., che la Corte di appello di Venezia abbia ricostruito la vicenda in maniera non conforme a quanto verbalizzato nella comunicazione di notizia di reato datata 16 maggio 2017; e soprattutto che la qualificazione del fatto non fosse conforme a quanto affermato dalle Sezioni unite, secondo cui l’impossessamento del soggetto attivo del delitto di furto postula il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell’agente ed è, pertanto, escluso dalla concomitante vigilanza, attuale e immanente, della persona offesa e dall’intervento esercitato in continenti a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, ancora non uscito dalla sfera del controllo del soggetto passivo. Nel caso in esame, sarebbe stato approntato un vero e proprio servizio di osservazione e controllo da parte della Polizia giudiziaria e non una mera vigilanza generica e non mirata, nel corso del quale gli operanti, dopo aver seguito i presunti complici, avevano seguito da vicino i passaggi dell’azione furtiva: dall’avvicinamento alla persona offesa, al passaggio del portafoglio a NOME; dal nascondimento della refurtiva all’interno del giubbotto, sino al momento in cui gli operanti erano intervenuti bloccando NOME. In questo modo, le Forze dell’ordine avrebbero attuato un’azione di vigilanza attuale e immanente, impedendo l’acquisizione di un’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
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L’art. 624 cod. pen. punisce colui il quale, allo scopo di trarne, profitto si impossessa della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene.
La condotta tipica, dunque, consta di due momenti, logicamente distinti, consistenti, quanto alla sottrazione, nella interruzione della relazione che la persona offesa ha con la cosa, sottoposta alla sua sfera di vigilanza e di controllo; e, quanto, all’impossessamento, nello stabilire con la res furtiva, da parte dell’agente, un’autonoma ed effettiva disponibilità della stessa.
In giurisprudenza, il tema del perfezionamento dei due segmenti della condotta, è stato diffusamente affrontato con riferimento a due situazioni particolari, che talvolta nella prassi coincidono, ma che hanno una evidente autonomia concettuale: la prima riguarda il furto in un supermercato o comunque in un esercizio pubblico; la seconda concerne, invece, l’esecuzione della condotta furtiva nel corso di un’azione di vigilanza dai parte di soggetti che, come nel caso delle Forze dell’ordine, siano deputate al controllo ed eventualmente all’intervento volto a impedire la commissione della condotta illecita.
Nel caso del furto in un supermercato, la condotta di semplice materiale apprensione del bene non è, generalmente, idonea a integrare la condotta di sottrazione, per l’ovvia considerazione che, non essendovi una detenzione riferibile a una persona fisica, la sottrazione si perfeziona soltanto quando il bene sia uscito dalla sfera di controllo dei soggetti investiti di compiti di controllo: dagli addet alla vendita agli esercenti servizi di vigilanza. Fintanto che costoro, dunque, sono in grado di esercitare un’azione volta a realizzare un immediato intervento difensivo, il furto rimane allo stadio del tentativo, non potendo ritenersi né che sia avvenuta la sottrazione, né che l’agente abbia acquisito quella autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva che sostanzia, come detto, la condotta di impossessamento (Sez. U, n. 52117 del 17/07/2014, Prevete, Rv. 261186 – 01).
Come detto, il tema incrocia quello del controllo delle Forze dell’ordine, ovvero di soggetti diversi dal soggetto passivo del delitto o di un suo delegato (come nel caso dei dipendenti del supermercato o degli addetti alla vigilanza). In questo caso, la giurisprudenza ha distinto tra il caso in cui la polizia giudiziaria monitori continuativamente l’azione e gli spostamenti dell’agente e decida di non interrompere l’attività criminosa in corso di esecuzione, scegliendo deliberatamente di attendere la sua evoluzione nella forma consumata per ritenute esigenze investigative, dal caso in cui l’intervento delle Forze dell’ordine è del tutto casuale, estemporaneo o sopravvenuto, tale da non poter impedire l’impossessamento della res (Sez. 5, n. 4868 del 25/11/2021, dep. 2022, Botchorishvili, Rv. 282969 – 01). E all’interno di questa seconda ipotesi ha anche affermato che ricorre la consumazione quando l’imputato consegua, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva (così Sez. 5, n. 33605 del 17/06/2022, T., Rv. 283544 – 01; Sez. 5, n. 48880 del
17/09/2018, S., Rv. 274016 – 01; Sez. 5, n. 26749 del 11/04/2016, COGNOME, Rv. 267266 – 01, che però concerneva un’ipotesi di fuga dell’agente e successivo inseguimento da parte della polizia giudiziaria che lo aveva osservato a distanza).
Coerentemente con il profilo del controllo della persona offesa, è stato affermato che risponde del delitto di furto consumato e non tentato colui che, pur non essendosi allontanato dal luogo di commissione del reato, abbia ivi occultato la refurtiva, così sottraendola al controllo della persona offesa e acquisendone il possesso (Sez. 5, n. 2726 del 24/10/2016, dep. 2017, Pavone, Rv. 269088 – 01).
Tanto premesso, nel ricorso la difesa ha riportato per intero la comunicazione di notizie di reato datata 16 maggio 2017 relativa alle operazioni con cui, in data 14 maggio 2017, il personale della Polizia di Stato presente in servizio, in abiti civili, in occasione dell’adunata nazionale degli alpini in INDIRIZZO, avevano proceduto all’arresto degli autori della condotta contestata.
Dopo avere premesso che gli operanti erano stati indotti in allarme dal contegno assunto da alcuni soggetti, che si mostravano più attenti alle persone presenti tra il pubblico che alla manifestazione; e avevano così notato tre persone che si erano avvicinate a una coppia di anziani alla quale avevano sottratto un portafoglio, che l’odierno imputato, subito dopo che esso gli era stato consegnato dal materiale autore della sottrazione, aveva occultato su di sé. A quel punto, gli operanti erano intervenuti e, qualificatisi, avevano bloccato “immediatamente” NOME, il quale, vistosi scoperto, aveva lasciato cadere a terra il portafoglio che era stato prontamente recuperato dall’agente.
3.1. Tanto osservato, ritiene, nondimeno, il Collegio che le sentenze di merito abbiano correttamente applicato i principi più sopra richiamali.
Sotto un primo profilo, infatti, la condotta tenuta dagli imputati aveva realizzato la sottrazione del bene dalla sfera di controllo della persona offesa, che aveva perso la materiale disponibilità della res senza nemmeno accorgersene.
Sotto altro aspetto, i tre complici avevano conseguito, sia pure per un breve arco temporale, la piena signoria sulla cosa, sostituendosi all’originario detentore cui l’avevano sottratta. La circostanza che la polizia giudiziaria sia intervenuta immediatamente, subito recuperando la res furtiva e ripristinando la legale detenzione della persona offesa, non assume alcun rilievo, essendo il furto un delitto a consumazione istantanea ed essendo l’azione delle Forze dell’ordine maturata dopo che il delitto era già stato realizzato.
Ne consegue, pertanto, l’infondatezza dei profili di censura illustrati.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 10 aprile 2024
Il Consigliere estensore