Furto Consumato: la Cassazione sulla Piena Disponibilità della Refurtiva
La distinzione tra tentativo e consumazione di un reato è uno dei cardini del diritto penale. Comprendere il momento esatto in cui un illecito si perfeziona è fondamentale per determinare la corretta qualificazione giuridica del fatto e, di conseguenza, la pena applicabile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna su questo tema, offrendo chiarimenti cruciali sul concetto di furto consumato e sul criterio della disponibilità autonoma del bene sottratto.
I Fatti del Caso
Due individui, condannati in primo e secondo grado per furto, presentavano ricorso in Cassazione. La loro difesa si basava principalmente su un punto: il reato non si sarebbe mai perfezionato, ma sarebbe rimasto allo stadio del tentativo. Essi sostenevano che l’azione fosse stata interrotta o comunque monitorata, impedendo loro di ottenere un controllo effettivo e definitivo sulla refurtiva. Oltre a ciò, uno dei ricorrenti contestava l’entità della pena inflitta, mentre l’altro lamentava il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato tutti i motivi di ricorso inammissibili, confermando integralmente la sentenza della Corte di Appello di Palermo. La Corte ha ritenuto le argomentazioni dei ricorrenti infondate e, in parte, volte a una non consentita rivalutazione dei fatti già accertati dai giudici di merito.
Le Motivazioni sul Furto Consumato
Il cuore della decisione risiede nella motivazione con cui la Corte ha respinto la tesi del furto tentato. I giudici supremi hanno ribadito un principio consolidato: il furto consumato si perfeziona non con la definitiva messa in sicurezza della refurtiva, ma nel momento in cui l’agente ne acquisisce la totale ed autonoma disponibilità, anche se per un breve lasso di tempo, sottraendola alla sfera di controllo del precedente possessore.
Nel caso specifico, la Corte ha evidenziato come le prove raccolte avessero dimostrato che:
1. La persona offesa non aveva messo in atto un monitoraggio persistente e ininterrotto dell’azione criminosa.
2. Le forze dell’ordine (i Carabinieri) non erano riuscite a fermare la condotta o a bloccare i soggetti nell’immediatezza del fatto.
Questi elementi hanno permesso ai correi di ottenere il pieno controllo della refurtiva, che è stata così “definitivamente sottratta al controllo altrui”. A nulla rileva, secondo la Corte, che i ladri possano essere stati catturati in un momento successivo. Il reato si era già consumato nel momento in cui avevano consolidato il loro potere di fatto sulla cosa rubata.
Gli Altri Motivi di Ricorso
La Cassazione ha liquidato rapidamente anche gli altri motivi. La doglianza sulla determinazione della pena è stata giudicata inammissibile per la sua genericità, a fronte di una motivazione della Corte d’Appello che, anzi, aveva evidenziato come la sanzione fosse addirittura inferiore al minimo legale. Allo stesso modo, il motivo sulle circostanze attenuanti è stato respinto perché il ricorrente non aveva indicato alcun elemento positivo concreto e specifico che potesse essere favorevolmente valutato per una loro concessione in regime di prevalenza.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame rafforza un importante principio di diritto: per aversi furto consumato, è sufficiente che il ladro riesca a impadronirsi del bene e a sottrarlo, anche solo temporaneamente, alla vigilanza e al controllo della vittima. La possibilità astratta di un intervento delle forze dell’ordine o il fatto che il possesso duri poco non sono elementi sufficienti per degradare il reato a semplice tentativo. La valutazione decisiva riguarda il momento in cui si interrompe il legame di controllo tra il proprietario e il bene, e si instaura un nuovo, seppur precario, potere autonomo da parte del reo. Questa pronuncia serve da monito sulla necessità di formulare ricorsi specifici e non limitarsi a una generica riproposizione di argomenti già vagliati nei gradi di merito.
Quando un furto si considera ‘consumato’ e non solo ‘tentato’ secondo questa ordinanza?
Un furto si considera consumato nel momento in cui chi lo commette acquisisce la totale ed autonoma disponibilità dei beni rubati, sottraendoli definitivamente alla sfera di controllo del proprietario, anche se solo per un breve periodo.
Perché il motivo di ricorso sul tentativo di furto è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile perché tendeva a una nuova valutazione dei fatti già accertati dai giudici di merito, i quali avevano adeguatamente motivato che i ladri avevano ottenuto il pieno controllo della refurtiva senza un monitoraggio costante da parte della vittima e senza che i Carabinieri riuscissero a bloccare l’azione.
Per quale ragione sono stati respinti anche i motivi sulla pena e sulle circostanze attenuanti?
Sono stati respinti perché le lamentele (doglianze) erano formulate in modo eccessivamente generico. I ricorrenti non hanno fornito critiche specifiche alla motivazione della sentenza impugnata né hanno indicato elementi positivi e concreti che potessero giustificare una riduzione della pena o la concessione delle attenuanti in misura più favorevole.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26740 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26740 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 04/06/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME NOME nato a PALERMO il 15/09/1989 NOME COGNOME nato a PALERMO il 10/01/2004
avverso la sentenza del 17/04/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME e NOME COGNOME ricorrono avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo, che ha confermato la sentenza di primo grado;
Considerato che il primo motivo di ricorso del COGNOME e del COGNOME – con il quale i ricorrenti si dolgono della violazione di legge e del vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento del reato nella forma tentata – è inammissibile in quanto volto a prefigurare un’inammissibile rivalutazione dei fatti, non scandita da specifica critica e individuazione di precisi travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito, i quali hanno, invece, evidenziato, alla luce del quadro probatorio, come non possa affermarsi che vi sia stato un persistente monitoraggio sull’azione posta in essere dai correi, atteso che la persona offesa non ha nemmeno accennato, nell’immediatezza, ad una qualunque azione, mentre i Carabinieri non sono riusciti a fermare la condotta o bloccare i soggetti. Ciò ha permesso l’acquisizione da parte dei correi della totale ed autonoma disponibilità della refurtiva, definitivamente sottratta al controllo altrui (si vedano, in particolare, pagg. 4 e ss. del provvedimento impugnato);
Rilevato che il secondo motivo di ricorso del COGNOME – con il quale il ricorrente si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione circa la determinazione della pena inflitta – è anch’esso inammissibile in quanto caratterizzato da doglianze particolarmente generiche a fronte di un’adeguata motivazione fornita dalla Corte di appello, la quale ha evidenziato come la pena inflitta al ricorrente risulti anche al di sotto del minimo di legge;
Rilevato che il secondo motivo di ricorso del COGNOME – con il quale il ricorrente si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza – è inammissibile poiché le avanzate censure sono caratterizzate da particolare genericità, senza evidenziare alcun elemento positivo favorevolmente valutabile in
un’ottica di maggiore clemenza, anche in considerazione del già
benevolo trattamento sanzionatorio riservato al ricorrente, pari al minimo edittale;
Ritenuto, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della
cassa delle ammende.
Così deciso il 4 giugno 2025
Il Consigliere estensore
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Il Presidente