Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30513 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30513 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 20/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a CATANIA il 29/01/1980
avverso la sentenza del 28/01/2025 della CORTE APPELLO di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette/se e le conclusioni del PG NOME COGNOME
uditoj9;14.feisore
Lo
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 28 gennaio 2025, la Corte d’appello di Catania ha confermato la sentenza di condanna intervenuta in primo grado nei confronti dell’imputato ritenuto responsabile sia del delitto di furto aggravato dall’esposizione alla pubblica fede di una grata di ferro, sia del delitto di contraffazione di una targa di un’autovettura di proprietà di terzi. Ha confermato il giudizio di equivalenza delle riconosciute circostanze attenuanti generiche con le aggravanti contestate.
Il difensore di fiducia dell’imputato ricorre avverso la predetta sentenza chiedendone l’annullamento e deducendo tre motivi.
2.1. Con il primo motivo lamenta l’insufficiente e manifesta illogicità della sentenza nella parte in cui ha riconosciuto l’aggravante dell’esposizione a pubblica fede del bene oggetto di furto nonostante vi fosse un sistema di video sorveglianza. Ciò che si lamenta è che la Corte d’appello si sarebbe limitata a richiamare una sentenza della Corte di cassazione senza verificare se nel caso concreto potesse trovare applicazione occorrendo a tal fine appurare, secondo la prospettazione difensiva, la sussistenza in concreto di una sorveglianza specificamente efficace a impedire la sottrazione.
2.2. Con il secondo motivo lamenta l’insufficienza e l’illogicità della motivazione nella parte in cui non è stata esclusa la contestata recidiva.
2.3. Con il terzo motivo lamenta l’insufficienza e l’illogicità della motivazione nella parte in cui sono state riconosciute le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza e non di prevalenza sulla contestata recidiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
Il primo motivo è infondato ai limiti dell’inammissibilità non ravvisandosi alcuna illogicità manifesta o alcuna insufficienza nella pur scarna, ma esaustiva motivazione resa dalla Corte d’appello in relazione alla censura concernente la riconosciuta aggravante dell’esposizione alla pubblica fede.
Ed invero, la Corte d’appello, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, pur essendosi limitata alla condivisione di quanto sostenuto da questa Corte di legittimità con orientamento pressoché unanime (Sez. 5, n. 1509 del 26/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280157-01; Sez. 2, n. 2724 del 26/11/2015 , dep. 2016, COGNOME, Rv. 265808-01; Sez. 5, n. 6682 del 08/11/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 239095 – 01), va letta unitamente alla conforme sentenza di primo grado. Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, infatti, la struttura giustificativa de sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico
complessivo tessuto argomentativo, allorquando – come nel caso in esame – i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595). Orbene, come si evince dalla lettura della sentenza di primo grado, risulta accertato, sulla scorta delle video riprese e dalle chiare immagini fotografiche estratte che, sul luogo dove è stato perpetrato il furto, era giunta un’autovettura con targa parzialmente contraffatta, con a bordo un cane e due uomini, uno dei quali, sceso dall’autovettura, asportava una grata posta all’ingresso di un’area di servizio. Solo all’esito «di vari controlli incrociat veicolo /targhe/anno di immatricolazione in banca dati SDI» si è potuti risalire all’autovettura e all’autore del furto che, poi, in sede di spontanee dichiarazioni, ha confessato il fatto.
Tale ricostruzione, non contestata, costituisce il presupposto logico e necessario del principio richiamato e fatto proprio dalla Corte d’appello posto che da siffatta esposizione si evince che il sistema di video-sorveglianza attivo presso l’area di servizio in cui è stato commesso il furto ha consentito solo di ricostruire lo svolgimento dei fatti e di agevolare così le indagini, necessarie, successivamente svolte, ma non ha garantito certo la tutela del bene dalla sottrazione e l’interruzione immediata dell’azione criminosa.
Come evidenziato, dunque, dalla Corte d’appello nessun dubbio sussiste sulla configurabilità dell’aggravante di che trattasi, la cui indiscussa ratio è quella di tutelare l’affidamento del presumibile rispetto dei terzi verso l’altrui proprietà, posto che il sistema di video sorveglianza non ha certo impedito la sottrazione e nessuna particolare protezione ha fornito alla res rubata. In altri termini, l’aggravante in questione può essere esclusa solo là dove sia configurabile una sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione dell’oggetto (Sez. 5, n. 10584 del 30/01/2014, COGNOME, Rv. 260204-01) e tale evenienza non è certo risconrabile nella vicenda che qui ci occupa.
Inammissibile è il secondo motivo di ricorso.
Il ricorrente si limita a reiterare le medesime censure già proposte in appello senza realmente confrontarsi con la motivazione offerta dalla Corte distrettuale che, nel condividere quanto già ritenuto in primo grado, ha dato conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato evidenziando «una accentuata pericolosità dell’imputato, dimostrata dalla pluralità di azioni delittuose contestualmente accertate, dall’azione concorsuale posta in essere e ciò in ragione del grave precedente penale avuto». Tale motivazione, pur se concisa, è in linea con
quanto autorevolmente affermato da questa Corte nella sua massima composizione là dove ha affermato che il giudice di merito «è tenuto a verificare
se il nuovo episodio criminoso sia “concretamente significativo” – in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti ed avuto riguardo ai parametri
indicati dall’art. 133 cod. pen. – sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo” (Corte cost., sent. n. 192 del 2007). In
altri termini, è precipuo compito del giudice del merito verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosità,
tenendo conto della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualità dei comportamenti, del margine di offensività delle condotte,
della distanza temporale e del livello di omogeneità esistente fra loro, dell’eventuale occasionalità della ricaduta e di ogni altro possibile parametro
individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero ed indifferenziato riscontro formale dell’esistenza
di precedenti penali” (Sez. U, sent. COGNOME).» (così, in motivazione,
Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251690-01).
Infondato, ai limiti dell’inammissibilità, è l’ultimo motivo di ricorso.
Il riconoscimento delle attenuanti generiche e della loro prevalenza sulle riconosciute aggravanti è un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, che deve motivare nei soli limiti atti a fare emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo (Sez. 6, n.41365 del 28/10/2010, Rv. 248737; Sez. 1, 46954 del 04/11/2004, Rv. 230591). Nel caso in esame, la Corte d’Appello, nel confermare il giudizio di equivalenza delle circostanze, ha adeguatamente esplicitato il suo criterio di valutazione, conforme a quello espresso nella sentenza di primo grado, evidenziando che i dati processuali acquisiti sono sintomatici di una «non estemporanea determinazione a delinquere e di un’accentuata capacità offensiva». Tale motivazione è esaustiva e idonea a delineare il discrezionale giudizio della Corte di merito ed è dunque esente, in questa sede di legittimità, da ogni altra valutazione.
Il ricorso deve quindi essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Roma, 20 maggio 2025.