Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14380 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14380 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Salerno il 26/06/2001 COGNOME NOME nato a Mercato San Severino il 22/02/2002
avverso la sentenza del 01/10/2024 della CORTE di APPELLO di SALERNO
Esaminati gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità dei ricorsi; sentiti i difensori, Avv. NOME COGNOME del foro di Salerno per il Monetta e Avv. NOME COGNOME del foro di Roma in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME del foro di Salerno per il Montuori, che hanno concluso riportandosi ai motivi dei rispettivi ricorsi.
CONSIDERATO IN FATTO
Con sentenza del 01/10/2024 la Corte di Appello di Salerno ha confermato la sentenza emessa il 28/02/2024 dal GUP del Tribunale di Salerno, con la quale gli imputati appellanti NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati condannati alla pena di giustizia, perché ritenuti responsabile, il primo, di tre furti
con strappo (capi 1, 2, 3 della rubrica) e, entrambi, della rapina aggravata di cui al capo 6).
Propongono ricorso per cassazione gli imputati, tramite i rispettivi difensori di fiducia.
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2.1. Nell’interesse di COGNOME Pio sono articolati tre motivi di ricorso.
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Il primo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione dell’art. 624bis cod. pen. e vizio di manifesta illogicità della motivazione quanto alla qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 628 cod. pen. anziché nella fattispecie di furto con strappo. I giudici di merito avrebbero erroneamente ritenuto sussistenti gli elementi tipici del reato di rapina, tralasciando di considerare che la res (una collana) non era particolarmente aderente al corpo; che non era stata opposta resistenza dalla vittima né esercitata violenza su di essa; che non vi era stata minaccia. Tali elementi, unitamente all’assenza di lesioni fisiche e di una refertazione ospedaliera, escludono ad avviso della difesa l’esercizio di un’azione violenta, tesa a coartare od impedire la resistenza della persona offesa alla sottrazione del bene.
Il secondo motivo lamenta violazione di legge in ordine all’omessa declaratoria di nullità dei verbali di perquisizione e sequestro del 28 gennaio 2023, con conseguente inutilizzabilità degli elementi probatori illegittimamente acquisiti. In particolare, le attività di perquisizione, personale e domiciliare, sarebbero state poste in essere dalla Polizia Giudiziaria in violazione dell’art. 247 cod. proc. pen., in quanto effettuate al fine di ricercare prove relative agli episodi di furti con strappo avvenuti sul territorio del Comune di Salerno, in assenza di un’autorizzazione dell’autorità giudiziaria; provvedimento che nel caso di specie non sarebbe stato comunque possibile adottare, in ragione della definitiva archiviazione dei procedimenti penali per i fatti di furto con strappo e rapina, contestati all’odierno ricorrente. Tale attività di perquisizione era stata effettuata dapprima sulla vettura condotta dal COGNOME, trovato in possesso di sostanza stupefacente, con a bordo il COGNOME, ai sensi dell’art. 4 I. 152/1975, in assenza dei requisiti previsti dalla norma; in seguito, era proseguita presso il domicilio degli imputati, senza essere finalizzata, tuttavia, alla ricerca di prove relative alla detenzione di droga, in relazione alle quali soltanto l’art. 103 d.p.r. 309/90 ammette una deroga alla disciplina di cui all’art. 247 cod. proc. pen.: modalità che rendevano la perquisizione affetta da nullità assoluta, eccepita sin dalle prime fasi del procedimento, con conseguente inutilizzabilità degli elementi di prova raccolti e delle dichiarazioni autoaccusatorie acquisite.
Con il terzo motivo ci si duole del riconoscimento delle circostanze attenuanti in generiche in regime di equivalenza rispetto alla circostanza aggravante di cui
all’art. 61 n.5 cod. pen., per aver i giudici di merito omesso di considerare che l’età della persona offesa non poteva essere conosciuta dall’agente.
3.2. Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati articolati tre motivi di ricorso.
Il primo motivo denuncia erronea applicazione dell’art. 628 cod. pen. e vizi di carenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto alla valutazione delle prove. I giudici di secondo grado avrebbero, infatti, qualificato il fatto ai sensi dell’art. 628 cod. pen., omettendo di considerare la mancata percezione da parte della vittima di una minaccia finalizzata all’impossessamento della cosa e l’assenza di lesioni fisiche. Tali circostanze, unitamente al diniego opposto dalla persona offesa alla richiesta della collana e al rifiuto di recarsi in pronto soccorso, imporrebbero una riqualificazione del fatto nella fattispecie prevista dall’art. 624-bis cod. pen.
Il secondo motivo denuncia erronea applicazione dell’art. 69 cod. pen. e vizi di carenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto all’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen., per aver i giudici di merit tralasciato di considerare il risarcimento integrale del danno posto in essere dall’imputato, la sua giovane età e lo stato di incensurato. Tali elementi, ove adeguatamente valutati, avrebbero consentito di attenuare la sanzione, differenziando il trattamento sanzionatorio dell’odierno ricorrente rispetto a quello del coimputato che si era reso, invece, protagonista della vicenda.
Con il terzo motivo ci si duole della mancata applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza rispetto alla contestata aggravante, unitamente alla giovane età dell’imputato e al risarcimento del danno operato nei confronti della vittima, avrebbero, infatti, consentito al Montuori di beneficiare della pena sospesa.
RITENUTO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili, perché presentati per motivi non consentiti e comunque privi della specificità necessari ex artt. 581, comma 1, e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Le questioni comuni ai due ricorsi possono essere esaminate congiuntamente per ragioni di ordine sistematico.
2.1. La prima attiene alla mancata riqualificazione del reato di cui al capo 6) nella fattispecie prevista dall’art. 624-bis cod. pen.
La Corte ha, più volte, chiarito che ricorre il delitto di rapina quando la condotta violenta sia stata esercitata per vincere la resistenza della persona offesa,
anche ove la res sia particolarmente aderente al corpo del possessore e la violenza si estenda necessariamente alla persona, dovendo il soggetto attivo superarne la resistenza e non solo la forza di coesione inerente alla normale relazione fisica tra possessore e cosa sottratta, giacché in tal caso è la violenza stessa – e non lo strappo – a costituire il mezzo attraverso il quale si realizza la sottrazione; si configura, invece, il delitto di furto con strappo quando la violenza sia immediatamente rivolta verso la cosa, seppur possa avere ricadute sulla persona che la detiene (Sez. 2, n. 16899 del 21/02/2019, COGNOME, Rv. 276558).
Sussiste, dunque, il delitto di rapina sia che la violenza alla persona venga usata alla stessa direttamente, sia che, insistendo sulla cosa, si traduca in una violenza che investe comunque il soggetto passivo.
Inoltre, in tema di rapina, la giurisprudenza di legittimità ha affermato anche che la minaccia costitutiva del reato, oltre che palese, esplicita e determinata, può essere manifestata in modi e forme differenti, ovvero in maniera implicita, larvata, indiretta e indeterminata, essendo solo necessario che sia idonea a incutere timore e a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa versa (Sez. 2, Sentenza n. 27649 del 09/03/2021, Salvia, Rv. 281467)
Nel caso in esame, i giudici di merito, con argomentazioni immuni da vizi logici, hanno ricostruito le fasi salienti della condotta delittuosa, alla stregua degli atti acquisiti in ragione del rito, evidenziando come la violenza fosse consistita nell’aggredire alle spalle la vittima, di età avanzata, e nell’afferrarle il collo co una mano, al fine di assicurarsi l’immobilità necessaria per sfilare la collana. Il fatto che non sia stata, poi, esercitata una violenza fisica ulteriore è stata spiegata in ragione della capacità intimidatoria delle frasi proferite dal COGNOME nei confronti della vittima stessa, le quali lasciarono intendere che, ove questa non fosse stata calma, le conseguenze sarebbero state ben più gravi.
2.2. Parimenti infondati devono ritenersi i motivi dedotti dalle difese degli imputati con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza rispetto alla contestata aggravante. In tema di circostanze, la Suprema Corte ha chiarito che il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., senza che occorra un’analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati (Sez. 5, Sentenza n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838 – 02).
Nella fattispecie in argomento, la corte territoriale, anche in questo caso con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni della
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contestata valutazione, ritenendo ostativa al giudizio di prevalenza la particolare gravità del fatto sotteso al riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen. ossia l’avanzata età della vittima, ultraottuagenaria, ben evidente ai giovani rapinatori.
Il secondo motivo del ricorso proposto dal COGNOME è generico, perché non si confronta con la motivazione sul punto della sentenza impugnata.
In tema di sequestro, infatti, l’accertata illegittimità della perquisizione non produce alcun rilievo preclusivo, qualora vengano acquisite cose costituenti corpo di reato o a questo pertinenti, dovendosi considerare che il potere di sequestro, in quanto riferito a cose obbiettivamente sequestrabili, non dipende dalle modalità con le quali queste sono state reperite, ma è condizionato unicamente all’acquisibilità del bene e alla insussistenza di divieti probatori espliciti univocamente enucleabili dal sistema (Sez. 6, n. 6842 del 09/01/2004, COGNOME, Rv.227880; in motivazione, la Corte ha precisato che le cose sequestrate nel corso di una perquisizione illegittima devono comunque considerarsi apprese in forza del potere – dovere attribuito alla polizia giudiziaria dall’art. 354, secondo comma, cod. proc. pen.).
Tale precedente giurisprudenziale non è datato e isolato – come sostenuto in ricorso – ma è stata ribadito in varie occasioni dal giudice di legittimità (Sez. 2, n. 15784 del 23/12/2016, deo. 2017, COGNOME, Rv. 269856; Sez. 2, n. 26819 del 23/04/2010, COGNOME, Rv. 247679).
Correttamente, pertanto, la corte di merito ha ritenuto infondato il rilievo difensivo – reiterato in questa sede – secondo cui dalla nullità assoluta della perquisizione, effettuata in violazione dell’art. 247 cod. proc. pen., discende l’inutilizzabilità degli elementi di prova raccolti, posto che dall’illegittimità de perquisizione non deriva comunque l’inefficacia del sequestro delle cose pertinenti al reato per cui si procede e l’inutilizzabilità delle prove di quanto oggettivamente accertato.
Infine, nel caso in esame, non vi sono elementi per ritenere che la perquisizione domiciliare fu eseguita illegittimamente, atteso che fece seguito al rinvenimento di droga da parte del COGNOME, in conformità con quanto previsto dall’art. 103, comma 3, d.p.r. 309/90.
IL terzo motivo del ricorso proposto da COGNOME NOME deve ritenersi assorbito, in quanto l’entità della pena, correttamente determinata in sede di merito – a seguito anche delle considerazioni che precedono sul giudizio di bilanciamento fra circostanze di segno opposto – non consente la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
5. L’inammissibilità dei ricorsi determina, a norma dell’articolo 616 cod. proc.
pen., la condanna al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della
somma ritenuta equa di C 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma il 06/02/2025
Il Consigliere estensore
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Il Presidente