LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Furto con mezzo fraudolento: quando scatta l’aggravante

Una donna viene condannata per furto aggravato. La Cassazione conferma la sentenza, chiarendo i confini del furto con mezzo fraudolento: distrarre il negoziante per sottrarre la merce è un’azione astuta che integra l’aggravante. La Corte precisa inoltre che non serve l’autorizzazione del giudice per riaprire le indagini archiviate contro ignoti.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto con mezzo fraudolento: la Cassazione traccia i confini

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 32166 del 2024, offre importanti chiarimenti sulla configurabilità del furto con mezzo fraudolento. Il caso esaminato riguarda una donna condannata per aver sottratto merce da un negozio dopo aver abilmente distratto la titolare. La pronuncia non solo definisce con precisione cosa si intenda per ‘azione artificiosa’ e ‘particolare astuzia’, ma affronta anche rilevanti questioni procedurali, come la riapertura delle indagini archiviate contro ignoti.

I fatti del processo

Una donna, dopo essersi fatta consegnare merce per un valore di circa 400 euro in una pescheria, ha finto interesse per altri prodotti situati in fondo al locale. Approfittando della momentanea distrazione della negoziante, che si era allontanata per soddisfare la sua richiesta, la donna si è dileguata senza pagare. A seguito della querela e del riconoscimento fotografico, è stata condannata in primo grado e in appello per furto aggravato ai sensi dell’art. 625, n. 2 del codice penale.

I motivi del ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputata ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Violazione procedurale: Si sosteneva che il pubblico ministero avesse esercitato l’azione penale senza richiedere l’autorizzazione del Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) per la riapertura delle indagini, precedentemente archiviate contro ignoti.
2. Vizio di motivazione: Veniva contestata l’attendibilità del riconoscimento fotografico effettuato dalla persona offesa.
3. Insussistenza dell’aggravante: Si argomentava che la condotta non integrasse un furto con mezzo fraudolento, ma una semplice sottrazione di merce approfittando di un momento favorevole.

La disciplina del furto con mezzo fraudolento

L’aggravante del furto con mezzo fraudolento è prevista per punire non la semplice abilità del ladro, ma un comportamento che va oltre, caratterizzato da un’azione insidiosa e ingannevole. La giurisprudenza ha da tempo chiarito che non basta la mera destrezza, ma è necessaria un’attività che sorprenda o neutralizzi la vigilanza della vittima. Questo ‘quid pluris’ consiste in un’azione astuta che facilita l’impossessamento del bene.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo integralmente. In primo luogo, ha chiarito che l’autorizzazione del G.I.P. per la riapertura delle indagini (art. 414 c.p.p.) non è necessaria quando il procedimento iniziale era stato archiviato contro ignoti. Tale norma è posta a garanzia della persona già individuata e sottoposta a indagini, non per bloccare la prosecuzione dell’attività investigativa una volta identificato un sospettato.

Sul secondo motivo, la Corte ha sottolineato che, essendo il processo celebrato con rito abbreviato, gli atti di indagine, inclusa la querela e il riconoscimento, sono pienamente utilizzabili come prova. La doppia sentenza conforme dei giudici di merito aveva già ampiamente motivato la credibilità della testimonianza della vittima, corroborata da altre indagini che identificavano l’imputata come autrice di furti analoghi.

Infine, e con particolare rilievo, la Cassazione ha confermato la sussistenza dell’aggravante del furto con mezzo fraudolento. La condotta dell’imputata non è stata una semplice appropriazione, ma un’azione pianificata e astuta. La richiesta pretestuosa di altri prodotti era finalizzata a creare un diversivo, allentando la vigilanza della negoziante per poi fuggire. Questo comportamento, secondo la Corte, integra pienamente quell’azione artificiosa e scaltra che la norma intende punire, distinguendosi nettamente dal furto semplice.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: per l’aggravante del mezzo fraudolento è necessario un comportamento ingannevole che vada oltre la mera sottrazione. Distrarre la vittima con un pretesto per poter agire indisturbati non è semplice destrezza, ma un vero e proprio artificio che giustifica un aumento di pena. La decisione offre anche un’importante precisazione procedurale, confermando che l’obbligatorietà dell’azione penale permette la riapertura delle indagini contro ignoti senza autorizzazioni preventive, una volta emersi nuovi elementi che conducano a un sospettato.

Cosa si intende per furto con mezzo fraudolento?
Si intende un furto commesso utilizzando un’azione caratterizzata da particolare astuzia o artificio, che serve a sorprendere o aggirare la vigilanza della vittima. Un esempio, confermato dalla sentenza, è distrarre un negoziante con una richiesta pretestuosa per allontanarlo e sottrarre la merce.

È necessaria l’autorizzazione del giudice per riaprire un’indagine archiviata perché non si conosceva il colpevole?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’autorizzazione del G.I.P. per la riapertura delle indagini (art. 414 c.p.p.) è richiesta solo quando il procedimento era stato archiviato nei confronti di una persona già identificata, non quando era contro ignoti. Una volta identificato un sospettato, il pubblico ministero può procedere senza tale autorizzazione.

Nel rito abbreviato, il riconoscimento fotografico fatto durante le indagini è una prova valida?
Sì. Nel rito abbreviato, che si basa sugli atti delle indagini preliminari, tutti gli elementi raccolti in quella fase, come la querela, le dichiarazioni della persona offesa e il conseguente riconoscimento fotografico, sono pienamente utilizzabili e costituiscono prove a tutti gli effetti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati