Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 33993 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 33993 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 23/05/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
DI COGNOME NOME, nata a Nicosia (PA) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo del 12/12/2023.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi la inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni del difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e la assoluzione della imputata;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Palermo del 22.06.2021 che condannava COGNOME NOME alla pena ritenuta di giustizia previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza con la contestata aggravante per il reato di furto continuato aggravato dal mezzo fraudolento commesso all’interno della abitazione delle persone offesa della somma di euro 2.800,00, custodita all’interno di un cassetto chiuso a chiave, riposta all’interno dell’armadio, e di numerosi oggetti di argenteria.
Contro l’anzidetta sentenza, la imputata propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia AVV_NOTAIO affidato a 4 motivi.
2.1 Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione perché la Corte di merito avrebbe errato nella valutazione delle prove in riferimento alla ritenuta sussistenza del profilo oggettivo e soggettivo del reato deducendo che le dichiarazioni della persona offesa non sarebbe congrue con lo svolgimento dei fatti e prive di riscontri probatori concreti.
2.2 D secondo motivo deduce la insussistenza dei parametri di configurabilità dell’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento indicati dalla giurisprudenza anche delle Sezioni Unite in quanto la imputata si sarebbe limitata a prelevare somme di denaro e suppellettili presso l’abitazione dei coniugi senza che la condotta presenti i connotati dell’inganno o raggiro nei confronti degli stessi.
2.3 Il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione della legge in punto di trattamento sanzionatorio in relazione al diniego di applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza tenuto conto delle modalità complessive della condotta incriminata, del comportamento processuale della imputata, della modesta gravità del fatto e della lieve entità del danno economico arrecato alle persone offese.
2.4 II quarto motivo di ricorso lamenta l’erroneità del mancato accoglimento della richiesta di applicazione della disciplina della particolare tenuità del fatt prevista dall’art. 131-bis cod. pen., deducendo la tenuità dell’offesa per l’esiguità del danno, le modalità della condotta e le condizioni personali del soggetto agente. La causa di non punibilità sarebbe rilevabile, a giudizio della difesa, in ogni stato e grado, salva la formazione del giudicato anche implicito (Sez. 3, n. 6870 del 28/4/2016, dep. 2017).
La impugnazione è infondata.
2.1 Il primo motivo di ricorso che attiene alla erroneità della motivazione in relazione alla ritenuta congruenza delle dichiarazioni della persona offesa con lo svolgimento dei fatti ed i ritenuti riscontri esterni, è inammissibile.
Va osservato che «eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione delle ragio giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile. (Conf.: Sez. 6, n. 5334 del 1993, Rv. 194203-01; Cass. Pen., Sez. 3, Sentenza n. 17395 del 24/01/2023).
Sono, pertanto, inammissibili le deduzioni critiche che si pongono in diretto confronto con il materiale probatorio acquisito, sollecitandone un diverso apprezzamento da parte della Suprema Corte di cassazione, secondo lo schema tipico di un gravame di merito, il quale esula, tuttavia, dallo scrutinio dell funzioni di legittimità (cfr. Cass. Pen, Sez. 6, n.13442 dell’8.03.2016, COGNOME; Cass. Pen. Sez. 6, n.43963 del 30.09.2013, COGNOME). Il sindacato demandato alla Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza impugnata non può, infatti, concernere né la ricostruzione del fatto né il relativ apprezzamento, ma deve limitarsi al riscontro di un logico apparato argomentativo, senza la possibilità di una diretta rivisitazione delle acquisizioni processuali.
Il controllo di legittimità non è, in altri termini, diretto a sindacare la intrin attendibilità dei risultati della interpretazione delle prove, né a ripercorre l’analisi ricostruttiva della vicenda processuale operata nei gradi anteriori, ma soltanto a verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee giustificative adeguate, che rendano persuasive, sul piano della conseguenzialità, le conclusioni tratte (S.U. n.47289 del 24.09.2003, COGNOME).
La mancata rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali può essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il cosiddetto «travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla
necessità che ii dato probatorio, travisato od omesso, abbia ii carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purchè siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessita di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato, e senza che l’esame abbia ad oggetto, invece che uno o più specifici atti del giudizio, li fatto nella sua interezza (Sez. 3 n. 38431 del 31/01/2018, COGNOME, Rv. 273911).
Nel solco del richiamato indirizzo ermeneutico si innesta quello per ii quale «II vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, e, d’altro canto, ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando ii limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio» (Sez. 5, n 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758).
Permane, al contrario, la non deducibilità, nel giudizio di legittimità, del travisamento del fatto, «stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito» (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099).
La mancanza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono, peraltro, conseguire a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè il giudice di merito abbia spiegato le origini del maturate convincimento in modo logico ed adeguato e senza incorrere in vizi giuridici « (cfr. ex multis, Cass. Pen., Sez. 1, 39846/2023).
La Corte di merito con motivazione precisa, puntuale, corretta ed immune da vizi logico-giuridici, ha fatto buon governo del compendio probatorio acquisito nel fascicolo per il dibattimento valutando in sinergia gli elementi di prova quali le dichiarazioni delle persone offese unitamente alle ulteriori prove quali il messaggio whatsapp di carattere confessorio inviato dalla ricorrente contenente l’impegno di restituzione della refurtiva, la reiterazione della condotta delittuosa con asportazione di oggetti di argenteria dopo alcuni giorni dalla riassunzione in servizio, consentita dalle vittime al fine di dare alla giovane una ulteriore
possibilità lavorativa, e la fuga della stessa a fronte della richiesta di spiegazioni da parte delle vittime nonché motivando in modo puntuale e confrontandosi sulle deduzioni difensive, ritenute meramente assertive e prive di alcun supporto probatorio, circa la eventuale responsabilità nella commissione del reato di furto di terzi soggetti che avrebbero potuto accedere all’interno della abitazione.
2.2 Il secondo motivo di ricorso – che deduce la insussistenza della circostanza aggravante del mezzo fraudolento – è infondato, giacché la motivazione della Corte territoriale sul punto è corretta in diritto e non manifestamente illogica.
L’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento si caratterizza per la necessità che l’attività preparatoria al reato sia tale da risultare “scaltra”, idonea ad eludere i controllo e la sorveglianza sulla res da parte del possessore, facendo leva in qualche modo sul suo consenso (cfr. in un’altra interessante fattispecie anche Sez. 5, n. 32687 del 30/1/2018, COGNOME Perez, Rv. 273498), distinguendosi, altresì, dal reato di truffa sulla base del fatto che, in quest’ultimo, la consegna della res da parte della vittima, raggirata dai comportamenti fraudolenti, avviene con l’aninnus di spossessarsene definitivamente, in ragione del raggiro subito (Sez. 5, n. 18655 del 24/2/2017, COGNOME, Rv. 269640), sicchè l’impossessamento non avviene invito domino (Sez. 4, n. 14609 del 22/2/2017, COGNOME, Rv. 269537). Le Sezioni Unite, con la sentenza Sez. U, n. 40354 del 18/7/2013, COGNOME, Rv. 255974, avevano già chiarito che, nel reato di furto, l’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento delinea una condotta, posta in essere nel corso dell’azione delittuosa, dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, idonea, quindi, a sorprendere la contraria volontà del detentore e a vanificare le misure che questi ha apprestato a difesa dei beni di cui ha la disponibilità. Sulla base di tale principio, il massimo collegio d legittimità ha escluso che sia configurabile l’aggravante nel caso del mero occultamento sulla persona o nella borsa di merce esposta in un esercizio di vendita “self-service”. Le Sezioni Unite hanno ritrovato la ratio della circostanza nel fatto che essa serve a sanzionare un maggior disvalore riconnesso al fatto che le cose altrui vengono aggredite con misure di affinata efficacia che rendono più grave la condotta e mostrano, altresì, maggiore intensità del dolo, più pervicace risoluzione criminosa e maggiore pericolosità sociale. La frode rilevante deve riferirsi non a qualunque banale, ingenuo, ordinario accorgimento, ma richiede qualcosa in più: un’astuta, ingegnosa e magari sofisticata predisposizione di mezzi. Le Sezioni Unite ritrovano nell’elaborazione giurisprudenziale chiarificazioni sostanzialmente consonanti: si parla di mezzo fraudolento in presenza di stratagemma diretto ad aggirare, annullare, gli ostacoli che si frappongono tra l’agente e la cosa; di operazione straordinaria, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
improntata ad astuzia e scaltrezza; di escogitazione che sorprenda o soverchi, con l’insidia, la contraria volontà del detentore, violando le difese apprestate dalla vittima; di insidia che eluda, sovrasti o elimini la normale vigilanza e custodia delle cose.
In tema di furto, è configurabile l’aggravante del mezzo fraudolento di cui all’art. 625, comma primo, n. 2 cod. pen. anche quando l’accorgimento malizioso sia attuato dopo la sottrazione, in quanto finalizzato a garantire il provento dell’azione delittuosa consolidando lo spossessamento realizzato con l’azione furtiva. (Nella specie, l’aggravante è stata ritenuta sussistente nel caso di apposizione di targhe di altro veicolo, al fine di non essere individuati, ad una vettura alla quale era stato effettuato un rifornimento di carburante senza pagare il dovuto corrispettivo) (Sez. 5, Sentenza n. 32847 del 03/04/2019 Rv. 276924 – 01).
Ebbene, nel caso a mano, il possesso delle res illecitamente sottratte, si estrinsecava in una pluralità di condotte reiterate con modalità caratterizzate da marcata efficienza offensiva, astuzia, scaltrezza ed insidiosità ed utilizzando stratagemmi diretti ad aggirare ed annullare gli ostacoli frapposti dalle vittime nonché carpendo la fiducia da queste riposta nella imputata. Ed infatti, la ricorrente, approfittando strumentalmente, durante rapporto di lavoro domestico, nelle ore mattutine, della assenza degli anziani coniugi dalla abitazione, utilizzando una chiave, tenuta nascosta in un cassetto dell’armadio della camera da letto, che apriva altro cassetto dove era custodita in contanti la somma di euro 3.500,00, vanificando così le misure apprestate dalle vittime, a difesa del denaro custodito, se ne appropriava solo in parte, lasciando la somma di euro 700,00 nel tentativo di dissimulare il furto. Successivamente, la imputata, dopo essere stata scoperta ed ammesso il fatto come da scambio di messaggi whattsapp ed assunto l’impegno alla restituzione delle somme prelevate, ripreso il rapporto lavorativo di collaboratrice domestica, nuovamente carpita la fiducia delle vittime, reiterava la condotta illecita, impossessandosi di numerosi oggetti di argenteria presenti nella sala da pranzo, e, alla richiesta di spiegazioni, prima negava l’addebito e poi scappava rendendosi irreperibile.
Può, pertanto, affermarsi il seguente principio di diritto secondo cui: “integra la circostanza aggravante dell’uso mezzo fraudolento la condotta di chi, in tempi diversi, con modalità caratterizzate da marcata efficienza offensiva, astuzia, scaltrezza ed insidiosità, approfittando della assenza delle anziane vittime dalla abitazione e del rapporto di collaborazione domestica, vanificando le misure predisposte a difesa del denaro custodito, si impossessa solo di parte del denaro custodito all’interno di un cassetto chiuso a chiave, nascosta separatamente, lasciando parte della somma per dissimulare il furto, nonché utilizzando
stratagemmi diretti ad aggirare ed annullare gli ostacoli che si frappongono tra l’agente e la cosa quali ammissioni del fatto, promesse di restituzione anche tramite messaggi whattsapp, finalizzati ad ottenere la riassunzione, carpendo la fiducia della vittima, reiteri la condotta delittuosa”. Tale condotta, per le circostanze di fatto, di luogo, la condizione delle persone e per la particolare insidiosità delle astuzie e stratagemmi utilizzati volti a carpire la fiducia dell vittime, induce senza dubbio a ritenere la configurabilità dell’aggravante per come poc’anzi ricostruita nei suoi caratteri e finalità.
2.3 II terzo motivo di ricorso che lamenta il diniego della applicazione delle circostanze attenuanti generiche in termini di prevalenza è infondato.
La valutazione delle sussistenza delle circostanze attenuanti generiche costituisce oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato» (Cass., Sez. VI, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME, Rv 242419). Si è anche affermato che «ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso» (Cass., Sez. II, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv 249163).
Inoltre, in tema di concorso di circostanze, nonché di dosimetria della pena, le statuizioni relative sono censurabili in sede di legittimità soltanto nell’ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico, e non anche qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione data dal giudice alla problematica di valutare la condotta o di realizzare l’adeguatezza della pena, nell’esercizio del potere discrezionale previsto dagli articoli 62 bis, 69, 132 e 133 cod. pen., relativamente al quale non si rinvengono, nella specie, elementi di criticità, come attestato dall’esauriente motivazione sul punto.
Il percorso argomentativo adottato dalla Corte di merito, si rivela ineccepibile laddove ritiene che il Tribunale con estrema benevolenza ha riconosciuto con giudizio di equivalenza le circostanze attenuanti generiche sebbene dagli atti del processo e dalle prospettazioni difensive non emergano elementi di significatività tale da giustificare un diverso giudizio di bilanciamento in termini di prevalenza e che la pena appare sin troppo mite e non suscettibile di ulteriore riduzione.
2.4 II quarto motivo che eccepisce l’erroneità del mancato accoglimento della richiesta di applicazione della disciplina della particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis cod. pen., è infondato.
Invero, la causa di non punibilità di cui all’art.131 bis c.p. è stata negata con apprezzamento di fatto immune da censure di illogicità e dunque immune da censure in sede di legittimità, sulla base della intrinseca gravità del fatto-reato, della reiterazione delle condotte a breve distanza di tempo pur a fronte dell’apparente pentimento professato, della intensità del dolo, della rilevante entità della refurtiva e del comportamento susseguente della imputata, che ne precludono un giudizio di minima offensività, nell’ambito di una valutazione discrezionale che si mantiene nei limiti di un apprezzamento di fatto, immune da vizi logici e giuridici.
Pertanto, la sentenza ha escluso la particolare tenuità del fatto sulla base delle “modalità della condotta”, connotata da particolare offensività, e della “non esiguità” del danno cagionato alla persona offesa.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 23/05/2024.