Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15903 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 15903 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME COGNOME nato nel Gambia il 05/05/1991 avverso la sentenza del 10/12/2024 della Corte d’appello di Firenze udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Firenze ha confermato la condanna, emessa dal Tribunale di Pisa a carico di NOME COGNOME per il reato di furto di un telefono cellulare, così come riqualificata l’originaria contestazione di ricettazione.
Ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato.
2.1. Col primo motivo lamenta vizi di motivazione in relazione alla qualificazione in termini di furto, anziché di appropriazione di cosa smarrita di cui all’abrogato art. 647 cod. pen.
Si critica l’affermazione della Corte territoriale, secondo cui sarebbe inverosimile che l’imputato non fosse a conoscenza del fatto che il cellulare – non abbandonato, in quanto oggetto di denuncia di furto – potesse essere ricondotto
al legittimo proprietario tramite il codice IMEI, trattandosi di bene usato universalmente anche da chi sia in condizioni di indigenza.
Tuttavia, secondo parte ricorrente la persona offesa si sarebbe avveduta solo due giorni dopo dello smarrimento, decidendo inizialmente di non sporgere alcuna denuncia, in quanto il bene aveva un modestissimo valore. Inoltre, si assume che l’imputato, proveniente dal Gambia e ignaro della lingua italiana, aveva rinvenuto (come dallo stesso precisato) il cellulare in un cassonetto dell’immondizia, frugandovi dentro, ed ignorava che, tramite il codice IMEI, si potesse rintracciarne la proprietaria, essendo il suo primo contatto con un bene di tal fatta.
Per giunta, si assume che l’impossibilità di ricostituire sulla cosa smarrita il primitivo potere di fatto, da parte di chi ne era titolare, come accaduto nella specie (ignorando la persona offesa dove si trovasse il bene e non avendo la stessa intenzione di tornarne in possesso, come dichiarato in udienza e provato dalla tardiva denuncia, sporta solo dopo il rinvenimento del bene da parte dei Carabinieri), portava a qualificare la contestazione quale appropriazione di cose smarrite.
2.2. Col secondo motivo, ci si duole di vizi motivazionalì e violazioni di legge, in relazione alla determinazione della pena base e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: decisione basata su mere formule di stile e valutazioni illogiche e prive di adeguata valorizzazione dell’effettiva gravità del fatto, comunque lieve, della personalità dell’imputato e delle sue specifiche condizioni personali, e senza considerare le finalità rieducative sottese alla condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, per diversi profili inammissibile, è nel complesso infondato.
1.1. Il primo motivo è infondato.
Corretta è la qualificazione giuridica ai sensi dell’art. 624 cod. pen. del fatto, alla luce dell’orientamento assolutamente maggioritario, cui si intende dare seguito, secondo il quale «integra il reato di furto – e non quello di appropriazione di cosa smarrita, depenalizzato dal d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 – la condotta di chi si impossessi di un telefono cellulare altrui oggetto di smarrimento, trattandosi di bene che conserva anche in tal caso chiari segni del legittimo possessore altrui e, in particolare, il codice IMEI stampato nel vano batteria dell’apparecchio» (Sez. 5, Sentenza n. 1710 del 06/10/2016, dep. 2017, Rv. 268910-01; Sez. 2, Sentenza
n. 49530 del 26/10/2022).
In modo del tutto logico la sentenza d’appello ha escluso l’addotta inconsapevolezza dell’altruità della cosa, in capo all’imputato, evidenziando come
si trattasse di beni universalmente usati e conosciuti: non essendo giustamente pensabile che l’imputato, che se n’è appropriato, non avesse consapevolezza del
fatto che il cellulare appartenesse ad altri.
Trattasi di valutazione per nulla viziata da illogicità manifeste o altre carenze motivazionali, come tale incensurabile in sede di legittimità.
1.2. Inammissibile è il secondo motivo di ricorso.
Sfugge al sindacato di legittimità, se sorretta da motivazione non in primis
manifestamente illogica, bensì aderente ai criteri legali, quelli di cui agli
artt. 132 e 133 cod. pen., la valutazione sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549-
02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269-01; Sez. 1, n. 39566 del
16/02/2017, Rv. 270986-01).
In particolare, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è congruamente motivato, come fatto nella specie, con l’assenza di elementi di segno positivo (tanto che non rileva più, ex art. 62-bis, comma 3, cod. pen., l’incensuratezza dell’imputato: Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986-01; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489-01): avendo la Corte d’appello rilevato, con valutazione esente da vizi logici, che non vi fossero ragioni per riconoscere le circostanze attenuanti generiche in aggiunta alla circostanza attenuante ex art. 62, n. 4, cod. pen.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di rigetto segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 19/03/2025