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Furto al supermercato: quando è aggravato?

Un uomo, condannato per tentato furto di alimentari, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo errori procedurali, desistenza volontaria e l’inapplicabilità dell’aggravante della pubblica fede a causa della sorveglianza. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Ha chiarito che essere scoperti dalla sicurezza impedisce di configurare la desistenza volontaria e che la semplice sorveglianza non esclude l’aggravante nel furto al supermercato. Inoltre, i precedenti penali dell’imputato hanno giustificato il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto al supermercato: quando la sorveglianza non basta a escludere l’aggravante

Il furto al supermercato è un reato comune che solleva questioni giuridiche complesse, specialmente riguardo la distinzione tra tentativo e desistenza volontaria, e l’applicazione delle circostanze aggravanti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 26890/2024) offre chiarimenti cruciali su questi aspetti, confermando che la presenza di sistemi di sorveglianza non esclude automaticamente l’aggravante dell’esposizione a pubblica fede.

I fatti del caso: il tentativo di furto e la condanna

Il caso riguarda un uomo condannato in primo e secondo grado per il reato di tentato furto aggravato di generi alimentari da un supermercato. L’imputato aveva sottratto delle confezioni di formaggio dagli espositori. La sua azione era stata però notata dal personale di vigilanza che lo aveva seguito. Una volta giunto alle casse, invitato a consegnare la merce nascosta, l’uomo l’aveva restituita. I giudici di merito avevano riqualificato l’ipotesi iniziale di furto consumato in tentato furto, escludendo l’aggravante della destrezza ma confermando quella dell’aver commesso il fatto su cose esposte per consuetudine alla pubblica fede. La pena inflitta era stata di 4 mesi di reclusione e 200 euro di multa.

I motivi del ricorso in Cassazione

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione basandosi su quattro motivi principali:
1. Nullità per difetto di notifica: Si lamentava un errore nella notifica di alcuni atti fondamentali del processo, indirizzati a un avvocato con un nome di battesimo leggermente diverso, sebbene allo stesso indirizzo e con lo stesso cognome.
2. Errata configurazione del tentativo: La difesa sosteneva che si trattasse di un caso di desistenza volontaria, poiché l’imputato aveva spontaneamente restituito la merce, e non di semplice tentativo.
3. Insussistenza dell’aggravante: Si contestava l’applicazione dell’aggravante dell’esposizione a pubblica fede, dato che l’intera azione era stata monitorata dagli addetti alla vigilanza.
4. Mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p.: Si criticava la decisione dei giudici di non applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, basandosi unicamente sui precedenti penali dell’imputato.

L’aggravante nel furto al supermercato: la decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutti i motivi sollevati dalla difesa e fornendo importanti precisazioni su ciascun punto.

Il principio della desistenza non volontaria

La Corte ha stabilito che la restituzione della merce non poteva essere considerata una desistenza volontaria ai sensi dell’art. 56 c.p. La volontarietà, infatti, presuppone una scelta autonoma e interna dell’agente di interrompere l’azione criminosa. Nel caso di specie, la decisione di restituire il formaggio è stata determinata da un fattore esterno: l’essere stato scoperto dall’addetto alla sicurezza. L’intervento del personale ha reso evidente all’imputato l’impossibilità di portare a termine il furto, costringendolo di fatto a desistere. Non si è trattato quindi di una scelta libera, ma di una conseguenza diretta della vigilanza.

L’aggravante della pubblica fede e la videosorveglianza nel furto al supermercato

Questo è il punto centrale della sentenza. La difesa riteneva che il monitoraggio costante escludesse l’aggravante dell’esposizione a pubblica fede. La Cassazione, richiamando un orientamento consolidato, ha ribadito che la presenza di apparati di videosorveglianza o la sorveglianza da parte del personale non sono, di per sé, sufficienti a escludere tale aggravante. L’aggravante viene meno solo quando la sorveglianza è talmente diretta, continua, costante ed efficace da impedire materialmente la sottrazione della merce, esercitando una custodia di fatto sulla “res”. Un semplice monitoraggio a distanza, che permette di osservare l’azione ma non di impedirla nell’immediato, non elimina la condizione di affidamento al senso di onestà collettivo che caratterizza i beni esposti in un supermercato.

La particolare tenuità del fatto e i precedenti penali

Infine, la Corte ha ritenuto manifestamente infondata anche la censura relativa alla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p. I giudici hanno spiegato che la valutazione non deve limitarsi alla sola entità del danno (in questo caso minima), ma deve considerare la condotta nel suo complesso e la personalità dell’autore. I numerosi precedenti penali specifici dell’imputato per reati della stessa natura sono stati correttamente interpretati come indice di un’abitualità nel commettere delitti, una condizione che osta all’applicazione della causa di non punibilità.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su principi giuridici consolidati. La distinzione tra tentativo e desistenza è ancorata al criterio della volontarietà, intesa come libera scelta interiore e non come reazione a un impedimento esterno. Per quanto riguarda l’aggravante della pubblica fede, la Corte sottolinea che la ratio della norma è proteggere i beni che, per necessità commerciali, non possono essere costantemente custoditi in modo diretto. La sorveglianza moderna attenua il rischio, ma non lo elimina al punto da trasformare la natura dell’esposizione della merce. Infine, la valutazione per l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. deve essere globale e comprendere non solo il fatto in sé, ma anche la propensione a delinquere del soggetto, desumibile dai suoi precedenti penali.

Le conclusioni

La sentenza n. 26890/2024 conferma un orientamento rigoroso in materia di furto al supermercato. Ribadisce che la tecnologia di sorveglianza non crea una “bolla” di impunità che esclude l’aggravante della pubblica fede, a meno che non si traduca in una custodia fisica e ininterrotta. Inoltre, evidenzia come la recidiva e l’abitualità nel commettere reati siano elementi decisivi che impediscono l’accesso a benefici come la non punibilità per particolare tenuità del fatto, anche quando il valore della merce sottratta è esiguo. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro alla cassa delle ammende.

Quando un furto al supermercato si considera solo tentato e non un’ipotesi di desistenza volontaria?
Si configura un tentativo e non una desistenza volontaria quando l’autore del reato interrompe l’azione non per una sua libera scelta, ma perché costretto da un fattore esterno, come l’essere stato scoperto dal personale di sorveglianza che gli intima di restituire la merce.

La presenza di telecamere di sorveglianza in un supermercato esclude l’aggravante dell’esposizione a pubblica fede?
No, la sola presenza di telecamere o di personale addetto alla vigilanza non esclude automaticamente l’aggravante. L’aggravante è esclusa solo se la sorveglianza è così diretta, continua ed efficace da esercitare una custodia costante sulla merce, tale da impedire di fatto la sua sottrazione, cosa che una normale sorveglianza a distanza tipicamente non fa.

Perché la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) può non essere applicata in un caso di furto di lieve entità?
Perché la valutazione non si basa solo sul valore della merce rubata. La legge richiede di considerare la condotta nel suo complesso e la personalità dell’imputato. La presenza di numerosi precedenti penali per reati dello stesso tipo può essere considerata indice di un’abitualità nel commettere illeciti, una condizione che la legge indica come ostativa all’applicazione di tale causa di non punibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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