Furto aggravato: la videosorveglianza non sempre salva
Un recente provvedimento della Corte di Cassazione affronta un tema di grande attualità: il furto aggravato in esercizi commerciali dotati di sistemi di videosorveglianza. La questione centrale è se la presenza di telecamere sia sufficiente a escludere l’aggravante dell’esposizione della merce alla pubblica fede. Con l’Ordinanza n. 18536 del 2024, la Suprema Corte ha fornito una risposta chiara, confermando un orientamento consolidato.
I Fatti del Caso: Il Furto nel Negozio
Il caso trae origine da un ricorso presentato da una persona condannata in Corte d’Appello per il reato di furto. La difesa sosteneva che non potesse essere applicata l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede (prevista dall’art. 625, comma 1, n. 7 del codice penale), poiché il negozio in cui era avvenuto il furto era dotato di un impianto di videosorveglianza. Secondo la tesi difensiva, le telecamere avrebbero eliminato quella condizione di affidamento sull’onestà pubblica che è alla base dell’aggravante stessa.
L’Aggravante dell’Esposizione alla Pubblica Fede e il Ruolo delle Telecamere
L’aggravante in questione si applica quando il furto ha per oggetto cose esposte per necessità, consuetudine o destinazione alla ‘pubblica fede’, ovvero lasciate senza una custodia continua e diretta. La merce sugli scaffali di un supermercato o di un negozio ne è l’esempio classico. La difesa ha tentato di sostenere che la videosorveglianza equivale a una forma di controllo continuo, tale da far venir meno l’aggravante.
La Decisione della Cassazione sul Furto Aggravato
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando completamente la tesi difensiva. I giudici hanno sottolineato che il ricorso si basava su censure non ammesse nel giudizio di legittimità, poiché tendeva a una nuova valutazione dei fatti, compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello).
Le Motivazioni della Corte
Nel merito, la Corte ha ribadito il principio secondo cui la semplice presenza di un sistema di videosorveglianza non è, di per sé, sufficiente a escludere l’aggravante. Ciò che rileva è l’esistenza di una sorveglianza ‘costante e continua’. Nel caso di specie, era stato accertato in sede di merito che, nonostante le telecamere, non vi era un monitoraggio ininterrotto della merce esposta sugli scaffali. Pertanto, i beni rimanevano affidati alla ‘pubblica fede’. La motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta congrua, adeguata e immune da vizi logici, poiché basata su corretti criteri di inferenza. Di conseguenza, è stata respinta anche la doglianza relativa alla prescrizione del reato, poiché derivante dalla contestazione della prima censura.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
La decisione conferma che, per escludere l’aggravante del furto aggravato, non basta installare delle telecamere. È necessario che vi sia un sistema di controllo attivo e continuo, in grado di esercitare una vigilanza assimilabile a quella di una persona fisica. In assenza di tale controllo, la merce si considera ancora esposta alla pubblica fede. L’imputata è stata quindi condannata al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro a favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 c.p.p. in caso di inammissibilità del ricorso.
La presenza di telecamere in un negozio esclude automaticamente l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede in caso di furto?
No, la sentenza chiarisce che la sola presenza di un impianto di videosorveglianza non esclude l’aggravante se non è garantita una sorveglianza costante e continua sulla merce esposta.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure proposte riguardavano la valutazione dei fatti e l’adeguatezza della motivazione del giudice precedente, aspetti che non possono essere riesaminati nel giudizio di legittimità, il quale si limita a verificare la corretta applicazione della legge.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 c.p.p., la parte che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso con una sanzione di 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18536 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18536 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME CITTANOVA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/12/2022 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso sentenza recante l’affermazione di responsabilità in ordine al reato ascritto è inammissibile, perc contenente censure non consentite nel giudizio di legittimità, in quanto concernenti la valutazione del fatto, profilo del giudizio rimesso alla esclusiva competenza d giudice di merito che ha fornito, sul punto, una congrua e adeguata motivazione, immune da censure di manifesta illogicità perché basata su corretti criteri d inferenza.
In particolare, il primo motivo proposto è riproduttivo di profili di cens già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice merito, atteso che la Corte d’appello ha motivatamente ritenuto la sussistenza della contestata aggravante dell’esposizione alla pubblica fede di cui all’art. 625, comma 1, n. 7), cod. pen., trattandosi di furto commesso su bene esposto sugli scaffali un esercizio commerciale munito di impianto di videosorveglianza, in assenza di una sorveglianza costante e continua, come Msindacabilmente accertato in sede di merito. Consegue anche la manifesta infondatezza del secondo motivo in tema di prescrizione del reato.
Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di € 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 3 aprile 2024
Il Con liere estensore
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Il Presidente