Furto aggravato: la videosorveglianza non basta a escludere l’aggravante
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di furto aggravato, fornendo chiarimenti cruciali su due aspetti fondamentali: la legittimazione a sporgere querela e l’efficacia della videosorveglianza nell’escludere l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede. La decisione sottolinea come la semplice presenza di telecamere non sia sufficiente a garantire una protezione tale da far venir meno l’aggravante, confermando un orientamento giurisprudenziale consolidato.
Il caso: un ricorso contro la condanna per furto aggravato
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un’imputata, condannata in primo e secondo grado per i reati di furto pluriaggravato, sia tentato che consumato. La Corte di Appello di Roma aveva confermato la sentenza di condanna del Tribunale. L’imputata ha quindi deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, contestando la decisione su diversi fronti e sperando in un annullamento della condanna.
I motivi del ricorso: querela, aggravanti e sospensione della pena
Il ricorso si fondava su tre motivi principali, con cui la difesa ha cercato di smontare l’impianto accusatorio e la decisione dei giudici di merito.
La questione della querela
In primo luogo, la ricorrente ha eccepito la mancanza di una valida querela. Sosteneva che la denuncia non fosse stata presentata da un soggetto legittimato, ovvero il proprietario dei beni sottratti. Questa contestazione si inseriva nel quadro delle novità introdotte dalla riforma Cartabia (D.Lgs. 150/2022), che ha ampliato i casi in cui la querela è necessaria per procedere.
L’aggravante del furto e la videosorveglianza
Il secondo motivo di ricorso contestava la sussistenza della circostanza aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede (art. 625, n. 7, c.p.). Secondo la difesa, la presenza di un sistema di videosorveglianza nel luogo del delitto avrebbe dovuto escludere tale aggravante, poiché i beni non potevano considerarsi completamente incustoditi. Nello stesso motivo, si lamentava il mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti.
Bilanciamento delle circostanze e pena condizionale
Infine, la ricorrente ha criticato la mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, ritenendo che i giudici di merito avessero errato nella loro valutazione prognostica sulla sua futura condotta.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile, respingendo tutte le censure sollevate. Sul primo punto, relativo alla querela, i giudici hanno ribadito un principio consolidato: il bene giuridico protetto dal reato di furto non è solo la proprietà, ma anche il possesso. Di conseguenza, anche chi ha una semplice relazione di fatto con la cosa (il possessore) è persona offesa dal reato e ha piena legittimazione a sporgere querela. Nel caso di specie, non era necessario che a denunciare fosse il proprietario formale.
Riguardo alla circostanza aggravante del furto aggravato, la Corte ha specificato che la videosorveglianza non esclude automaticamente l’esposizione alla pubblica fede. Un sistema di telecamere, che funge da mero ausilio per l’identificazione successiva degli autori del reato, non è idoneo a garantire l’interruzione immediata dell’azione criminosa. Solo una sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione del bene potrebbe far venir meno l’aggravante. La valutazione del giudice di merito sul bilanciamento delle circostanze, inoltre, è stata ritenuta insindacabile in sede di legittimità, in quanto non arbitraria né illogica.
Infine, la Corte ha confermato la correttezza della decisione di negare la sospensione condizionale della pena. I giudici di appello avevano espresso un giudizio di prognosi sfavorevole basato non solo sulla gravità dei reati, ma anche su altri comportamenti indicativi di una proclività a delinquere, rendendo la loro valutazione logica e ineccepibile.
Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza
L’ordinanza della Cassazione conferma principi di diritto importanti con significative ricadute pratiche. In primo luogo, consolida l’idea che la tutela contro il furto si estende a chiunque abbia il controllo materiale di un bene, semplificando la possibilità di avviare l’azione penale. In secondo luogo, invia un messaggio chiaro a commercianti e cittadini: installare telecamere è utile per l’identificazione post-reato, ma non è considerato una misura di protezione così forte da attenuare la gravità di un furto commesso su beni esposti al pubblico. Per escludere l’aggravante, occorre una sorveglianza attiva e in grado di intervenire tempestivamente. La decisione ribadisce quindi la severità dell’ordinamento verso il furto aggravato commesso in contesti di pubblica fede, anche nell’era della sorveglianza tecnologica.
Chi può validamente sporgere querela per il reato di furto?
Non solo il proprietario del bene, ma anche il semplice possessore, ovvero chiunque abbia una relazione di fatto con la cosa, anche se basata su un titolo illecito.
La presenza di telecamere di videosorveglianza esclude l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede in un caso di furto aggravato?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che un sistema di videosorveglianza che serve solo a identificare a posteriori i colpevoli non è sufficiente. L’aggravante viene meno solo se la sorveglianza è così efficace da poter impedire immediatamente la sottrazione del bene.
La Corte di Cassazione può modificare la valutazione del giudice sul bilanciamento tra circostanze attenuanti e aggravanti?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare questa valutazione, a meno che non sia palesemente illogica o arbitraria. Si tratta di un giudizio discrezionale tipico del merito.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11667 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11667 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/02/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NUMERO_DOCUMENTO
Rilevato che l’imputata NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma di condanna per i reati di furto pluriaggravato, tentato e consumato;
Rilevato che il primo motivo del ricorso – con cui la ricorrente denunzia violazione legge in relazione alla mancanza di querele, quali condizioni di procedibilità dei reati alla del D.Lgs, n. 150/2022, proposte da soggetti legittimati – è manifestamente infondato perché, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il bene giuridico protetto dal delitto di f individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali o di godimento, ma anche possesso – inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità – ch configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto sp la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela (Sez. U Sentenza n. 40354 del 18/07/2013, Rv. 255975);
Rilevato, ancora, quanto al tema della mancanza della querela, che la questione non risulta essere stata formulata in udienza dinanzi alla Corte di appello, come può evincersi dall lettura del verbale;
Rilevato che il secondo motivo di ricorso – nella parte in cui la ricorrente dedu violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della circostan aggravante di cui all’art. 625 comma 1 n. 7 cod. pen.- è manifestamente infondato e versato in fatto, perché adduce circostanze di merito che non possono essere poste al vaglio di questa Corte. Peraltro va ricordato che, in tema di furto, la circostanza aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede non è esclusa dall’esistenza, nel luogo in cui si consuma il delit di un sistema di videosorveglianza, mero strumento di ausilio per la successiva individuazione degli autori del reato, non idoneo a garantire l’interruzione immediata dell’azione criminosa mentre solo una sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione del bene consente di escludere l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen. (Sez. 5 Sentenza n. 1509 del 26/10/2020,Rv. 280157);
Considerato inoltre che la censura di cui allo stesso secondo motivo di ricorso – con cui la ricorrente lamenta il mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti sul aggravanti- è manifestamente infondato perché la Corte di cassazione non può censurare le scelte dei giudici di appello sul punto, giacché le statuizioni relative al giudizio di comparaz tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionament illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata a ritenerla la P i ù idonea a realizzare
l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. 1.1, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245930; Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, COGNOME, Rv. 270450);
Rilevato che il terzo motivo di ricorso- con cui la ricorrente denunzia violazione di leg in relazione alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena è manifestamente infondato perché la Corte di Appello ha posto a base del rigetto della richiesta di applicazione del beneficio argomentazioni logiche e ineccepibili, esprimendo un giudizio di prognosi sfavorevole sulla non reiterazione futura di reati, giudizio tipicament merito che non scade nell’illogicità quando, come nel caso in esame, la valutazione non si esaurisca nel vaglio circa l’astratta gravità dei reati, ma riguardi anche ulteriori comportame indicativi di una proclività all’illecito che non consente di applicare il beneficio.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2024.