Furto aggravato: le telecamere in negozio bastano a evitare l’aggravante?
La crescente diffusione di sistemi di sicurezza come telecamere e dispositivi antitaccheggio solleva una questione importante nel diritto penale: la loro presenza è sufficiente a escludere la configurabilità del furto aggravato per esposizione della merce a pubblica fede? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito una risposta chiara, confermando un orientamento ormai consolidato.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine dalla condanna di un uomo per il reato di furto, aggravato dal fatto che la merce sottratta era esposta in un esercizio commerciale e, quindi, accessibile al pubblico. La decisione del tribunale di primo grado era stata confermata anche dalla Corte d’Appello di Roma.
L’imputato, non rassegnandosi alla condanna, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, affidandosi a cinque distinti motivi per contestare la sentenza. Tra questi, spiccavano le censure relative alla procedura seguita in primo grado, alla valutazione della sua responsabilità, e, soprattutto, al riconoscimento dell’aggravante dell’esposizione a pubblica fede nonostante la presenza di sistemi di sorveglianza.
I Motivi del Ricorso e l’Analisi della Corte
L’imputato ha tentato di smontare la condanna su più fronti:
1. Vizi procedurali: Contestava la dichiarazione di assenza e le modalità di acquisizione delle prove. La Corte ha ritenuto il motivo infondato, avendo il giudice di primo grado agito nel rispetto del contraddittorio.
2. Travisamento della prova: Lamentava un’errata valutazione delle prove a suo carico. La Cassazione ha dichiarato questo motivo inammissibile, ricordando che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma solo di verificare la corretta applicazione della legge.
3. Mancata applicazione della non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.): Anche questa doglianza è stata giudicata inammissibile perché generica e ripetitiva di argomenti già respinti in appello.
Il Cuore della Questione: Furto Aggravato e Sistemi di Sorveglianza
Il quarto motivo di ricorso è il più interessante. L’imputato sosteneva che la presenza di telecamere e sistemi antitaccheggio avrebbe dovuto escludere l’aggravante dell’esposizione a pubblica fede. Secondo la sua tesi, questi strumenti metterebbero la merce sotto il controllo costante del personale, eliminando l’affidamento all’onestà pubblica che caratterizza l’aggravante.
La Corte di Cassazione ha respinto con forza questa argomentazione, definendola manifestamente infondata. I giudici hanno chiarito che i sistemi di videosorveglianza e antitaccheggio, per loro natura, realizzano un controllo a distanza e non continuativo. Essi non impediscono fisicamente l’impossessamento del bene, ma fungono principalmente da deterrente o come strumento per identificare i colpevoli a posteriori. Pertanto, la merce rimane materialmente alla portata di chiunque, e la sua tutela è ancora affidata in gran parte al senso di correttezza dei clienti.
Le Motivazioni della Decisione
La decisione della Corte si fonda su un principio consolidato: l’aggravante del furto aggravato per esposizione a pubblica fede viene meno solo quando esiste una sorveglianza continua e diretta sulla merce, tale da interrompere il rapporto di fiducia con il pubblico. Un controllo meramente passivo o a distanza, come quello offerto dalle telecamere, non è sufficiente a questo scopo.
La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili anche gli altri motivi, ribadendo che il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. Le valutazioni su responsabilità, tenuità del fatto e concessione delle attenuanti generiche rientrano nella discrezionalità dei giudici di primo e secondo grado, a meno che la loro motivazione non sia palesemente illogica o contraddittoria, cosa che in questo caso non è stata riscontrata.
Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma che, per la giurisprudenza, l’installazione di tecnologie di sicurezza non neutralizza la condizione di esposizione a pubblica fede della merce in un negozio. Per i commercianti, ciò significa che, sebbene utili, questi sistemi non eliminano la qualificazione giuridica più grave del furto. Per gli imputati, la sentenza rappresenta un monito: non è possibile appellarsi alla sola presenza di una telecamera per sperare in una derubricazione del reato da furto aggravato a furto semplice. La decisione finale della Cassazione è stata la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
La presenza di telecamere di sorveglianza in un negozio esclude l’aggravante del furto su cose esposte alla pubblica fede?
No. Secondo la Corte di Cassazione, telecamere e sistemi antitaccheggio realizzano un controllo non continuativo e a distanza, che non impedisce l’impossessamento del bene. Pertanto, la merce resta esposta alla pubblica fede e l’aggravante sussiste.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di rivalutare le prove e i fatti di un processo?
No. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la logicità della motivazione, non può riesaminare le prove o fornire una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella dei giudici di primo e secondo grado.
Cosa significa quando un ricorso viene dichiarato ‘inammissibile’?
Significa che il ricorso non possiede i requisiti previsti dalla legge per essere esaminato nel merito. Le cause di inammissibilità possono essere vizi di forma o, come in questo caso, la proposizione di motivi non consentiti in sede di legittimità (ad esempio, la richiesta di una nuova valutazione dei fatti).
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 29893 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 29893 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a SAN GIORGIO A CREMANO il 26/11/1995
avverso la sentenza del 22/11/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, che ha confermato la sentenza del giudice di prime cure, con la quale l’imputato era stato ritenuto responsabile del delitto di furto aggravato dall’aver commesso il fatto su cose esposte per destinazione alla pubblica fede;
Considerato che il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente denunzia erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in ordine alla dichiarazione di assenza disposta dal giudice di primo grado e alla conseguente apertura del dibattimento con acquisizione delle testimonianze rese dai testi della pubblica accusa, è manifestamente infondato, atteso che il giudice di prime cure – solo in seguito alla rinnovazione della notifica a mani proprie – ha dato atto dell’utilizzabilità degli atti istruttori acquisiti sino a quel momento (senza opposizione delle parti), nel rispetto del contraddittorio delle parti. In ogni caso, il giudice può dichiarare l’assenza dell’imputato nei casi di cui all’art. 420 bis cod. proc. pen., tenendo anche conto delle modalità della notificazione, degli atti compiuti dall’imputato prima dell’udienza, della nomina di un difensore di fiducia e di ogni altra circostanza rilevante;
Considerato che il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta vizi di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità e in ordine ad un travisamento della prova, non è consentito dalla legge in sede di legittimità, perché volto a prefigurare una rivalutazione e/o alternativa rilettura del materiale istruttorio, estraneo al sindacato di legittimità e avulso da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito (si veda, in particolare, la prima parte di pag: 3 del provvedimento impugnato);
Rilevato che il terzo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente denunzia vizi di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis cod. pen., non è consentito dalla legge in sede di legittimità, perché costituito da doglianze del
tutto generiche e che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla corte di merito (si veda, in particolare, l’ultima parte di pag. 3 della sentenza impugnata, in cui il giudice di merito chiariva come le modalità dell’azione criminosa fossero ostative alla concessione del beneficio richiesto);
In ordine al quarto motivo di ricorso, con il quale il ricorrente denunzia erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante dell’esposizione a pubblica fede, sussiste una manifesta infondatezza, atteso che contrariamente a quanto sostenuto dall’imputato – il sistema di antitaccheggio e le telecamere di videosorveglianza non hanno, in concreto, impedito l’impossessamento del bene, posto che i suddetti apparati realizzerebbero un controllo non continuativo e a distanza;
Rilevato che il quinto motivo di ricorso, con il quale il ricorrente denunzia vizi di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, lamentando il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non è consentito in sede di legittimità, perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; che nella specie l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si veda, in particolare, pag. 4 della sentenza impugnata);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
a
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di
tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 2 luglio 2025
Il Consigliere estensore
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Il Presidente