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Furto aggravato: staccare l’antitaccheggio è violenza

Un soggetto condannato per tentato furto pluriaggravato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo l’insussistenza dell’aggravante della violenza sulle cose per aver rimosso una placca antitaccheggio. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo il suo orientamento consolidato: la rimozione del dispositivo antitaccheggio costituisce furto aggravato. Tale azione, infatti, determina una trasformazione oggettiva del bene, privandolo di una sua componente essenziale e della sua funzione di protezione, integrando così la violenza sulla cosa. La Corte ha inoltre confermato la correttezza della valutazione sulla recidiva, basata non solo sui precedenti ma anche sulla continua violazione delle misure cautelari da parte dell’imputato.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto aggravato: la Cassazione conferma che staccare l’antitaccheggio è violenza sulle cose

Con l’ordinanza n. 19304/2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di tentato furto aggravato, offrendo un importante chiarimento su una questione molto comune: la rimozione della placca antitaccheggio dalla merce in un negozio. La Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato, secondo cui tale condotta integra pienamente l’aggravante della violenza sulle cose, con significative conseguenze sulla qualificazione del reato e sulla pena applicabile.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un ricorso presentato da un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di tentato furto pluriaggravato. L’imputato era stato sorpreso mentre tentava di sottrarre della merce da un esercizio commerciale dopo averne rimosso il dispositivo di sicurezza. La persona offesa aveva sporto rituale querela, dando avvio al procedimento penale che aveva portato alla condanna, confermata anche dalla Corte d’Appello.

I Motivi del Ricorso e la questione del furto aggravato

L’imputato, tramite il suo difensore, ha basato il ricorso per cassazione su due motivi principali.
In primo luogo, contestava la configurabilità delle aggravanti previste dall’art. 625 c.p., in particolare quella della violenza sulle cose (n. 2). Secondo la difesa, il semplice fatto di staccare la placca antitaccheggio non costituirebbe una vera e propria violenza, ma un’azione di minima entità.
In secondo luogo, il ricorrente criticava l’applicazione della recidiva, sostenendo che fosse stata valutata in modo errato, basandosi unicamente sulla presenza di precedenti penali.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo entrambi i motivi manifestamente infondati e generici. Le argomentazioni della Corte sono chiare e seguono un orientamento giurisprudenziale ormai stabile.

La Violenza sulle Cose nella Rimozione dell’Antitaccheggio

Sul punto centrale del furto aggravato, la Corte ha smontato la tesi difensiva. I giudici hanno spiegato che il ricorso si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte correttamente dai giudici di merito, senza un reale confronto con le motivazioni della sentenza d’appello.

La Cassazione ha poi riaffermato con forza il principio secondo cui la rimozione del dispositivo antitaccheggio integra l’aggravante della violenza sulle cose. Il ragionamento è il seguente: tale condotta non è un’azione banale, ma determina una “trasformazione oggettiva della res” (cioè del bene). La placca non è un accessorio irrilevante, ma una componente essenziale del prodotto esposto in vendita, in quanto svolge una specifica funzione di protezione. Privare la merce di questo strumento significa alterarne la condizione e la funzionalità, un’azione che rientra a pieno titolo nella nozione di violenza ai sensi dell’art. 625, n. 2, c.p.

La Corretta Valutazione della Recidiva

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Corte ha osservato che la decisione della Corte d’Appello non si era basata solo sui precedenti penali dell’imputato, come sostenuto dal ricorrente. I giudici di merito avevano infatti valorizzato un altro elemento cruciale: la continua violazione delle prescrizioni cautelari a cui l’imputato era sottoposto. Questa condotta è stata logicamente ritenuta un chiaro indicatore di una “accresciuta pericolosità” sociale, giustificando pienamente l’applicazione della recidiva.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento consolida un principio giuridico di notevole importanza pratica. La Suprema Corte stabilisce in modo inequivocabile che chiunque rimuova una placca antitaccheggio per rubare un prodotto non commette un semplice furto, ma un furto aggravato dalla violenza sulle cose. Questa qualificazione giuridica comporta un trattamento sanzionatorio più severo e sottolinea la gravità di un’azione che non solo mira a sottrarre un bene, ma ne compromette anche i sistemi di protezione. La decisione serve da monito e chiarisce che manomettere i dispositivi di sicurezza è un’azione che il sistema legale prende molto sul serio, considerandola una vera e propria alterazione del bene.

Staccare una placca antitaccheggio da un prodotto è considerato furto aggravato?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la rimozione di un dispositivo antitaccheggio integra l’aggravante della violenza sulle cose (art. 625 n. 2 c.p.), qualificando il reato come furto aggravato.

Perché la rimozione dell’antitaccheggio è considerata “violenza sulle cose”?
Perché, secondo la giurisprudenza consolidata, tale condotta determina una trasformazione oggettiva del bene, privandolo di una componente essenziale e del suo strumento di protezione, alterandone così la condizione originaria.

Oltre ai precedenti penali, cosa può considerare un giudice per applicare la recidiva?
Il giudice può valutare anche altri elementi indicativi della pericolosità sociale del soggetto, come, nel caso di specie, la continua violazione delle prescrizioni cautelari a cui l’imputato era sottoposto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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