Furto aggravato: la Cassazione conferma che staccare l’antitaccheggio è violenza sulle cose
Con l’ordinanza n. 19304/2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di tentato furto aggravato, offrendo un importante chiarimento su una questione molto comune: la rimozione della placca antitaccheggio dalla merce in un negozio. La Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato, secondo cui tale condotta integra pienamente l’aggravante della violenza sulle cose, con significative conseguenze sulla qualificazione del reato e sulla pena applicabile.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da un ricorso presentato da un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di tentato furto pluriaggravato. L’imputato era stato sorpreso mentre tentava di sottrarre della merce da un esercizio commerciale dopo averne rimosso il dispositivo di sicurezza. La persona offesa aveva sporto rituale querela, dando avvio al procedimento penale che aveva portato alla condanna, confermata anche dalla Corte d’Appello.
I Motivi del Ricorso e la questione del furto aggravato
L’imputato, tramite il suo difensore, ha basato il ricorso per cassazione su due motivi principali.
In primo luogo, contestava la configurabilità delle aggravanti previste dall’art. 625 c.p., in particolare quella della violenza sulle cose (n. 2). Secondo la difesa, il semplice fatto di staccare la placca antitaccheggio non costituirebbe una vera e propria violenza, ma un’azione di minima entità.
In secondo luogo, il ricorrente criticava l’applicazione della recidiva, sostenendo che fosse stata valutata in modo errato, basandosi unicamente sulla presenza di precedenti penali.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo entrambi i motivi manifestamente infondati e generici. Le argomentazioni della Corte sono chiare e seguono un orientamento giurisprudenziale ormai stabile.
La Violenza sulle Cose nella Rimozione dell’Antitaccheggio
Sul punto centrale del furto aggravato, la Corte ha smontato la tesi difensiva. I giudici hanno spiegato che il ricorso si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte correttamente dai giudici di merito, senza un reale confronto con le motivazioni della sentenza d’appello.
La Cassazione ha poi riaffermato con forza il principio secondo cui la rimozione del dispositivo antitaccheggio integra l’aggravante della violenza sulle cose. Il ragionamento è il seguente: tale condotta non è un’azione banale, ma determina una “trasformazione oggettiva della res” (cioè del bene). La placca non è un accessorio irrilevante, ma una componente essenziale del prodotto esposto in vendita, in quanto svolge una specifica funzione di protezione. Privare la merce di questo strumento significa alterarne la condizione e la funzionalità, un’azione che rientra a pieno titolo nella nozione di violenza ai sensi dell’art. 625, n. 2, c.p.
La Corretta Valutazione della Recidiva
Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Corte ha osservato che la decisione della Corte d’Appello non si era basata solo sui precedenti penali dell’imputato, come sostenuto dal ricorrente. I giudici di merito avevano infatti valorizzato un altro elemento cruciale: la continua violazione delle prescrizioni cautelari a cui l’imputato era sottoposto. Questa condotta è stata logicamente ritenuta un chiaro indicatore di una “accresciuta pericolosità” sociale, giustificando pienamente l’applicazione della recidiva.
Le Conclusioni
L’ordinanza in commento consolida un principio giuridico di notevole importanza pratica. La Suprema Corte stabilisce in modo inequivocabile che chiunque rimuova una placca antitaccheggio per rubare un prodotto non commette un semplice furto, ma un furto aggravato dalla violenza sulle cose. Questa qualificazione giuridica comporta un trattamento sanzionatorio più severo e sottolinea la gravità di un’azione che non solo mira a sottrarre un bene, ma ne compromette anche i sistemi di protezione. La decisione serve da monito e chiarisce che manomettere i dispositivi di sicurezza è un’azione che il sistema legale prende molto sul serio, considerandola una vera e propria alterazione del bene.
Staccare una placca antitaccheggio da un prodotto è considerato furto aggravato?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la rimozione di un dispositivo antitaccheggio integra l’aggravante della violenza sulle cose (art. 625 n. 2 c.p.), qualificando il reato come furto aggravato.
Perché la rimozione dell’antitaccheggio è considerata “violenza sulle cose”?
Perché, secondo la giurisprudenza consolidata, tale condotta determina una trasformazione oggettiva del bene, privandolo di una componente essenziale e del suo strumento di protezione, alterandone così la condizione originaria.
Oltre ai precedenti penali, cosa può considerare un giudice per applicare la recidiva?
Il giudice può valutare anche altri elementi indicativi della pericolosità sociale del soggetto, come, nel caso di specie, la continua violazione delle prescrizioni cautelari a cui l’imputato era sottoposto.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19304 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19304 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/05/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che NOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Palermo ne ha confermato la condanna per il reato di tentato furto pluriaggravato, per il quale era stata proposta rituale querela da parte della persona offesa.
Rilevato che il difensore dell’imputato ha depositato memoria insistendo nell’ammissibilità dei motivi di ricorso.
Rilevato che il primo motivo relativo alla configurabilità delle contestate aggravanti di cui all’art. 625 n. 2) e 7) c.p. è manifestamente infondato e generico. Con riguardo alla prima aggravante citata il ricorrente sostanzialmente ribadisce le argomentazioni già confutate dalla sentenza con motivazione corretta in diritto e coerente alle risultanze esposte senza confrontarsi con le argomentazioni articolate dai giudici del merito. Quanto alla seconda aggravante, il ricorso non evidenzia da quali elementi risulterebbe contrastata l’affermazione del giudice di primo grado recepita da quella dell’appello circa il fatto che l placca antitaccheggio era stata effettivamente strappata. Non di meno le doglianze del ricorrente sono, come accenNOME, anche manifestamente infondate in quanto contrastanti con l’orientamento consolidato di questa Corte per cui sussiste l’aggravante della violenza sulle cose di cui all’art. 625 n. 2) c.p., nel caso in cui sia rimosso l’apparato antitacchegg applicato alla merce in vendita all’interno di un esercizio commerciale, in quanto tale condotta determina una trasformazione oggettiva della res che perde una componente essenziale e, sotto il profilo funzionale, è privata dello strumento di protezione (ex multis Sez. 7, n. 2067 del 02/11/2022, dep. 2023, Bellini, Rv. 283971).
Rilevato che anche il secondo motivo risulta generico perché non si confronta compiutamente con la motivazione della sentenza in merito alla conferma dell’applicazione della recidiva. La Corte territoriale, infatti, non ha valorizzato, come sostenuto, soltanto sintomaticità dei precedenti da cui l’imputato è gravato, ma anche e soprattutto la continua violazione delle prescrizioni cautelari, logicamente ritenuta indicativa dell’accresciut pericolosità dell’imputato
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7 GLYPH 02024