Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12648 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12648 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SALERNO il 02/05/1954
avverso la sentenza del 21/05/2024 della CORTE D’APPELLO DI SALERNO
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno che ha confermato quella del Tribunale salernitano, che aveva condannato il ricorrente per i delitti di cui agli artt. 624,625 n.2 e n.7, 61 n.11 cod. pen., alla pena di sei mesi di reclus ed euro 300,00 di multa;
Letta la memoria con la quale viene ribadito e illustrato il contenuto del ricorso e si chied assegnarsi la trattazione alla udienza pubblica;
Considerato che il primo motivo di ricorso – che lamenta violazione di legge degli artt. 624 e 625 n.2 e n.7, 61 n.11 cod. pen. in relazione all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato – non è consentito dalla legge in sede di legittimità, poiché demanda alla Corte di cassazione il compito di vagliare il materiale probatorio e, in particolare, le dichiarazioni testimoni e la documentazione della struttura sanitaria; compito già esaurientemente assolto dai giudici di merito, che, con giudizio conforme in primo e secondo grado, hanno ritenuto attendibili e concordi le testimonianze rese e la documentazione prodotta; a riguardo va ricordato che la
Corte di cassazione non può procedere alla “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza ch possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente p adeguata, valutazione delle risultanze processuali» (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME); d’altro canto, non si rinviene alcuna contraddittorietà nella sentenza impugnata, che è immune da vizi logici o da travisamento, valorizzando le dichiarazioni rese da COGNOME, anche confermate da COGNOME e COGNOME; anche il riferimento alla richiesta del macchinario ceduto in presti dall’ospedale di Polla, documento che si aggiunge alla nota di consegna, evidenzia come il ricorso non si confronti con il richiamo al primo atto, non valutato dal ricorrente, cosicché sul punto ricorso è anche aspecifico, cosicché il travisamento denunciato risulta anche non decisivo (cfr. foll. 17 e 18 della sentenza impugnata);
Considerato che il secondo motivo di ricorso – che lamenta violazione di legge in relazione alla riqualificazione del reato di furto in appropriazione indebita – è manifestamente infondato perché reiterativo delle doglianze già presentate e disattese in appello e poiché prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità. Questa Corte ha più volte affermato che “il requisito dell’altruità di cui all’art. 624 cod. pen. è ravvisa ogni volta che vi sia almeno un soggetto, diverso dall’agente, il quale, al momento del fatto, sia legato alla cosa stessa da un’effettiva relazione di interesse” (Sez. 4, Sentenza n. 229 del 24/01/1995, Rv. 201247 – 01); sul punto, si è osservato come sia «ben noto il dibattito che è sorto proprio sul punto, essendosi la dottrina divisa fra chi sostiene che il concetto di altrui debba essere inteso in senso strettamente civilistico (con la conseguenza che altrui è solo il bene sul quale altri possa vantare un diritto di proprietà: tesi della cd. concezione giuridica d patrimonio) e chi, invece, facendo proprio leva sull’atecnicità dell’aggettivo possessivo adoperato dal legislatore, ritiene che la tutela debba essere accordata non solo al proprietario ma anche a tutti coloro che con il bene si trovino in una relazione di interesse economico giuridico (tesi dell cd. concezione economico-giuridica). In ordine alla suddetta controversia, va rilevato che la giurisprudenza di questa Corte (che qui si ritiene di ribadire, condividendola), da sempre è ferma nell’accogliere la tesi della concezione economico-giuridica, avendo ritenuto che il requisito dell’altruità è ravvisabile ogni volta che vi sia almeno un soggetto, diverso dall’agente, il qual al momento del fatto, sia legato alla cosa stessa da un’effettiva relazione di interesse: ex plurimis Cass. 4823/2006 Riv 233232 – Cass. 229/1995 Riv 201247 – Cass. 6949/1989 Riv 181298 Cass. 10601/1982 Riv. 156034 – Cass. 3776/1982 Riv. 153161» (così Sez. 2, n. 10734 del 2010); a riguardo, per altro, va evidenziato che si trattava di bene pubblico, certamente non in proprietà dell’imputato né del COGNOME, cosicché l’attività di apprensione da parte dell’imputato, anche sotto tale profilo, non può essere qualificata come appropriazione indebita; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rilevato che il terzo motivo – che lamenta violazione di legge in relazione al riconoscimento dell’aggravate prevista all’art. 625 n.7. cod. pen. – non è deducibile in sede di legittimità, in quanto fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quell
già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME e altri, Rv. 243838). La Corte territoriale ha correttamente argomentato sull’appartenenza dei beni oggetto di furto alla struttura ospedaliera, dando conto della loro destinazione ad un pubblico servizio, così rendendo una motivazione congrua ed esente da vizi logici (cfr. fol. 21 della sentenza impugnata); d’altro canto, in sintoni con l’orientamento di questa Corte, quella territoriale osserva come – a fronte delle doglianze che lamentavano, come lamentano, l’assenza di forme comprovanti l’acquisizione del bene da parte dell’ospedale – che non tale ultimo profilo, ma la sua comprovata destinazione al servizio pubblico è decisiva, come è stato affermato da Sez. 6, n. 698 del 03/12/2013, dep. 10/01/2014, Giordano, Rv. 257773 – 01, in tema di danneggiamento: le cose destinate a pubblico servizio cui fa riferimento l’aggravante di cui al n. 7 dell’art. 625 cod. pen. (al quale rinvia il co secondo, n. 3 dell’art. 635 cod. pen.) non si identificano in quelle la cui fruizione sia pubblica m in quelle la cui destinazione è per un servizio fruibile dal pubblico (cfr. anche Sez. 2, n. 1288 del 05/03/2015, COGNOME, Rv. 262779 – 01); si è anche affermato che ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 635, comma secondo, n. 1), cod. pen., assume rilievo la destinazione del bene danneggiato all’esercizio di un pubblico servizio e, quindi, la connotazione pubblicistica dell’attività cui lo stesso è destinato, essendo, invece, ininfluente che la proprie appartenga a un soggetto di natura privatistica, che operi in regime di appalto o di concessione (Sez. 2, n. 29538 del 15/06/2023, Rv. 284940 – 01);
Considerato che il quarto motivo – che lamenta violazione di legge in relazione al diniego dell’istanza di sostituzione della pena ai sensi dell’art. 545-bis cod. proc. pen. e agli artt. 53, e 59 della legge 689 del 1981 – è manifestamente infondato; la sentenza impugnata (si veda, in particolare, pag. 22) ha posto a base del rigetto della richiesta di applicazione dell sostituzione argomentazioni logiche e ineccepibili (la gravità della condotta posta in essere dal professionista pubblico, la mancata rivisitazione della propria condotta, la personalità negativa del prevenuto desumibile dai precedenti penali). La Corte territoriale esprime un giudizio di prognosi sfavorevole quanto alla non reiterazione futura di reati, secondo un giudizio tipicamente di merito che non scade nell’illogicità quando, come nel caso in esame, la valutazione del giudice non si esaurisca nel giudizio di astratta gravità del reato, ma esamini l’incidenza dell’illecito sul capacità a delinquere dell’imputato e, quindi, evidenzi aspetti soggettivi della personalità dell’imputato che ne hanno orientato la decisione: in sostanza la Corte di appello formula un corretto e non manifestamente illogico giudizio di prognosi negativa, alla luce dei parametri citati, in ordine al rispetto delle prescrizioni, presupposto dell’efficacia rieducativa della p sostituiva. Né l’allegazione del certificato penale per uso amministrativo configura il travisamento dedotto, in quanto non comprova l’assenza di precedenti penali, risultanti dal certificato penale in atti e correttamente rilevati dalla Corte di merito;
Considerato che il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato, in quanto la revoca della costituzione di parte civile ex art. 82, comma 1, cod. proc. pen. deve avvenire in modo espresso con dichiarazione fatta personalmente dalla parte o dal suo procuratore speciale in udienza o con atto scritto presentato in cancelleria. Può anche intervenire la revoca tacita, ai sensi dell’art. 82, comma 2, cod. proc. pen., «se la parte civile non presenta le conclusioni a norma dell’art. 523 ovvero se promuove l’azione davanti al giudice civile». Ma deve confermare questa Corte l’orientamento giurisprudenziale per il quale il rinvio alle conclusioni ex art. 52 cod. proc. pen. debba riferirsi esclusivamente alle conclusioni in primo grado, trattandosi di una norma che prevede una decadenza e come tale richiede una stretta interpretazione, non potendo estendersi così al giudizio di appello, nel caso in cui le conclusioni siano intervenute in prim grado. Pertanto, va ribadito il principio per cui la parte civile costituita, che non parteci giudizio di appello personalmente e non presenti conclusioni scritte, deve ritenersi comunque presente nel processo e le sue conclusioni, pur rassegnate in primo grado ai sensi dell’art. 523 cod. proc. pen., restano valide in ogni stato e grado in virtù del principio di immanenza previsto dall’art. 76 cod. proc. pen (Sez. 5, n. 24637 del 06/04/2018, COGNOME, Rv. 273338 – 01, conf. N. 25723 del 2003 Rv. 225576 – 01, N. 24063 del 2008 Rv. 240616 – 01, N. 25012 del 2013 Rv. 257032 – 01, N. 39471 del 2013 Rv. 257199 – 01); ne consegue la manifesta infondatezza del motivo che chiede annullarsi la sentenza impugnata sul punto della omessa revoca delle statuizioni civili;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 26 febbraio 2025
Il consigliere estensore
Il Presidente