Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 37435 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 37435 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 16/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FOGGIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/12/2024 della Corte d’appello di Bari; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Bari, in parziale riforma della sentenza, ex art. 442 cod. proc. pen., del Giudice per l’Udienza Preliminare del Tribunale di Trani di condanna di NOME COGNOME in ordine al reato di cui agli artt. 624 e 625 n. 7 cod. pen contestato al capo a) e al reato di cui agli artt. 110, 624 e 625 nn. 4 e 7 cod. pen. contestato al capo b), ha ridotto la pena ad anni 4 e giorni 20 di reclusione ed euro 1000 di multa.
Nelle sentenze di merito conformi si dà atto che COGNOME, in data 16 ottobre 2023, si era impossessato di due paia di occhiali da sole sottratti dagli scaffali espositivi del negozio denominato Faggella e, in data 20 ottobre 2023, si era impossessato, in concorso con NOME COGNOME, di alcuni prodotti per l’igiene dentale sottratti dagli scaffali della RAGIONE_SOCIALE.
L’i ndividuazione del COGNOME quale autore dei reati era avvenuta tramite la comparazione effettuata dalla polizia giudiziaria RAGIONE_SOCIALE immagini tratte dalle telecamere di videosorveglianza, nonché attraverso la verifica RAGIONE_SOCIALE celle agganciate dall ‘ utenza cellulare a lui in uso.
Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto ricorso, a mezzo di difensore, formulando due motivi.
2.1 Con il primo motivo ha dedotto il vizio di motivazione in relazione all’affermazione della responsabilità. Il difensore osserva che il riconoscimento dell’imputato quale autore del reato era avvenuto attraverso il confronto effettuato dagli operanti tra le foto segnaletiche e le immagini estrapolate dalle telecamere e non già, come sarebbe stato necessario, ad opera dei soggetti denuncianti che avevano avuto diretta e immediata percezione degli autori del furto. Inoltre, la Corte nulla aveva argomentato in merito alla censura con cui si era evidenziato, con riferimento al reato contestato al capo b), che il furto era stato realizzato tra le ore 12:37 e le ore 12:39, mentre solo alle 12:41 il cellulare di COGNOME aveva agganciato la cella della città di Barletta, sicché non era stato accertato dove fosse effettivamente COGNOME al momento dell’azione delittuosa.
2.2 Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla configurabilità RAGIONE_SOCIALE circostanze aggravanti di cui all’art. 625 nn. 4 e 7 cod. pen., al mancato riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche e alla mancata esclusione della recidiva; la violazione del divieto di reformatio in peius con riferimento all’aumento di pena effettuato per la recidiva. Il difensore osserva, in ordine al reato contestato al capo b), che la diretta percezione del furto da parte della dipendente era elemento idoneo a
escludere la configurabilità della circostanza aggravante della destrezza, in quanto l’imputato , facendosi sorprendere, aveva dimostrato di non avere usato alcuna particolare abilità. Inoltre, in ordine ad entrambi i reati contestati illegittimamente era stata riconosciuta la circostanza aggravante della esposizione alla pubblica fede, posto che vi era stata una custodia continuata e diretta della cosa, sia pure ad opera del personale addetto alla vendita, tanto che in tutti e due gli episodi l’attività di sottrazione era stata monitorata in diretta.
Nel negare il riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche in ragione dell’entità del profitto e dei numerosi precedenti penali a suo carico, i giudici di merito non avrebbero tenuto conto del corretto comportamento processuale del ricorrente, comprovato anche dalla scelta del rito, della risalenza dei precedenti penali e del fatto che il danno prodotto non era considerevole.
Nel riconoscere la recidiva in ragione ‘della lunga e articolata carriera criminale’ , la Corte non avrebbe valutato che il fatto concreto posto in essere non poteva essere espressione di accresciuta pericolosità, essendo le precedenti condanne relative a fatti assai risalenti nel tempo. Inoltre, pur avendo la Corte rettificato il calcolo e diminuito la pena, tuttavia aveva operato per la recidiva un aumento maggiore di quello previsto in primo grado e, in tal modo, aveva violato il divieto di reformatio in peius di cui all’art. 597 cod. proc. pen.
Il procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l’ inammissibilità del ricorso.
Il difensore dell’imputato, con memoria del 14 ottobre 2025, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
Il primo motivo, con cui si contesta la identificazione dell’imputato quale autore dei furti contestati, è inammissibile.
La Corte di appello ha dato atto che, in occasione di entrambi i furti, COGNOME era stato ripreso in maniera nitida dalle telecamere di videosorveglianza ne ll’atto di fare ingresso negli esercizi, nonché nell ‘atto di asportare la merce dagli scaffali per poi uscire, ed era stato riconosciuto dagli operanti, che già lo conoscevano per averlo controllato più volte, alcune RAGIONE_SOCIALE quali in compagnia di NOME COGNOME, concorrente nel reato di cui al capo b). In
relazione a tale ultimo reato, la Corte, inoltre, ha anche valorizzato il dato ricavabile dalle celle impegnate dalle utenze in uso a COGNOME e al correo COGNOME nel momento in cui, subito dopo il furto, erano entrati in contatto fra di loro, corrispondenti alla zona di copertura della farmacia.
Il ricorrente non lamenta la scarsa attendibilità del riconoscimento effettuato dalla polizia giudiziaria, ma assume, in maniera avversativa, che avrebbero dovuto essere le persone offese ad identificare l’autore del furto. Rileva, inoltre, che l’utenza in uso a COGNOME aveva agganciato la cella del Comune di Barletta solo due minuti dopo il furto, sicché tale accertamento non varrebbe a provare la sua presenza in loco nel momento esatto in cui il reato era stato consumato.
La prima censura è manifestamente infondata, posto che il riconoscimento effettuato dalla polizia giudiziaria è una prova, sia pure atipica, pienamente utilizzabile ed idonea a fondare l’affermazione di penale responsabilità (Sez. 2, n. 41375 del 05/07/2023, Rv. 285160 -01; Sez. 5, n. 70 del 13/11/2020, dep. 2021, Rv. 280399 -01; Sez. F, n. 37012 del 29/08/2019, Rv. 277635 – 01).
La seconda doglianza è inammissibile, in quanto non si confronta con il passaggio della sentenza impugnata con cui che la Corte ha spiegato come l’orario di impegno RAGIONE_SOCIALE celle fosse corrispondente a quello del reato, ed è comunque volta a sottoporre a questa Corte l’apprezzamento e la valutazione del significato degli elementi probatori. A tale fine, deve ribadirsi che esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura’ di elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207944).
Il ricorrente contesta in maniera generica l’efficacia dimostrativa degli elementi richiamati dai giudici di merito a sostegno della affermazione di responsabilità, senza, in alcun modo intaccare la tenuta logica dell’iter argomentativo seguito.
Il secondo motivo, incentrato sul trattamento sanzionatorio anche in relazione al riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze aggravanti, è manifestamente infondato in tutte le sue articolazioni.
3.1.La Corte ha riconosciuto la sussistenza della circostanza aggravante della destrezza contestata al capo b) e della circostanza aggravante dell’ essere stato commesso il fatto su cose esposte alla pubblica fede, contestata in entrambi i capi, sulla base di dati di fatto coerenti, nel rispetto dei principi enucleati dalla giurisprudenza di legittimità.
In particolare, con riferimento alla circostanza aggravante ex art. 625 n. 4 cod. pen., i giudici hanno desunto la particolare abilità e astuzia con cui era stata realizzata la condotta di reato dal fatto che il correo, fingendosi interessato all’acquisito, avesse fatto in modo di distrarre la dipendente vicina all’espositore preso di mira da COGNOME e dal fatto che questi si fosse abbassato dietro l’espositore per non essere visto e avesse riposto repentinamente la merce appresa nella busta della spesa. La motivazione adottata è in linea con la nozione di destrezza delineata dalle Sezioni Unite della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione (Sez. U, n. 34090 del 27/04/2017, Rv.270088), che hanno precisato sussistere tale aggravante qualora l’agente abbia posto in essere, prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla “res”, non essendo invece sufficiente che egli si limiti ad approfittare di situazioni, non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore medesimo. All’obiezione del ricorrente, reiterata negli stessi termini in questa sede, secondo cui COGNOME aveva agito a volto scoperto ed era stato visto nell’atto di apprendere la merce, la Corte ha replicato che la presenza della telecamera e l’avvistamento dell’azione da parte di una dipendente non valevano ad escludere l’abile strategia pianificata dall’imputato, volta a eludere il controllo della merce dal banco di vendita, in coerenza, ancora una volta con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità (a proposito della compatibilità della aggravante con il fatto che ci si accorga della manovra furtiva si veda Sez. 2, n. 12851 del 07/12/2017, dep. 2018, Rv. 272688 -01).
Con riferimento alla circostanza aggravante di cui all’art. 625 comma 7 cod. pen., la Corte ne ha ritenuto la compatibilità con la presenza di un sistema di videosorveglianza, in assenza di addetti alla visione in diretta RAGIONE_SOCIALE immagini, in conformità del principio per cui l’esposizione alla pubblica fede non sussiste solo nelle ipotesi in cui vi sia una sorveglianza modulata in modo tale da garantire un controllo costante e diretto sul bene, efficace nell’impedire la sottrazione (Sez. 5, n. 1509 del 26/10/2020, dep. 2021, Rv. 280157; Sez. 2, n. 2724 del 26/11/2015, dep. 2016, Rv. 265808). Il motivo in esame, nel censurare il riconoscimento della aggravante in esame, ribadisce che in tutti e due gli episodi l’attività di sottrazione era stata monitorata in diretta da personale dipendente, ma nulla obietta al passaggio argomentativo con cui la Corte ha spiegato che solo per caso, e non già in ragione di una attività di sorveglianza specificamente efficace per impedire la sottrazione del bene, le azioni furtive erano state percepite da una dipendente della farmacia e dal titolare del negozio di ottica.
3.2. In ordine al diniego del riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze, la Corte di appello, oltre a rimarcare l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Rv. 270986), ha ancorato la valutazione negativa agli indici di cui all’art. 133 cod. pen. e in particolare alla gravità della condotta di reato anche sotto il profilo dell’entità dei profitti ricavati e alla spiccata capacità a delinquere comprovata dai numerosi precedenti penali, adottando una motivazione che, in quanto logica, non può essere sindacata in sede di legittimità. Il motivo di ricorso, di contro, si limita ad avversare in maniera generica l’affermazione della Corte in ordine all’entità del profitto e a richiamare il corretto comportamento processuale dell’imputato, non tenendo conto del principio per cui non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell’11/10/2004, dep. 2005, Rv. 230691).
3.3. La Corte di appello ha anche motivato in maniera adeguata in ordine alla sussistenza della recidiva, rimarcando i numerosi e gravi precedenti penali, anche specifici, che valevano a qualificare nel caso in esame la reiterazione dell’illecito come concreto sintomo di accresciuta pericolosità e di maggiore colpevolezza (Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Rv. 251690; Sez. 6, n. 16244 del 27/02/2013, Rv. 256183). Il motivo di ricorso, da un lato, non si confronta con il suddetto passaggio argomentativo con cui è stata valorizzata, appunto, la biografia criminale non già di pe sé, bensì in rapporto al reato commesso; dall’altro lamenta che la Corte abbia menzionato anche la sentenza di condanna del 2023, senza tenere conto che, come espressamente indicato nella sentenza impugnata, il passaggio in giudicato di detta sentenza era avvenuto il 23 settembre 2023, ovvero prima dei fatti per cui si procede, e pertanto valeva anch’essa ad integrare la recidiva ex art. 99 cod. pen.
3.4. Infine la Corte non è incorsa nella lamentata violazione del divieto di reformatio in peius: nel correggere il calcolo della pena effettuato dal Gip, che erroneamente, nell’operare gli aumenti di pena in relazione al concorso RAGIONE_SOCIALE circostanze ex art. 625 cod. pen. e 99 comma 4 cod. pen., non aveva tenuto conto della previsione di cui all’art. 63 comma 4 cod. pen. (secondo cui deve applicarsi soltanto la pena prevista per la circostanza più grave, su cui può essere operato un aumento facoltativo fino ad un terzo), la Corte ha calcolato la pena per il reato di cui agli artt. 624 e 625 cod. pen. in anni 3 di reclusione e euro 900,00 di multa e l ‘aumento di pena per la recidiva in mesi 11 di
reclusione e euro 300,00 di multa (inferiore ad anni 2 di reclusione ed euro 600 di multa stabiliti in primo grado) e non già, come indicato nel ricorso, in anni 3 e mesi 11 di reclusione e euro 1200 di multa.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE, somma così determinata in considerazione RAGIONE_SOCIALE ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende
Deciso il 16 ottobre 2025
Il AVV_NOTAIO est. Il Presidente
NOME COGNOME NOME Dovere