Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6679 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6679 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BARLETTA il 09/01/1971
avverso la sentenza del 03/10/2024 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Bari che ha confermato la condanna per il delitto di furto aggravato;
considerato che il primo motivo di impugnazione -con cui si denunciano la violazione degli artt. 624 e 625, comma 1, n. 7, cod. pen. e il vizio di motivazione, adducendo pure che si sarebbe dovuto rilevare il difetto della condizione di procedibilità – è manifestamente infondato generico, in quanto:
l’editto accusatorio (oltre a menzionare espressamente l’art. 625, comma 1, n. 7, cit.) ha contestato la commissione del fatto (l’impossessamento di «acqua di irrigazione , sottraendola alla condotta idrica del Consorzio di Bonifica» de quo), tra l’altro, «su impianto idrico destinato a pubblico servizio o a pubblica utilità»; ciò che rileva – perché ri l’aggravante in discorso – è «la qualità del servizio che viene organizzato anche attraverso la destinazione di risorse umane e materiali, e che è destinato appunto alla soddisfazione di un bisogno riferibile alla generalità dei consociati» poiché i beni indicati in parte qua «al n. 7 dell’art. 625 cod. pen. si identificano per là loro destinazione alla resa di un servizio fruib pubblico» (cfr. Sez. 6, n. 698 del 03/12/2013 – dep. 2014, Giordano, Rv. 257773 – 01) ossia perché sono «destinat all’erogazione di un servizio pubblico (nel senso che fanno parte di un’infrastruttura effettivamente destinata a tale funzione)» (Sez. 5, n. 8002 del 13/01/2021, COGNOME, Rv. 280744 – 01, in motivazione); dunque, la circostanza aggravante, da cui consegue la procedibilità d’ufficio del reato (art. 624, comma 3, cod. pen., nel testo oggi vigente), essendo «connotata da componenti di natura valutativa», è stata con evidenza «idoneamente contestata», oltre che con l’indicazione della norma violata, con espressioni che hanno reso manifesta all’imputato l’«accusa di avere sottratto un bene posto al servizio di un interesse della intera collettività e diretto a vantaggio della stessa» (cfr. Sez. 5, n. 14890 del 14/03/202 Bevacqua, Rv. 286291 – 01), non ricorrendo il denunciato deficit di determinatezza del capo di imputazione né la condanna dell’imputato per un fatto commesso con una aggravante diversa (poiché correlata dall’imputazione all’impianto e non all’acqua oggetto di impossessamento); – per costante giurisprudenza le diverse ipotesi previste dall’art. 625, comma 1, n. 7, cit., possono concorrere tra loro (Sez. 5, n. 8002 del 13/01/2021, cit.,; Sez. 4, n. 16894 del 22/01/2004, COGNOME Rv. 228570); Corte di Cassazione – copia non ufficiale
nel resto, segnatamente per quel che attiene alla ricostruzione dal fatto, il ricorso s affida a enunciati del tutto assertivi (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584 01), oltre che versati in fatto in particolare allora che assumono la mancanza di prova senza denunciarne puntualmente il travisamento (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, COGNOME, Rv. 268360 – 01);
considerato che il secondo motivo – con cui si adducono la violazione dell’art. 624 cod. pen. e il vizio di motivazione in ragione della mancata quantificazione nell’acqua prelevata dall’imputato e in ordine alla determinazione del tempo del commesso reato – contiene
allegazioni del tutto generiche, inidonee a censurare gli elementi sui quali i giudici di meri hanno fondato la sussistenza del reato (tratta in particolare da quanto riscontrato dal personale del consorzio in discorso) e non correlate ad alcun ulteriore specifico profilo di critica;
ritenuto che nulla muta, rispetto a quel che si è osservato, quanto esposto nella memoria presentata dal difensore dell’imputato, la quale – da una parte – ribadisce la fondatezza dell’impugnazione e – dall’altra – contiene un ulteriore ordine di censure relative al ricostruzione dell’occorso, inammissibili sia perché non prospettate con l’atto di impugnazione sia perché comunque per l’appunto finiscono col perorare un’alternativa ricostruzione dell’accaduto senza la rituale denuncia di un travisamento della prova (che non può essere prospettato per il tramite di un compendio di quanto emergerebbe dagli atti: Sez. 2, n. 46288/2016, cit.);
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna dell ‘ i ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (cfr. Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 – 01) – al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29/01/2025.