Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30620 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30620 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a FAVARA il 11/12/1987 NOME nato a FAVARA il 07/02/1981 NOME nato a FAVARA il 10/08/1977
COGNOME NOME nato a FAVARA il 12/12/1972
avverso la sentenza del 21/11/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo .,(/’ GLYPH t GLYPH Lì t4i /7 k , ú (JA L 1 ,-i: c,t,A GLYPH s t , éjj o Cc ‘2 Va` ~ /
difensore
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Palermo, con la sentenza impugnata, ha confermato la sentenza del Tribunale di Agrigento che ha condannato i ricorrenti, in concorso tra loro, per il delitto di furto, aggravato per aver commesso il fatto su cosa destinata a pubblico servizio, di una quantità imprecisata di acqua, sottraendola alla società concessionaria del servizio senza corrispondere l’importo dovuto. Il Tribunale ha condannato altresì gli imputati al risarcimento del danno in favore della parte civile da liquidarsi dinanzi al giudice civile competente.
Gli imputati affidano i loro rispettivi ricorsi per Cassazione a tre comuni motivi qui riportati a norma dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limit strettamente necessari alla motivazione.
2.1. Con il primo e secondo motivo, proposti entrambi a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., lamentano la contraddittorietà della motivazione per travisamento probatorio.
2.2. Con il terzo motivo, proposto ex art. 606, comma 1, lett. e) e c), cod. proc. pen., censurano l’errata applicazione delle norme che governano l’aggravante concernente l’esposizione alla pubblica fede, aggravante da escludersi, ad avviso dei ricorrenti, con la conseguenza che il delitto contestato avrebbe dovuto ritenersi procedibile a querela, atto, quest’ultimo, che, nella specie, difetterebbe essendo stata asseritamente presentata da soggetto privo del potere di rappresentanza dell’Ente gestore e di cui, in ogni caso, non vi sarebbe traccia nel fascicolo del dibattimento.
2.3. Con l’ultimo motivo, proposto ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., lamentano la contraddittorietà processuale nella parte in cui non è stata riconosciuta la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, a tratti inammissibili, sono nel complesso infondati.
I ricorrenti deducono, con il primo e secondo motivo, l’errore nella lettura degli atti interni del giudizio ossia il vizio, denunciabile a norma dell lettera e) dell’art. 606 cod. proc. pen., del “travisamento della prova” o, come denominato in dottrina, di “contraddittorietà processuale”.
Orbene, siffatto vizio è riscontrabile, in linea generale, nel caso di infedeltà della motivazione rispetto al processo per essere stato appunto travisato il patrimonio conoscitivo effettivamente acquisito nel giudizio o per mancata valutazione di una prova decisiva (travisamento per omissione), o per l’utilizzazione di una prova sulla base di un’erronea ricostruzione del relativo
“significante” (cd. travisamento delle risultanze probatorie) o, infine, per l’utilizzazione di una prova non acquisita al processo (cd. travisamento per invenzione).
Come da tempo chiarito da questa Corte, nel caso in cui venga dedotto il vizio di che trattasi, la cognizione del giudice di legittimità è circoscritta al verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazio nel merito dell’elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, COGNOME, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, COGNOME, Rv. 234605; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01).
Il vizio di travisamento, per essere deducibile in sede di legittimità, deve poi avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e il significato che il giudice ne abbia inopinatamente tratto. Esso, pertanto, è da escludersi ogni qualvolta si ravvisi il suddetto vizio in un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017 dep. 2018, COGNOME, Rv. 272406). IL “travisamento probatorio”, infine, deve essere decisivo ossia deve essere tale da inficiare la tenuta complessiva del ragionamento sul quale si fonda la decisione.
Orbene, i ricorrenti hanno proposto la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione valorizzando frammenti probatori. Nell’evidenziare il profilo di decisività del vizio lamentato non si sono confrontati effettivamente con la sentenza impugnata che, segnatamente, con riferimento alle bolle di accompagnamento «afferenti forniture di acqua a mezzo autobotte relativi ai periodi gennaio 2020, settembre 2020, gennaio 2021, marzo 2021» ha ritenuto, con motivazione esauriente e non manifestamente illogica, l’inidoneità delle stesse, in quanto relative a periodi distanti tra loro, a provare il costante ed esclusivo approvvigionamento mediante autobotti «potendo tali acquisti invece collegarsi a momentanee carenze dell’erogazione idrica da parte dell’ente gestore e quindi alla necessità di approvvigionarsi di acqua in modo alternativo rispetto all’illecito prelievo dalla rete». Con riferimento alle altre doglianze, poi la motivazione non presenta alcuna aporia argomentativa e nessuna frattura nello svolgimento del ragionamento seguito che è lineare e completo. Tanto basta per ritenere infondato il motivo proposto dovendosi ricordare che non rientra tra le competenze della Corte di cassazione stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti, né condividerne la giustificazione poiché il giudizio di legittimità è strumento di controllo della
coerenza logica del ragionamento seguito dal Giudice di merito e non un nuovo grado di giudizio volto a revisionare il merito delle opzioni valutative adottate nel giudizio di secondo grado. I ricorrenti hanno riproposto con il ricorso per cassazione la versione dei fatti dedotta in primo e secondo grado e disattesa dai Giudici del merito; a tale valutazione non può essere sovrapposta quella del Giudice di legittimità posto il compito che è chiamata a svolgere la Corte di cassazione, si ribadisce, è esclusivamente quello di stabilire se il giudice di appello abbia esaminato tutti gli elementi a sua disposizione, se abbia fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbia esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Tali parametri risultano ampiamenti soddisfatti nel caso di specie in quanto la Corte d’appello, pur nel fare riferimento alle argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado, ha fornito una valutazione analitica ed autonoma dei punti specificamente indicati nell’impugnazione fornendo, dunque, una motivazione esaustiva ed immune dalle censure proposte.
Il terzo motivo è manifestamente infondato.
I ricorrenti reiterano il medesimo motivo già proposto con gli atti di appello senza confrontarsi con la sentenza impugnata che, anche in questo caso, in modo lineare e chiaro e giuridicamente corretto, ha precisato che la circostanza aggravante contestata e quella ritenuta in sentenza consiste nella commissione del fatto su cosa destinata a pubblico servizio e non su cosa esposta alla pubblica fede, aggravante quest’ultima prevista anch’essa nell’art. 625, comma 1, n. 7, cod. pen. e a cui fanno riferimento i ricorrenti.
La circostanza, che rende il reato perseguibile d’ufficio, è stata contestata esplicitamente attraverso l’indicazione non solo della disposizione che la prevede, ma anche attraverso il richiamo alla destinazione a pubblico servizio dell’erogazione dell’acqua attraverso condotta idrica ed entrambe le sentenze, nel riconoscerla, hanno precisato che l’erogazione dell’acqua attraverso la rete idrica di distribuzione deve senza meno qualificarsi come destinata a pubblico servizio in quanto «ciò che viene in considerazione non è l’esposizione alla pubblica fede – come ritenuto dalla difesa – quanto la destinazione finale dell’acqua erogata attraverso la rete idrica a un pubblico servizio dal quale viene distolta.».
La Corte distrettuale ha altresì precisato che la circostanza contestata che si ricorda ha natura valutativa in quanto impone una verifica di ordine giuridico sulla natura della res, sulla sua specifica destinazione e sul concetto di pubblico servizio – è stata adeguatamente contestata in quanto riferita alla
di condotta di furto posta in essere mediante allaccio diretto alla rete
distribuzione dell’ente gestore, che garantisce l’erogazione di un “servizio”
destinato a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare un’esigenza di rilevanza “pubblica”.
Da siffatte corrette e complete considerazioni discende la manifesta infondatezza della censura proposta dai ricorrenti con conseguente assorbimento
delle ulteriori questioni poste in relazione alla querela, attesa la perseguibilità
d’ufficio della fattispecie delittuosa contestata.
3. Infondato infine è l’ultimo motivo di ricorso.
Ed invero, la Corte d’appello, prendendo le mosse da Sez. U, n. 13681
del 25/2/2016, COGNOME – che, in ordine alla causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, ha affermato che occorre far riferimento non tanto
all’esame della condotta tipica, quanto più specificamente alle modalità di estrinsecazione del comportamento, anche in considerazione delle componenti
soggettive del medesimo, nella prospettiva di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno
di pena -, ha operato una valutazione congiunta delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza conseguente, dell’entità del danno, considerati alla luce dei parametri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen., ed è pervenuta alla conclusione che, sebbene gli imputati non risultano avere precedenti, «l’offesa arrecata alla società erogatrice non può essere ritenuta particolarmente tenue tenuto conto del fatto che, a causa della condotta posta in essere dagli odierni appellanti, non è stato possibile risalire al quantitativo idrico illecitamente sottratto alla costituita parte civile». Ha inoltre evidenziato che gli imputati non si erano in alcun modo attivati per elidere le conseguenze della loro condotta delittuosa. Tale motivazione è appagante, appropriata e rispettosa dei principi dianzi riportati ed è, dunque, immune da vizi rilevabili in questa sede per cui la relativa censura non può che ritenersi infondata.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3.167, oltre accessori di legge.
Roma, 10 giugno 2025