Furto aggravato: la videosorveglianza è sufficiente a proteggere un bene?
La presenza di telecamere di videosorveglianza è ormai una costante nelle nostre città, ma è davvero un deterrente efficace contro i reati come il furto aggravato? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti di tali sistemi e le condizioni per cui un bene può considerarsi esposto alla “pubblica fede”, anche se sorvegliato elettronicamente.
Il Caso in Analisi
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato per tentato furto ai danni di un distributore automatico di alimenti e bevande. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo, tra le altre cose, che il reato non potesse essere qualificato come furto aggravato. La sua difesa si basava su due argomenti principali:
1. Il distributore automatico non era esposto alla pubblica fede perché costantemente monitorato da personale di vigilanza e da un sistema di videosorveglianza.
2. Avrebbe dovuto essere applicata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, data la minima entità del danno potenziale.
La Corte d’Appello aveva già parzialmente riformato la sentenza di primo grado, ma aveva confermato la responsabilità dell’imputato per il reato contestato. La questione è quindi giunta al vaglio della Corte di Cassazione.
La decisione della Cassazione sul furto aggravato
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile e fornendo importanti chiarimenti su entrambi i punti sollevati dalla difesa. La decisione consolida un orientamento giurisprudenziale ormai stabile in materia di furto aggravato e sorveglianza.
Videosorveglianza e Pubblica Fede
Sul primo punto, la Corte ha definito l’argomento “manifestamente infondato”. Secondo i giudici, la circostanza aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede (art. 625, n. 7, c.p.) non viene meno solo per la presenza di un sistema di videosorveglianza. Quest’ultimo, infatti, è considerato un semplice strumento di ausilio per l’identificazione successiva degli autori del reato, ma non è di per sé idoneo a garantire un’interruzione immediata dell’azione criminosa.
Per escludere l’aggravante, sarebbe necessaria una sorveglianza specificamente efficace, capace di impedire la sottrazione del bene in tempo reale. Nel caso di specie, la Corte ha inoltre sottolineato che il sistema di allarme era installato sulla struttura che ospitava i distributori e non sui distributori stessi, rendendo il controllo ancora meno diretto ed efficace.
I limiti del Ricorso in Cassazione
Per quanto riguarda il secondo motivo, relativo alla mancata applicazione della non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), la Corte lo ha ritenuto inammissibile per una ragione procedurale. La difesa non aveva sollevato questa specifica doglianza nei motivi di appello. L’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale, infatti, preclude la possibilità di presentare in Cassazione motivi non dedotti nel grado di giudizio precedente. L’imputato avrebbe dovuto contestare tale omissione nel ricorso stesso, dimostrando che il punto era stato sollevato in appello, cosa che non è avvenuta.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su una chiara distinzione tra sorveglianza passiva e sorveglianza attiva. La videosorveglianza è considerata passiva: registra gli eventi ma non li previene attivamente, se non come deterrente generico. Solo una vigilanza attiva e continua, in grado di intervenire immediatamente, può far venir meno l’affidamento sulla “pubblica fede”, ovvero sulla correttezza dei consociati. In assenza di tale controllo, un bene come un distributore automatico resta affidato alla lealtà pubblica e il suo furto integra l’aggravante.
Dal punto di vista processuale, la decisione riafferma un principio cardine del sistema delle impugnazioni: la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non riesaminare i fatti o valutare questioni non sottoposte ai giudici dei gradi precedenti.
Le Conclusioni
In conclusione, questa ordinanza offre due importanti lezioni pratiche. Primo, per i gestori di attività commerciali, la sola installazione di telecamere non è sufficiente a garantire una protezione giuridica che escluda l’aggravante del furto aggravato in caso di sottrazione di beni esposti al pubblico. Occorre un sistema di vigilanza che possa intervenire concretamente e immediatamente. Secondo, per gli operatori del diritto, viene ribadita l’importanza di strutturare in modo completo e preciso i motivi di appello, poiché le omissioni non potranno essere sanate nel successivo giudizio di legittimità.
La presenza di telecamere esclude l’aggravante del furto per esposizione a pubblica fede?
No, secondo la Corte di Cassazione, la sola presenza di un sistema di videosorveglianza non è sufficiente a escludere l’aggravante. Questo perché è considerato uno strumento per l’identificazione successiva dei colpevoli, non un mezzo idoneo a interrompere immediatamente l’azione criminosa.
Quando un sistema di sorveglianza può essere considerato efficace per escludere l’aggravante?
Un sistema di sorveglianza è considerato efficace solo quando è in grado di garantire un intervento immediato che impedisca la sottrazione del bene. Una sorveglianza meramente passiva, come la registrazione video, non è sufficiente.
È possibile chiedere l’applicazione della non punibilità per ‘tenuità del fatto’ per la prima volta in Cassazione?
No, non è possibile. La Corte ha stabilito che tale questione deve essere sollevata come specifico motivo nel giudizio di appello. Se non viene dedotta in quella sede, il motivo non può essere presentato per la prima volta in Cassazione, in quanto risulterebbe inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21691 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21691 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MESSINA il 07/12/1985
avverso la sentenza del 10/07/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Messina che, rideterminando il trattamento sanzionatorio, ha parzialmente riformato la pronunzia di primo grado con la quale era stato ritenuto responsabile del delitto di tentato furto aggravato;
Considerato che il primo motivo di ricorso – con cui si denunzia la violazione delle norme processuali in ordine alla affermazione della responsabilità penale per il reato ascritto e alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625, n. 7, cod. pen. eccependo che l’oggetto del reato (distributore automatico di generi alimentari e bevande) fosse stato costantemente tenuto sotto controllo dal personale di vigilanza e dal sistema di videosorveglianza – è manifestamente infondato in quanto, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di furto, la circostanza aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede non è esclusa dall’esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di videosorveglianza. Quest’ultimo, mero strumento di ausilio per la successiva individuazione degli autori del reato, non è idoneo a garantire l’interruzione immediata dell’azione criminosa, mentre solo una sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione del bene consente di escludere l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen. (Sez. 5, n. 1509 del 26/10/2020, Sala, Rv. 280157 – 01); peraltro, in motivazione si puntualizza che, ad essere dotati di sistema di allarme non erano i distributori, bensì la struttura che li ospitava.
Considerato che il secondo motivo di ricorso, con cui si censura la violazione della legge nonché il vizio motivazionale in ordine alla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. contestando la sussistenza della condizione innpeditiva all’applicazione dell’istituto dell’abitualità del comportamento, non è consentito in sede di legittimità; la censura non risulta, infatti, essere stata previamente dedotta come motivo di appello secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata (si veda pag. 3), che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente nell’odierno ricorso, se incompleto o comunque non corretto;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 14 maggio 2025.