Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7467 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5   Num. 7467  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a CANICATTI’ il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/05/2023 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, nonché le conclusioni trasmesse nell’interesse dell’imputato con le quali si insiste per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 15 maggio 2023 la Corte d’appello di Caltanissetta ha confermato la decisione di primo grado che aveva condannato alla pena di giustizia NOME COGNOME, avendolo ritenuto responsabile del delitto di tentato furto aggravato di 96 quintali di legna, ricavati dal taglio di alberi di eucalipto che si trovavano in fondo agricolo di proprietà dell’RAGIONE_SOCIALE.
 Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla sussistenza degli elementi, oggettivo e soggettivo, del reato attribuito, dal momento che erroneamente la Corte territoriale aveva affermato un fatto non dimostrato (la recisione degli alberi) e ritenuto insussistente l’assenza di autorizzazione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE. In tale contesto, a tutto voler concedere, ricorreva in capo all’imputato un errore di fatto sulla presenza di una regolare autorizzazione, idoneo ad escludere la sua colpevolezza.
2.2. Con il secondo motivi si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, rilevando: a) che la circostanza aggravante dell’esercizio della violenza sulle cose era stata erroneamente ritenuta sussistente, dal momento che non era emersa prova alcuna del fatto che l’imputato avesse reciso gli alberi; b) che la circostanza aggravante del fatto commesso su cose destinate a pubblica utilità era stata erroneamente desunta dalla asserita connotazione pubblicistica dell’RAGIONE_SOCIALE, che, al contrario, è una società per azione sottoposta al regime privatistico; c) che la circostanza aggravante del fatto commesso da più persone riunite era stata erroneamente desunta dalla mera presenza sui luoghi di altri due coimputati, nei confronti dei quali si era proceduto separatamente, dal momento che non si era approfondito il loro contributo all’azione.
2.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, dl. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, e conclusioni scritte nell’interesse dell’imputato con le quali si insiste per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il primo motivo è privo di specificità e manifestamente infondato, poiché reitera assertivamente considerazioni disattese dalla Corte territoriale con motivazione che non esibisce alcuna illogicità.
In particolare, i giudici di merito hanno fondato la conclusione per la quale l’imputato e i suoi complici erano stati gli autori del taglio degli alberi i cui tronch erano stati sorpresi a sezionare da parte dei carabinieri sul fatto che, secondo la deposizione dell’ispettore del Corpo forestale dello Stato che era stato sentito, il taglio degli alberi era «recentissimo», da stimare come avvenuto dalle 7 in poi; inoltre anche gli allegati fotografici in atto attestavano che i tronchi non sezionati erano ancora dotati delle fronde e del fogliame e che quest’ultimo era anche sparso massicciamente a terra. Da tali premesse in fatto, i giudici di merito hanno tratto la razionale conseguenza sopra ricordata, dovendo altrimenti irragionevolmente ipotizzarsi che terze persone, nella stessa mattinata (posto che il taglio era recentissimo), avessero reciso gli alberi, per poi inopinatamente allontanarsi, consentendo all’imputato e ai correi di intervenire già alle 11, quando erano stati sorpresi dai carabinieri.
Il rilievo dell’autorizzazione dell’RAGIONE_SOCIALE è, del pari, puramente reiterativo posto che il sorvegliante e capo cantiere dell’RAGIONE_SOCIALE ha escluso di avere mai autorizzato alcunché e che non si comprende quale sarebbe il credibile fondamento obiettivo della tesi, ossia la base del dedotto errore di fatto. Al riguardo, va ribadito che la scriminante putativa del consenso dell’avente diritto non è applicabile quando debba escludersi, in base alle circostanze del fatto, la ragionevole persuasione di operare con l’approvazione della persona che può validamente disporre del relativo diritto (Sez. F, n. 37118 del 01/08/2019, Ofoasi, Rv. 277731 – 01).
Alla luce della superiore ricostruzione, sono manifestamente infondate e del tutto aspecifiche le critiche relative alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante della violenza sulle cose e della commissione del fatto da parte di più persone riunite, tutte colte dai carabinieri ad operare al taglio e al sezionamento della legna.
Manifestamente infondata e aspecifica è la doglianza relativa alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 625, primo comma, n. 7, cod. pen., per essere stato il fatto commesso su cose destinate a pubblica utilità. La critica del ricorrente alla sussistenza di siffatta circostanza si fonda sulla natura privatistica di RAGIONE_SOCIALE, ma non considera che la destinazione del bene all’utilità pubblica è profilo che riguarda la finalizzazione dell’uso del bene stesso,
mentre resta irrilevante il regime, privatistico o pubblicistico, del soggetto titolare.
Ed, infatti, si è ritenuto che la circostanza aggravante sussista in caso di furto di libri da una biblioteca privata aperta al pubblico (Sez. 2, n. 4119 del 02/12/1986, dep. 1987, Ravarino, Rv. 175560 – 01). Persino con riguardo alla nozione di «stabilimento pubblico», la Corte ha chiarito, sempre nel quadro dell’interpretazione dell’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen. (in questo caso, quale richiamato dall’art. 635, comma secondo, n. 1, cod. pen.), che essa va intesa come un complesso di opere ed attrezzature attualmente destinato all’estrinsecazione di una funzione di pubblico interesse o di pubblica utilità, sia essa espletata direttamente ovvero indirettamente, attraverso l’avvalimento di soggetti privati (Sez. 2, n. 45258 del 07/10/2022, NOME, Rv. 283991 – 01).
Del tutto generico è il terzo motivo di ricorso, dal momento che la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata, nella sentenza impugnata, con motivazione esente da manifesta illogicità, che si sottrae, pertanto, al sindacato di questa Corte (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio, espressione della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).
Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 19/01/2024