Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 18359 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 18359 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 10/01/1979
avverso la sentenza del 19/09/2024 della CORTE APPELLO di CAMPOBASSO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha chiesto, previa rettificazione ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen. della qualificazione del fatto ai sensi degli artt. 624 e 61 n. 11 cod. pen., il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni del difensore della parte civile costituita, avv. NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la liquidazione delle spese;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catanzaro, previa riqualificazione del fatto contestato da quello di ricettazione a quello di furto i abitazione, ha confermato la pronuncia di condanna della ricorrente e il trattamento sanzionatorio già determinato dal giudice di primo grado.
Avverso la richiamata sentenza l’imputata ha proposto ricorso per cassazione, mediante il difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME articolando sette motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi nei limiti strettamente necessari ai fini della decisione.
2.1. Con il primo la ricorrente denuncia erronea applicazione dell’art. 597 cod. proc. pen. poiché il giudice d’appello avrebbe, pur non rideterminando il trattamento sanzionatorio, attribuito al fatto una qualificazione giuridica più grave, anche se su tale aspetto non era stata proposta impugnazione nei confronti della sentenza di primo grado.
Né, del resto, a differenza di quanto evidenziato dalla pronuncia della Corte territoriale, tale richiesta di riqualificazione avrebbe potuto essere desunta dall’atto di appello, nel quale la ricorrente si era limitata a porre in rilievo ch giudice di primo grado, non avendo prove dell’effettuazione del furto da parte sua, l’aveva condannata per ricettazione.
2.2. Con il secondo motivo l’imputata lamenta erronea applicazione dell’art. 624-bis cod. pen. atteso che, poiché era la domestica della persona offesa, si era introdotta, ove pure si volesse ricondurre alla sua responsabilità penale il furto, nell’abitazione della predetta non per rubare, bensì per scopi diversi.
2.3. Mediante il terzo motivo la COGNOME assume manifesta illogicità della motivazione in quanto la decisione di condanna si è basata sul riconoscimento dei gioielli che essa ricorrente avrebbe venduto presso un “Compro-oro”, riconoscimento che, tuttavia, era stato effettuato su fotografie in bianco e nero e sfocate al punto da non rendere riconoscibili gli oggetti.
2.4. Con il quarto motivo denuncia assenza di motivazione quanto alla circostanza, dedotta in appello, per la quale i gioielli riprodotti nelle fotograf appartenevano, come da perizia di parte, alla c.d. oreficeria comune, sicché quello operato dalla persona offesa non avrebbe potuto intendersi alla stregua di un vero e proprio riconoscimento, ma costituiva una mera indicazione per la quale i beni sottratti erano identici a quelli delle fotografie.
2.5. Con il quinto motivo deduce carenza di motivazione della decisione impugnata laddove ha omesso di pronunciarsi sul motivo di gravame con il quale
aveva dedotto di essere stata condannata anche in relazione a un braccialetto che la persona offesa non aveva riconosciuto come proprio.
2.6. Con il sesto motivo la ricorrente contesta la motivazione della decisione impugnata in ordine al rigetto del motivo di appello con il quale aveva censurato la pronuncia di primo grado nella misura in cui aveva denegato l’applicabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, quarto comma, cod. pen.
Pone in particolare in rilievo che la decisione impugnato ha fatto riferimento all’esigenza di non fondare il giudizio solo sul valore economico dei beni sottratti, senza tuttavia indicare gli ulteriori e differenti elementi a tal fine considerati.
2.7. Con l’ultimo motivo l’imputata deduce manifesta illogicità della motivazione, nella misura in cui ha rigettato il motivo di appello nei confronti della sentenza di primo grado inerente l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo non è fondato, poiché, nella fattispecie in esame, la questione della qualificazione del reato come ricettazione e non come furto era stata oggetto dei motivi di gravame proposti dalla stessa imputata.
Vi è inoltre che, come più volte affermato nella giurisprudenza di questa Corte, il giudice di appello, anche in presenza della sola impugnazione dell’imputato, può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del giusto processo previsto dall’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, purché sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica in peius del trattamento sanzionatorio (ex ceteris, Sez. 5, n. 5083 del 14/01/2020, Prundu, Rv. 278143 – 01; Sez. 2, n. 38049 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260585 01).
Nel caso in esame, la riqualificazione del fatto in termini di furto non ha determinato alcun aumento della pena, ed era sufficientemente prevedibile, in considerazione delle circostanze di fatto accertate, atteso che, come evidenziato anche dalla sentenza impugnata, la vicenda trae le mosse proprio da una denuncia di furto, successivamente integrata, effettuata dalla parte civile, la quale aveva rappresentato che erano stati sottratti monili dalla sua abitazione e da quella della madre, luoghi nei quali prestava servizio come domestica. Il furto, come rappresentato nell’integrazione della denuncia, riguardava alcuni
gioielli sottratti anche prima della vendita al Compro-oro da parte della ricorrente.
Il secondo motivo, pur ponendo una questione fondata in ordine alla qualificazione del delitto, non è suscettibile di incidere ex se sull’esito del ricorso, comportando, poiché non è modificato il trattamento sanzionatorio, solo una correzione della motivazione in diritto.
Invero, in punto di qualificazione giuridica, la motivazione della Corte territoriale ha disatteso il principio, ribadito anche nella recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui è configurabile il delitto di furto aggravato dall’abuso di ospitalità, e non quello di furto in abitazione, nel caso in cui sussiste un nesso meramente occasionale tra l’ingresso nell’abitazione altrui e l’impossessamento della cosa mobile, determinato dallo sfruttamento di un’occasione propizia (Sez. 5, n. 40307 del 22/06/2022, COGNOME, Rv. 283802). Difatti, con riguardo alla configurabilità del reato di furto in abitazione, è necessaria la ricorrenza di un nesso finalistico, e non un mero collegamento occasionale, fra l’ingresso nell’abitazione e l’impossessamento della cosa mobile, in quanto il testo dell’art. 624-bis cod. pen. come novellato dall’art. 2, comma secondo, della legge 26 marzo 2001, n. 128, ha esteso l’area della punibilità in riferimento ai luoghi di commissione del reato, ma non ha innovato il profilo della strumentalità dell’introduzione nell’edificio, quale mezzo al fine di commettere il reato, già richiesto dal previgente art. 625, comma primo, n. 1, cod. pen. (Sez. 5, n. 19982 del 01/04/2019, COGNOME, Rv. 275637).
Nella fattispecie in esame la non corretta qualificazione giuridica operata dalla decisione impugnata deriva dalla circostanza che non è emerso che l’imputata si sia recata nell’abitazione della Palombo allo specifico fine di sottrarre i monili della stessa, bensì che abbia approfittato dell’occasione di potervi accedere poiché vi svolgeva attività di domestica, talché la corretta qualificazione giuridica del reato è quella di furto aggravato dalla prestazione d’opera.
Il terzo motivo è inammissibile in quanto, nel dedurre che le foto dei monili oggetto di riconoscimento da parte della persona offesa erano in bianco e nero e sfocate, non si confronta con la parte della decisione impugnata nella quale, nel rigettare l’analogo motivo di gravame, si è posto in rilievo che, in occasione del riconoscimento dei preziosi compiuto dalla Palombo il 6 novembre 2019, alla stessa sono state mostrate fotografie chiare e a colori, con conseguente attendibilità del riconoscimento effettuato (pag. 3).
Parimenti inammissibile per genericità è il quarto motivo, atteso che lo stesso, nell’assumere che i gioielli appartenevano alla c.d. oreficeria comune, alla stregua di quanto attestato da una perizia di parte, omette di considerare la parte della motivazione nella quale è stato congruamente valorizzato che la persona offesa ha operato specifici riferimenti ad incisioni che erano sui gioielli (anche per escludere di essere la proprietaria di un bracciale con una certa scritta).
Il quinto motivo è manifestamente infondato, poiché, come si ritrae tanto dalla motivazione della pronuncia di primo grado (pag. 4) che da quella di appello (pag. 4), il bracciale non riconosciuto dalla parte civile non è stato considerato tra quelli per la prima oggetto di ricettazione e per la seconda, a seguito dell’effettuata riqualificazione, di furto.
Il sesto motivo, con il quale la ricorrente lamenta l’omesso riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., è manifestamente infondato, atteso che i beni sottratti non erano di valore irrisorio, stante la valutazione da parte del Compro-oro per un importo di quasi duecento euro e il riferimento compiuto dalla decisione ad un valore non solo economico è implicitamente da intendersi come correlato al valore anche affettivo che i gioielli ordinariamente rivestono per i proprietari, correlato ricordo delle persone che gieli hanno donati o alle occasioni in cui li hanno ricevuti.
Quanto al settimo motivo, occorre considerare che, rispetto ai presupposti per l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., in omaggio ai fondamentali principi ritraibili da Sez. U, n. 13681, del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590-01, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto il relativo giudizio richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, del medesimo codice, delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo.
Tale valutazione deve esprimersi attraverso un’adeguata motivazione sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, al fine di valutarne la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, essendo insufficiente il richiamo a mere clausole di stile (Sez. 6, n. 18180 del 20/12/2018 – dep. 2019, Venezia, Rv. 275940) ed invece necessario lo scrutinio delle specifiche circostanze emerse nel procedimento.
Nella fattispecie in esame, in conformità ai superiori principi, la decisione impugnata ha escluso che ricorressero i presupposti per l’applicazione dell’art.
131-bis cod. pen. ponendo congruamente in rilievo che la ricorrente ha agito abusando dell’attività di domestica prestata presso l’abitazione della vittima,
indice di non esiguità del fatto rispetto alle modalità, da ritenersi per questo gravi e insidiose, con le quali lo stesso è stato commesso.
8. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
9. Non possono essere liquidate le spese alla parte civile, in quanto la memoria è stata depositata solo il 22 marzo 2025, ossia oltre il termine di
quindici giorni anteriore all’udienza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali;
Nulla per le spese di parte civile. Così deciso in Roma il 1° aprile 2025 Il Consigliere Estensore COGNOME
Il Presidente