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Furto aggravato e querela: la decisione della Corte

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di furto aggravato di acqua pubblica, chiarendo i criteri per cui un’aggravante si considera validamente contestata ‘in fatto’, anche senza un esplicito riferimento normativo. Tale contestazione è decisiva per mantenere la procedibilità d’ufficio del reato, escludendo la necessità della querela introdotta dalla Riforma Cartabia. La Corte ha rigettato il ricorso dell’imputato, confermando la condanna e stabilendo che la descrizione della sottrazione di ‘acqua pubblica’ dalla rete comunale era sufficiente a integrare la contestazione dell’aggravante.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto aggravato e querela: quando la contestazione ‘in fatto’ fa la differenza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto penale, quello del furto aggravato di beni destinati a pubblico servizio, come l’acqua potabile. La decisione è particolarmente rilevante alla luce delle modifiche introdotte dalla Riforma Cartabia, che ha cambiato le regole sulla procedibilità di molti reati. Il caso analizzato chiarisce quando un’aggravante può considerarsi validamente contestata anche se non esplicitamente menzionata, con conseguenze dirette sulla necessità o meno della querela della persona offesa per avviare il processo.

I fatti del processo

Il caso ha origine dalla condanna in appello di un individuo per il furto di acqua di proprietà pubblica, realizzato attraverso il danneggiamento del contatore. In primo grado, l’imputato era stato prosciolto per la particolare tenuità del fatto. Tuttavia, la Procura aveva impugnato la decisione e la Corte d’Appello aveva riformato la sentenza, infliggendo una condanna a nove mesi di reclusione e 200 euro di multa.

L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sollevando tre questioni principali:
1. La mancanza di prove sulla sua effettiva responsabilità, sostenendo di non avere un legame diretto con l’immobile al momento della manomissione.
2. L’erronea applicazione della legge penale riguardo alla circostanza aggravante del furto di cose destinate a pubblico servizio (art. 625, n. 7, c.p.). Secondo la difesa, questa aggravante non era stata formalmente contestata nel capo d’imputazione. Di conseguenza, il reato, in assenza di tale aggravante, sarebbe dovuto diventare procedibile a querela a seguito della Riforma Cartabia e, in mancanza di essa, l’azione penale non poteva proseguire.
3. Un’eccessiva dosimetria della pena.

La contestazione dell’aggravante e il furto aggravato

Il nodo centrale della questione giuridica risiede nella cosiddetta ‘contestazione in fatto’. L’aggravante prevista per il furto di beni destinati a pubblico servizio rende il reato procedibile d’ufficio. La difesa sosteneva che, non essendo stata citata la norma specifica (l’art. 625, n. 7, c.p.) nell’atto di accusa, l’imputato era stato giudicato per un furto aggravato non correttamente definito, ledendo il suo diritto di difesa.

Questo punto è diventato decisivo dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 150/2022 (Riforma Cartabia), che ha trasformato il furto semplice in un reato procedibile a querela. Se l’aggravante non fosse stata ritenuta valida, l’assenza di una querela da parte del Comune (proprietario della rete idrica) avrebbe dovuto portare a una sentenza di non doversi procedere.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato in tutti i suoi motivi. Le argomentazioni dei giudici offrono importanti chiarimenti sull’interpretazione della legge.

Sulla sufficienza della contestazione ‘in fatto’

La Corte ha stabilito che, per ritenere un’aggravante validamente contestata, non è sempre necessario citare esplicitamente il numero dell’articolo di legge. È sufficiente che la descrizione del fatto nel capo d’imputazione contenga tutti gli elementi costitutivi dell’aggravante stessa, in modo tale da permettere all’imputato di comprendere pienamente l’accusa e di difendersi adeguatamente.

Nel caso specifico, l’imputazione descriveva la condotta come l’impossessamento di ‘acqua pubblica’ attraverso un allaccio diretto alla rete di distribuzione gestita da un ente pubblico. Secondo la Corte, questi elementi – la natura ‘pubblica’ del bene e la sua erogazione tramite una rete destinata a un numero indeterminato di utenti – sono sufficienti a rendere manifesta la destinazione del bene a un ‘pubblico servizio’. Pertanto, l’aggravante era stata, a tutti gli effetti, contestata ‘in fatto’.

L’impatto sulla procedibilità dopo la Riforma Cartabia

Una volta stabilito che l’aggravante era stata validamente contestata, la conseguenza logica è stata il mantenimento della procedibilità d’ufficio. Il furto aggravato ai sensi dell’art. 625, n. 7, c.p. è escluso dal nuovo regime della procedibilità a querela. La Corte ha quindi confermato che l’azione penale era stata correttamente esercitata e proseguita, nonostante l’assenza di una querela formale.

Rigetto degli altri motivi

Infine, la Cassazione ha dichiarato inammissibili gli altri due motivi. La valutazione delle prove sulla responsabilità dell’imputato è stata considerata un accertamento di fatto, logicamente motivato dalla Corte d’Appello e, come tale, non sindacabile in sede di legittimità. Anche la censura sulla pena è stata respinta, poiché la sanzione inflitta era molto vicina al minimo edittale e giustificata dalla concessione delle attenuanti generiche nella loro massima estensione.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale del diritto processuale penale: la chiarezza e la completezza della descrizione del fatto nell’imputazione sono essenziali. Quando la narrazione dei fatti è tale da includere in modo inequivocabile gli elementi di una circostanza aggravante, questa si intende contestata, anche in assenza di un formale richiamo normativo. Tale principio assume oggi un’importanza ancora maggiore, poiché dalla corretta qualificazione del reato possono dipendere le condizioni stesse di procedibilità dell’azione penale, come dimostra l’impatto della Riforma Cartabia sul delitto di furto.

Quando un’aggravante si considera ‘contestata in fatto’ anche se non è citata esplicitamente nell’imputazione?
Un’aggravante si considera ‘contestata in fatto’ quando la descrizione della condotta nel capo d’imputazione contiene tutti gli elementi fattuali che la integrano, in modo da rendere manifesto all’imputato il complessivo disvalore del fatto e permettergli di preparare una difesa completa, anche senza il richiamo specifico alla norma di legge.

Il furto di acqua pubblica è sempre procedibile d’ufficio dopo la Riforma Cartabia?
Sì, se viene correttamente contestata, anche solo ‘in fatto’, la circostanza aggravante della destinazione del bene a pubblico servizio (art. 625, n. 7, c.p.). In questo caso, il reato rimane procedibile d’ufficio e non è necessaria la querela della persona offesa, a differenza del furto semplice.

Può la Corte di Cassazione riesaminare la valutazione delle prove fatta dal giudice di merito?
No, la Corte di Cassazione non può procedere a una nuova valutazione nel merito delle prove. Il suo compito è limitato a un controllo di legittimità sulla decisione impugnata, verificando l’assenza di vizi logici nella motivazione e la corretta applicazione della legge, ma non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella del giudice di appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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