Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 25584 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 25584 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a APRILIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/04/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 14 aprile 2022 la Corte di appello di Firenze ha confermato la pronuncia del G.U.P. del locale Tribunale del 6 settembre 2021 con cui NOME era stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 160,00 di multa in ordine ai reati di cui agli artt. 81, 624, 625, comma 1 n. 2 e 7, cod. pen. (capo 1); 81, 493-ter cod. pen. (capo 2).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, erronea applicazione di legge con riferimento all’art. 625 n. 7 cod. pen., lamentando la mancata esclusione della circostanza aggravante dell’esposizione dei beni alla pubblica fede, di cui non ricorrerebbero i presupposti applicativi.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivo non deducibile in questa sede di legittimità, poiché privo di adeguato confronto con le argomentazioni poste a sostegno della decisione impugnata.
Quest’ultima, infatti, appare lineare e congrua, oltre che priva di contraddizioni evidenti, e quindi inidonea ad essere sottoposta al sindacato di legittimità, a fronte di un argomento di impugnazione meramente reiterativo di una censura già sviluppata nel giudizio di appello ed ivi disattesa con motivazione logica.
La Suprema Corte ha, in proposito, più volte chiarito che è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
2.1. In ogni modo, con riferimento al caso di specie trova troncante applicazione il principio, affermato da questa Suprema Corte, per cui, in tema di reati contro il patrimonio, il furto di oggetti che si trovino all’interno un’autovettura parcheggiata sulla pubblica via deve considerarsi aggravato, ex art. 625, comma primo, n. 7 cod. pen., allorché si tratti di oggetti costituenti parte integrante del veicolo; quando, invece, il furto concerna oggetti solo temporaneamente o occasionalmente lasciati nell’auto, ai fini della sussistenza dell’aggravante in questione, deve ricorrere una situazione contingente di necessità, tale da indurre il possessore a confidare nella buona fede dei
consociati e nel rispetto delle cose altrui che dagli stessi è lecito pretendere, necessità da intendersi in senso relativo e non assoluto che comprende ogni apprezzabile esigenza di condotta imposta da particolari situazioni, in contrapposizione agli opposti concetti di comodità e di trascuratezza nella vigilanza. Ne consegue che il giudice deve, in tal caso, dare conto delle speciali ragioni che, in base alle circostanze concrete, hanno reso necessitata la custodia della cosa all’interno dell’autoveicolo (Sez. 5, n. 15386 del 06/03/2014, Cesaria, Rv. 260216-01). Ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 625, comma 1, n. 7 cod. pen. devono, cioè, intendersi esposte “per necessità e consuetudine” alla pubblica fede anche le cose che la vittima abbia temporaneamente lasciato in un’autovettura parcheggiata sulla pubblica via, ancorché non costituenti la normale dotazione del veicolo (Sez. 5, n. 47791 del 27/10/2022, COGNOME, Rv. 283903-01).
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 14 marzo 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente