Furto Aggravato per Allaccio Elettrico: La Cassazione Conferma la Condanna
Il furto aggravato tramite allaccio abusivo alla rete elettrica è una fattispecie di reato purtroppo comune. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce alcuni punti fondamentali riguardo la consapevolezza del reato e l’applicabilità di attenuanti, fornendo indicazioni preziose. Il caso in esame riguarda due persone condannate per essersi collegate illegalmente alla rete elettrica, le quali hanno tentato di far valere la loro presunta buona fede e la scarsa entità del danno. Vediamo come la Suprema Corte ha risolto la questione.
I Fatti del Processo: Dall’Accusa alla Condanna
Due individui venivano condannati in primo grado dal Tribunale e successivamente dalla Corte d’Appello per il reato di furto aggravato. L’accusa era quella di aver utilizzato energia elettrica sottratta tramite un allaccio abusivo per soddisfare le esigenze della propria abitazione per un periodo di circa tre mesi.
Nonostante la condanna, la Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la prima sentenza, disponendo la restituzione di una somma precedentemente sequestrata. Tuttavia, aveva confermato pienamente la responsabilità penale degli imputati, riconoscendo le attenuanti generiche come equivalenti all’aggravante contestata e, per uno di essi, anche alla recidiva.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
Gli imputati hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione basandosi su tre motivi principali, cercando di smontare l’impianto accusatorio e ottenere una revisione della pena.
La Presunta Ignoranza dell’Allaccio Abusivo
Il primo motivo di ricorso mirava a contestare l’affermazione di responsabilità. Gli imputati sostenevano di non essersi resi conto dell’allaccio illegale, descrivendosi come ingenui e ignari della reale finalità dei cavi di collegamento. A loro dire, non si erano nemmeno preoccupati di chiedere quali fossero le spese per le utenze dell’abitazione.
La Richiesta dell’Attenuante per Danno Lieve
In secondo luogo, i ricorrenti si dolevano del mancato riconoscimento della circostanza attenuante del danno di particolare tenuità (prevista dall’art. 62, n. 4, c.p.). Sostenevano che l’utilizzo di energia per soli tre mesi costituisse un danno irrisorio, tale da giustificare una riduzione della pena.
La Contestazione sulla Recidiva e la Pena
Infine, il terzo motivo, sollevato da uno degli imputati, criticava la decisione dei giudici di merito di non escludere la recidiva reiterata e chiedeva una rideterminazione della pena. Si lamentava una presunta contraddittorietà nella motivazione della sentenza d’appello.
Le Motivazioni della Cassazione sul Furto Aggravato
La Corte di Cassazione ha dichiarato tutti i ricorsi inammissibili, rigettando le argomentazioni della difesa con motivazioni nette e giuridicamente fondate.
Sul primo punto, la Corte ha stabilito che la tesi dell’inconsapevolezza non era credibile. L’evidente presenza di fili di collegamento rendeva impossibile non accorgersi dell’anomalia. Inoltre, è stato ritenuto illogico che gli occupanti di un’abitazione non si preoccupassero minimamente delle spese relative alle utenze. La valutazione dei giudici di merito è stata quindi considerata esente da vizi logici e non sindacabile in sede di legittimità.
Riguardo all’attenuante del danno lieve, la Cassazione ha confermato la linea dei giudici di merito: la caratteristica dell’irrisorietà non può essere attribuita a un consumo di energia elettrica utilizzato per “ogni esigenza di casa”, anche se limitato a un periodo di tre mesi. Il furto di un bene primario come l’elettricità, destinato a soddisfare tutte le necessità quotidiane, non può essere considerato di lieve entità.
Infine, per quanto riguarda la recidiva, la Corte ha evidenziato il curriculum criminale di uno dei ricorrenti, con ben dieci condanne precedenti. Tale passato dimostrava, secondo i giudici, una “pervicacia dell’imputato nell’indifferenza ad ogni norma e regola”. Di conseguenza, non solo era giustificata la valutazione della recidiva, ma era anche impossibile concedere la sospensione della pena, data l’entità della stessa.
Le Conclusioni: Le Implicazioni della Decisione
L’ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce principi consolidati in materia di furto aggravato di energia elettrica. In primo luogo, la scusa dell’ignoranza o dell’ingenuità difficilmente può reggere di fronte a elementi oggettivi, come la presenza di cavi volanti. La diligenza minima impone di informarsi sulla regolarità delle utenze quando si entra in un’abitazione.
In secondo luogo, la decisione chiarisce che l’attenuante del danno di speciale tenuità non si applica automaticamente in base alla durata del furto, ma va valutata in relazione alla natura del bene sottratto e al suo utilizzo. L’energia elettrica per uso domestico è considerata un bene essenziale, il cui furto sistematico non può essere qualificato come irrisorio. Questa pronuncia serve da monito: la giustizia tende a non essere indulgente verso chi cerca di eludere i propri doveri approfittando illegalmente di risorse altrui, e un passato criminale ha un peso determinante nella valutazione finale della pena.
È possibile essere condannati per furto aggravato di energia elettrica anche se si sostiene di non essere a conoscenza dell’allaccio abusivo?
Sì. Secondo la Corte, se vi sono elementi evidenti come la presenza di fili di collegamento, non è credibile sostenere di non essersi accorti dell’allaccio illegale. La mancata preoccupazione per le spese delle utenze è un ulteriore elemento che gioca a sfavore dell’imputato.
L’utilizzo di energia elettrica rubata per soli tre mesi può essere considerato un danno di lieve entità tale da giustificare un’attenuante?
No. La Corte ha stabilito che la caratteristica di “irrisorietà” del danno, necessaria per l’applicazione dell’attenuante, non può essere riconosciuta quando l’energia viene utilizzata per ogni esigenza domestica, anche se solo per un periodo limitato come tre mesi.
Un passato criminale significativo può impedire l’esclusione della recidiva e la sospensione della pena?
Sì. Nel caso di specie, un imputato con dieci condanne precedenti è stato giudicato come persona con una spiccata “pervicacia” nel violare le norme. Questo ha giustificato non solo la conferma della recidiva e il bilanciamento sfavorevole con le attenuanti, ma anche l’impossibilità di concedere la sospensione condizionale della pena.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1020 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1020 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/12/2023
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato il 30/03/1987 NOME nato il 23/03/1980
avverso la sentenza del 21/06/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Torino ha parzialmente riformato, disponendo la restituzione agli imputati della somma in sequestro, la sentenza del Tribunale di Torino del 16 settembre 2021 che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di furto aggravato e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante e per il Sali anche alla recidiva, li aveva condannati alla pena ritenuta di giustizia;
che il primo motivo dei ricorsi degli imputati, che denunziano violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato loro ascritto, non è consentito dalla legge in sede di legittimità poiché volto a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie avulsa dall’individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito, i quali, con motivazione esente da illogicità, hanno espressamente affermato come non sia credibile che gli imputati non si fossero avveduti dell’allaccio abusivo, data l’evidente presenza dei fili di collegamento, né che essi non si fossero preoccupati di chiedere quali fossero le spese delle utenze dell’abitazione né, ancora, che fossero così ingenui da non comprendere la reale finalità dei cavi collegati o che, almeno, non ne avessero chiesto il motivo (si veda pagina 3 del provvedimento impugnato);
che il secondo motivo dei ricorsi degli imputati, che si dolgono del mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., è anch’esso inammissibile in quanto riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, il quale ha affermato che la caratteristica dell’irrisorietà, necessaria per poter riconoscere l’invocata attenuante, non può essere attribuita ad un consumo di energia elettrica abusivamente utilizzata per ogni esigenza di casa, ancorché per soli tre mesi (si veda pagina 3 della sentenza impugnata);
che il terzo motivo dei ricorsi, con cui i ricorrenti denunziano la contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancata esclusione della recidiva reiterata per l’imputato Sali e in ordine alla rideterminazione della pena, oltre ad essere reiterativo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi, è manifestamente infondato perché inerente ad asseriti difetto o contraddittorietà e/o palese illogicità della motivazione non emergenti dal provvedimento impugnato, che, infatti, ha osservato che il ricorrente COGNOME vanta un certificato
penale di ben dieci condanne quasi tutte per reati in materia di stupefacenti ma anche per false dichiarazioni sull’identità e violazione di norme sull’immigrazione e che, pertanto, il presente reato rappresenta la pervicacia dell’imputato nell’indifferenza ad ogni norma e regola, e quanto al trattamento sanzionatorio, ha affermato che il caso di specie è distante dall’invocato stato di necessità e nessun elemento può essere valutato ai fini di una modifica del bilanciamento delle generiche in maniera più favorevole; la sospensione della pena, nel caso di specie, a causa dell’entità della pena inflitta, non è concedibile;
che all’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 13/12/2023.