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Fungibilità pena: scissione reato permanente decisiva

Un imputato, assolto da un’accusa grave dopo aver scontato un periodo di custodia cautelare, ha richiesto di utilizzare tale periodo a scomputo di una pena per un reato associativo. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19714/2024, ha annullato la decisione di merito che negava la fungibilità della pena. Il principio chiave è che il giudice dell’esecuzione deve accertare con precisione la data di cessazione del reato permanente, anche scindendolo, per verificare se la condotta illecita si sia protratta oltre il periodo di detenzione ingiustamente sofferta.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fungibilità Pena: La Cassazione Sottolinea l’Obbligo di Accertare la Cessazione del Reato Permanente

Il principio della fungibilità pena rappresenta un cardine di equità nel sistema esecutivo penale, consentendo di non disperdere il sacrificio della libertà personale patito ingiustamente. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 19714/2024) ritorna su questo delicato tema, specificando gli obblighi del giudice dell’esecuzione di fronte a reati di natura permanente, come quelli associativi.

I fatti del caso

Un soggetto, dopo essere stato detenuto in custodia cautelare per oltre due anni (dal 1994 al 1996) per un’accusa di omicidio, veniva definitivamente assolto. Successivamente, veniva condannato per altri reati, tra cui la partecipazione a un’associazione di stampo mafioso. Una parte di questa condotta associativa era stata contestata come commessa a partire dal 1991, quindi antecedentemente al periodo di detenzione sofferta sine titulo.

L’interessato presentava istanza al giudice dell’esecuzione per ottenere il riconoscimento della fungibilità pena, chiedendo che il periodo di carcerazione ingiustamente patito venisse detratto dalla pena definitiva da scontare per il reato associativo.

La decisione della Corte di Appello

La Corte di Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta. La sua motivazione si basava sull’assunto che i reati per i quali era intervenuta la condanna definitiva fossero stati commessi in epoca successiva alla custodia cautelare. In particolare, per il reato associativo permanente, la Corte indicava genericamente come data di cessazione della condotta quella della sentenza di primo grado (2001) o di secondo grado (2003), concludendo che, in ogni caso, la permanenza del reato si era protratta ben oltre il 1996, anno di fine della detenzione sine titulo. Di conseguenza, escludeva la possibilità di applicare la fungibilità.

L’analisi della Corte di Cassazione sulla fungibilità della pena

Investita del ricorso, la Suprema Corte ha accolto le doglianze del condannato, annullando con rinvio l’ordinanza impugnata. La Cassazione ha censurato il ragionamento della Corte territoriale per la sua genericità e inadeguatezza, delineando i passaggi logico-giuridici che il giudice dell’esecuzione deve obbligatoriamente seguire.

Il Collegio ha ribadito che, di fronte a un’istanza di fungibilità, il giudice deve compiere due operazioni fondamentali, ispirate al principio del favor libertatis:

1. Scissione del reato continuato o permanente: Qualora la legge consideri unitariamente una pluralità di fatti (come nel reato continuato o permanente), il giudice deve ‘sciogliere’ tale unicità per individuare le singole condotte e verificare se alcune di esse siano state commesse prima dell’inizio della carcerazione sofferta ingiustamente.
2. Determinazione della pena: Una volta isolati i frammenti di reato antecedenti, il giudice deve quantificare la relativa quota di pena per poi operare la detrazione.

Il nodo cruciale del reato permanente e la fungibilità pena

Il punto critico della vicenda risiedeva nella natura permanente del reato associativo. La giurisprudenza è costante nell’affermare che la fungibilità pena non si applica ai reati permanenti se la condotta illecita è cessata dopo la fine della detenzione sine titulo. Tuttavia, la Corte di Appello aveva omesso un passaggio cruciale: l’accertamento rigoroso e puntuale della data esatta di cessazione della condotta.

Le motivazioni della decisione

La motivazione della Corte di Cassazione è stata netta: il giudice di merito ha reso una motivazione carente e assertiva. Non è sufficiente indicare in modo alternativo e vago la data delle sentenze di primo o secondo grado come momento finale del reato. Il giudice dell’esecuzione ha il dovere di verificare, analizzando le sentenze di merito, se la data di cessazione della permanenza sia stata esplicitamente accertata nel processo di cognizione. Qualora tale dato manchi, spetta allo stesso giudice dell’esecuzione accertarlo, basandosi sugli elementi probatori emersi nel giudizio. Questo accertamento è indispensabile per stabilire se la partecipazione al sodalizio criminale si sia protratta o meno oltre il maggio 1996. Solo un’analisi concreta e dettagliata può giustificare l’esclusione della fungibilità.

Le conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio di garanzia fondamentale. Non si può negare un beneficio come la fungibilità pena sulla base di affermazioni generiche. Il giudice deve condurre un’indagine approfondita e motivata, soprattutto in presenza di reati la cui consumazione si protrae nel tempo. Annullando la decisione e rinviando gli atti alla Corte di Appello, la Cassazione ha imposto una nuova valutazione che dovrà basarsi su un’analisi accurata degli atti processuali per determinare con esattezza il tempus commissi delicti. Questa pronuncia riafferma che il diritto del condannato a non vedere vanificata la carcerazione ingiusta prevale su interpretazioni sbrigative e formalistiche.

Quando si può chiedere la fungibilità della pena?
Si può chiedere quando una persona ha scontato un periodo di custodia cautelare per un reato per il quale è stata poi assolta, e deve scontare una pena per un altro reato commesso prima dell’inizio di quella custodia cautelare.

Perché la data di cessazione di un reato permanente è così importante per la fungibilità?
È cruciale perché, secondo la giurisprudenza, la fungibilità non è applicabile se la condotta del reato permanente è cessata dopo la fine del periodo di detenzione ingiustamente sofferta. Pertanto, stabilire con esattezza questa data è un presupposto indispensabile per decidere sulla richiesta.

Cosa deve fare il giudice dell’esecuzione se la data di cessazione di un reato permanente non è chiara?
Il giudice dell’esecuzione non può limitarsi a una valutazione generica. Deve prima verificare se la data è stata accertata nelle sentenze di merito. Se così non fosse, ha il dovere di accertarla autonomamente, analizzando gli elementi probatori del processo di cognizione per stabilire con precisione quando la condotta illecita è terminata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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