Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9043 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9043 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a Palermo il DATA_NASCITA;
avverso l’ordinanza della Corte di appello di Palermo, in funzione di giudice dell’esecuzione, del 15/05/2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
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RITENUTO IN FATTO
1.Con la ordinanza in epigrafe la Corte di appello di Palermo, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza di NOME COGNOME diretta ad ottenere il riconoscimento della fungibilità tra il periodo di detenzione sofferta dal 26 ottobre 2006 al 24 agosto 2009 in quanto coevo rispetto alla realizzazione della condotta di cui all’art.416-bis cod. pen. relativo all’ordine di esecuzione pena n. SIEP 681/2016, con la conseguenza che detto periodo (pari ad anni due e mesi dieci) secondo l’istante doveva essere considerato come pena espiata per il titolo attualmente in espiazione non sussistendo le condizioni ostative previste dall’art.657 cod. proc. pen.
Al contrario la Corte territoriale ha osservato che, con la sentenza pronunciata dal Tribunale di Palermo in data 15 novembre 2013 (parzialmente riformata da quella della stessa Corte di appello del 18 settembre 2015), era stata ritenuta sussistente la continuazione tra i reati oggetto di quel processo e tutti quelli per i quali l’istante aveva già riportato condanne a partire dal 1999 (indicate nella sentenza ed iscritte ai nn. 2,3,6, e 7 del certificato del casellario giudiziale).
La pena complessiva – ritenuto più grave il reato ex art.416-bis, comma 2, cod. pen. contestato al capo a) di quel processo, era stata rideterminata in anni trenta di reclusione; a seguito della parziale riforma da parte della Corte di appello di Palermo (sentenza 18 settembre 2015) che aveva assolto NOME COGNOME da una contestazione di usura – era stata rideterminata in complessivi anni ventotto di reclusione.
Nel sopra richiamato ordine di esecuzione (contraddistinto dal nNUMERO_DOCUMENTO) la pena residua da espiare era stata indicata in anni diciotto e mesi sei di reclusione, mediante la detrazione di tutti i periodi di detenzione relativi alle precedenti condanne riunite per la continuazione, di talché l’istanza di cui sopra è stata rigettata.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico ed articolato motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
Il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 666 cod. proc. pen., 78 e 80 cod. pen. ed il relativ
vizio di motivazione; egli osserva che, come risultante dall’ordine di esecuzione, il reato ex art .416-bis cod. pen. era stato da lui perpetrato dal 26 ottobre 2006 sino al 15 novembre 2013 e che dal 26 ottobre 2006 sino al 24 agosto 2009 era stato ininterrottamente detenuto per lo stesso reato. Pertanto il suddetto periodo (dal 26 ottobre 2006 sino al 24 agosto 2009) era coevo rispetto alla data di realizzazione della condotta ex art.416-bis cod. pen., di talché esso doveva essere considerato come pena espiata per il reato associativo non ostandovi il disposto dell’art.657 del codice di rito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
La regola cui attenersi in materia è che, in presenza di una pluralità di condanne e di periodi di detenzione sofferti in tempi diversi non è possibile procedere ad un unico cumulo delle pene concorrenti e detrarre, poi, da detto cumulo la somma complessiva del presofferto in custodia cautelare, qualora tali periodi di carcerazione si riferiscono a condanne per reati commessi prima, durante e dopo la detenzione. In tal caso, infatti, il presofferto verrebbe calcolato anche con riferimento a reati commessi successivamente, violando con il disposto dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., in base al quale la custodia cautelare e la pena espiata senza titolo sono computate solo con riferimento a reati precedentemente commessi.
2.1. Deve poi aggiungersi che la continuazione non determina l’unificazione dei corrispondenti reati ai fini di cui all’art. 657 cod. proc. pen.; infatti, riconoscimento della continuazione tra più reati in sede esecutiva, con la conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale, non comporta che la differenza così formatasi sia automaticamente imputata alla detenzione da eseguire, operando anche in detta eventualità il disposto dell’art. 657, comma quarto, cod. proc. pen., per cui a tal fine vanno computate solo la custodia cautelare sofferta e le pene espiate “sine titulo” dopo la commissione del reato, e dovendosi conseguentemente scindere il reato continuato nelle singole violazioni che lo compongono (Sez. 1, Sentenza n. 45259 del 27/09/2013, Rv. 257618 – 01 ).
2.2. Ciò posto, si osserva che il periodo per il quale l’odierno ricorrent chiesto il riconoscimento della fungibilità è in realtà precedente alla commissio del reato ex art .416-bis cod. pen. accertato dalla Corte di appello di Palermo con la sentenza del 18 settembre 2015, commesso in Palermo dal 26 ottobre 2006 con condotta che in concreto si era protratta sostanzialmente sino al suo arres avvenuto nel dicembre 2011, come peraltro già evidenziato dalla medesima Corte territoriale, in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 13 giu 2022 che aveva respinto analoga istanza di NOME.
2.3. Pertanto, il periodo di detenzione oggetto della richiesta non è coevo reato associativo che si è protratto quanto meno sino al dicembre del 2011, ma è in realtà precedente ad esso con la conseguente preclusione, espressamente prevista dall’art.657, comma 4, cod. proc. pen., al riconoscimento del fungibilità.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento dell spese processuali a norma dell’art.616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processual Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2023.