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Fungibilità della pena: quando finisce il reato?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45833/2024, interviene sul tema della fungibilità della pena. Un soggetto, dopo aver scontato ingiustamente un periodo di custodia cautelare, ne chiedeva lo scomputo da una condanna per reati associativi. La Corte ha stabilito che, per i reati permanenti, il giudice non può presumere che la condotta illecita termini con la sentenza di primo grado. È necessaria una verifica concreta e sostanziale del momento esatto della cessazione del reato, annullando la decisione che si era basata su un criterio meramente formale.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fungibilità della Pena e Reati Permanenti: la Cassazione Privilegia la Sostanza sulla Forma

La fungibilità della pena è un istituto cruciale del nostro ordinamento processuale, che permette di non disperdere i periodi di detenzione sofferti ingiustamente. Ma come si applica questo principio ai reati permanenti, come quelli associativi, la cui condotta si protrae nel tempo? La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 45833 del 2024, offre un chiarimento fondamentale: per determinare se la carcerazione ingiusta sia successiva al reato, il giudice deve guardare alla realtà dei fatti, non a presunzioni formali.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Scomputo della Pena

Il caso riguarda un individuo che aveva trascorso un periodo di custodia cautelare tra il 1999 e il 2001 per un’accusa di associazione a delinquere, dalla quale era stato poi assolto con formula piena (“perché il fatto non sussiste”). Successivamente, lo stesso soggetto veniva condannato in via definitiva a una lunga pena detentiva per due distinti reati associativi: uno di stampo mafioso (art. 416-bis c.p.) e uno finalizzato al traffico di stupefacenti (art. 74 d.P.R. 309/90). Entrambi i reati erano stati contestati come commessi a partire dall’ottobre 1999 e considerati “permanenti”.

La difesa, appellandosi all’istituto della fungibilità della pena, chiedeva al giudice dell’esecuzione di detrarre il periodo di custodia cautelare sofferto ingiustamente dalla pena che il suo assistito stava attualmente scontando.

La Decisione della Corte d’Appello: un Criterio Temporale Rigido

La Corte di Assise di Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta. La sua motivazione si basava su un’interpretazione rigida e formale: la custodia cautelare (1999-2001) era stata sofferta in un’epoca antecedente alla cessazione della permanenza dei reati associativi. Per la Corte, tale cessazione coincideva con la data della sentenza di condanna di primo grado, emessa nel 2009. Di conseguenza, poiché il reato era ancora in corso durante la detenzione ingiusta, quest’ultima non poteva essere scomputata.

Il Ricorso in Cassazione e l’Analisi sulla Fungibilità della pena

Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un’errata applicazione dell’art. 657 c.p.p. e un vizio di motivazione. Le censure principali erano due:

1. Analisi Concreta vs. Presunzione Formale: Il giudice dell’esecuzione non avrebbe dovuto limitarsi ad applicare la presunzione formale secondo cui un reato permanente cessa con la sentenza di primo grado. Avrebbe dovuto, invece, condurre una verifica concreta e sostanziale, basata sugli atti processuali, per accertare il momento effettivo in cui era terminata la condotta criminale del condannato.
2. Omissione di Valutazione: La Corte territoriale aveva analizzato solo il reato di cui all’art. 416-bis c.p., omettendo completamente di valutare la cessazione della permanenza anche per il secondo reato associativo, quello legato al traffico di stupefacenti.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza e rinviando il caso per un nuovo esame. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio fondamentale, già affermato in precedenti pronunce: il limite temporale previsto per la fungibilità della pena (la detenzione deve essere successiva alla commissione del reato) richiede un accertamento rigoroso, soprattutto nei casi di reati permanenti.

La Corte ha censurato l’approccio del giudice dell’esecuzione, definendolo un ritorno a una “giurisprudenza ormai risalente”. L’orientamento moderno, infatti, impone di superare il dato formale della data della sentenza. Il giudice dell’esecuzione ha il dovere di “individuare preliminarmente il momento della cessazione della permanenza” delle condotte illecite, attingendo alla motivazione della sentenza di condanna e, se necessario, agli altri atti del procedimento.

Presumere che il momento consumativo coincida sempre con la pronuncia di primo grado è una scorciatoia inaccettabile che non tiene conto della realtà fattuale. Inoltre, la Corte ha evidenziato come il provvedimento impugnato fosse viziato da un “deficit motivazionale”, avendo omesso qualsiasi analisi sul secondo reato contestato e avendo richiamato acriticamente una precedente decisione relativa a un istituto diverso (il ne bis in idem).

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un’importante affermazione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma nell’esecuzione penale. Per applicare correttamente la fungibilità della pena a reati permanenti, non è sufficiente un riferimento automatico alla data della sentenza. È indispensabile un’indagine approfondita e concreta, che accerti il momento in cui la partecipazione del singolo al sodalizio criminale è effettivamente venuta meno. Solo così si può garantire che il diritto del condannato a vedersi riconosciuto il periodo di detenzione ingiustamente sofferto sia pienamente tutelato, senza creare “riserve di impunità” ma assicurando una giusta determinazione della pena da eseguire.

Quando è possibile chiedere la fungibilità della pena?
È possibile chiederla quando si è scontato un periodo di custodia cautelare per un reato dal quale si è stati poi prosciolti o assolti. Tale periodo può essere detratto dalla pena da espiare per un altro reato, a condizione che quest’ultimo sia stato commesso prima dell’inizio della custodia cautelare ingiustamente sofferta.

Come si determina la fine di un reato permanente ai fini della fungibilità?
La Corte di Cassazione stabilisce che non ci si può basare sul criterio formale della data della sentenza di primo grado. Il giudice dell’esecuzione deve invece condurre una verifica concreta, basata sugli atti del processo (come la motivazione della sentenza), per accertare il momento effettivo in cui la condotta criminale permanente è cessata.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la decisione del giudice dell’esecuzione in questo caso?
La decisione è stata annullata perché la motivazione era carente. Il giudice non ha effettuato una verifica concreta sulla cessazione dei reati, ma si è limitato ad applicare un criterio formale e superato. Inoltre, ha omesso di valutare uno dei due reati associativi per cui era stata emessa condanna e ha basato il suo ragionamento su principi non pertinenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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