Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9272 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9272 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMENOME nato ad ANCONA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/01/2022 della CORTE APPELLO di ANCONA
udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME, il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 18/1/2022 la Corte di appello di Ancona, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza ai sensi dell’art. 657 cod. proc. pen., avanzata da NOME COGNOME, diretta a computare la pena espiata sine titulo nel corso di un procedimento per un reato che si era prescritto per la durata di quattro mesi e venti giorni nella pena da eseguire per una nuova condanna derivante dalla sentenza della Corte di appello di Ancona del 25/2/2019, irrevocabile il 20/10/2020, per il reato ex art. 8 D. Lgs. n. 74 del 2000.
Il giudice dell’esecuzione ha osservato che ai sensi dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen. sono passibili di recupero soltanto la custodia cautelare subìta o le pene espiate dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire, e tale condizione non ricorre nel caso di specie, in quanto la custodia cautelare indicata come presofferta era antecedente alla data di commissione del reato la cui pena deve essere eseguita.
È stata citata la sentenza della Corte costituzionale n.198 dell’11/7/2014 che ha illustrato le ragioni di tale regime della fungibilità, insite nell’esigenza evitare che il credito di pena possa determinare una riserva di impunità, così comportando un effetto criminogeno. Inoltre, la necessità che la pena sine titulo segua e non già preceda la commissione del reato risponde anche alla finalità trattamentale e special-preventiva della sanzione penale, che sarebbe frustrata da una pena già scontata e scollegata dal reato di cui costituisce retribuzione.
Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione il difensore del condannato, AVV_NOTAIO, lamentando vizio di motivazione per carenza e contraddittorietà rispetto alle risultanze istruttorie.
Illustra il ricorrente che per la custodia cautelare subaa sine titulo, COGNOME aveva ottenuto l’indennizzo per ingiusta detenzione: tale ristoro solo pecuniario costituisce comunque un minus in termini ristoratori, rispetto alla possibilità di ottenere riparazione in forma specifica tramite lo scomputo di tale detenzione dalla pena da eseguirsi per il nuovo reato.
Non si ritiene sussistere un ostacolo nel testo dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., in quanto detta norma richiede una interpretazione costituzionalmente orientata, così da dare luogo ad una presunzione solo relativa in ordine alla impossibilità che la pena preceda il reato, vincibile dalla prova contraria che nel caso concreto l’inversione non spieghi alcun effetto criminogeno: tale prova ricorre nel caso del COGNOME, il quale ha già subìto una ingiusta detenzione ed è dunque consapevole delle conseguenze nefaste derivanti da azioni criminose.
Evidenzia il ricorrente che tale impostazione è stata suggerita dalla stessa citata sentenza della Corte costituzionale, laddove ha escluso che la disposizione dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen. si fondi su un’arbitraria presunzione assoluta, pena la lesione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza sanciti dall’art. 3 della Costituzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1. La giurisprudenza di questa Corte è compatta nel ritenere che non sia fungibile con la pena da eseguire per un reato, il periodo trascorso in custodia cautelare o in espiazione di pena sine titulo per un reato precedentemente commesso (Sez. 1, n. 4999 del 14/09/2017, dep. 2018, Schiavone, Rv. 272292).
La lettera della norma di cui all’art. 657, comma 4, cod. proc. pen. è, infatti, di piana lettura: “In ogni caso sono computate soltanto la custodia cautelare subìta o le pene espiate dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire’.
La ratio della norma è pure di evidenza logica, in quanto ammettendo che possa scomputarsi una custodia cautelare o una pena espiata sine titulo prima della commissione del reato la cui pena deve essere determinata, ne conseguirebbe un intollerabile effetto criminogeno.
1.2. Nemmeno risulta fondato il dubbio di costituzionalità, che la difesa ritiene annidarsi nella ostatività assoluta, anziché in quella perorata in termini relativi e superabili dalla verifica concreta che l’ingiusto presofferto non dispieghi il paventato effetto criminogeno. Nel caso di specie, si assume esservi prova che l’incentivo a delinquere derivante da un credito di pena non sarebbe ipotizzabile in ragione del lungo periodo trascorso tra l’ingiusta carcerazione e i nuovi episodi di reato. A prescindere dalla fallacità dell’argomento, manifestata dalla riproposizione di nuove condotte criminose, sia pure temporalmente distanziate, si sottolinea che la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 198 del 7/7/2014, ha esecrato il cosiddetto “credito di pena” che induce evidenti effetti criminogeni.
Invero, la disposizione dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., è stata ritenuta non in contrasto con gli artt. 3, 13, primo comma, e 27, terzo comma, Cost. dalla Corte costituzionale che, in detta sentenza, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., rilevando che lo sbarramento temporale «è imposto dall’esigenza di evitare che l’istituto della fungibilità si risolva in uno stimolo a commettere reat trasformando il pregresso periodo di carcerazione in una ‘riserva di impunità’; esso risponde inoltre, prima ancora, alla fondamentale esigenza logico-giuridica
che la pena segua, e non già preceda, il reato, essendo questa la condizione indispensabile affinché la pena possa esplicare le funzioni sue proprie, e particolarmente quelle di prevenzione speciale e rieducativa».
1.3. A tali inoppugnabili argomentazioni si è correttamente richiamata l’ordinanza qui avversata, che ha diffusamente illustrato, citando i passaggi salienti della pronuncia del Giudice delle Leggi, le ragioni di rilievo costituzionale alla base della normativa in disamina.
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della congrua somma indicata in dispositivo in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi profili di esenzione da responsabilità nella determinazione della causa di inammissibilità, a tenore della sentenza n. 186 del 2000 della Corte costituzionale.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il giorno 13 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente