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Fungibilità della pena: la Cassazione chiarisce i limiti

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva di scomputare un periodo di detenzione pregressa (presofferto) da una pena per un reato commesso successivamente. Il caso, caratterizzato da un complesso iter processuale con due precedenti annullamenti con rinvio, verteva sul principio della fungibilità della pena. La Suprema Corte ha ribadito che, ai sensi dell’art. 657 c.p.p., la carcerazione subita non può essere imputata a una pena per un fatto criminoso commesso dopo la detenzione stessa, al fine di non creare una “riserva di impunità”. La decisione del giudice del rinvio, che ha riesaminato l’intera questione, è stata ritenuta corretta in quanto i precedenti annullamenti avevano rimosso totalmente i provvedimenti impugnati, conferendogli pieni poteri decisori.

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Pubblicato il 17 agosto 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fungibilità della pena: quando si può scomputare il presofferto?

La fungibilità della pena è un principio cardine nella fase esecutiva del processo penale, che consente di non disperdere i periodi di carcerazione già sofferti. Tuttavia, la sua applicazione è soggetta a regole precise, come chiarito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 14969/2019. La Suprema Corte ha stabilito che la detenzione pregressa non può mai trasformarsi in un “credito di pena” da spendere per reati futuri, ribadendo un principio fondamentale: la pena segue il reato, non lo precede.

I Fatti di Causa: Un Complesso Percorso Giudiziario

Il caso in esame ha origine dalla richiesta di un condannato di rideterminare la pena complessiva da espiare. Inizialmente, nel 2016, la Corte di Appello di Catania aveva accolto l’istanza, scomputando un periodo di presofferto di oltre quattro anni dal totale della pena.

Questa decisione, tuttavia, è stata annullata una prima volta dalla Cassazione nel 2017, poiché non era chiaro a quale titolo e a quale periodo si riferisse il presofferto scomputato. Il caso è tornato alla Corte di Appello che, nel 2017, ha emesso una nuova ordinanza, anch’essa impugnata e annullata dalla Cassazione nel 2018. Il motivo del secondo annullamento era lo stesso: la Corte territoriale non aveva adempiuto al compito di chiarire in modo preciso i titoli e i periodi del presofferto.

Infine, nel giudizio di rinvio, la Corte di Appello ha riesaminato l’intera questione e ha negato lo scomputo, confermando la pena residua in tredici anni e quattro mesi. Questa ultima decisione è stata oggetto del ricorso che ha portato alla pronuncia in commento.

L’impugnazione e i motivi del ricorso

Il ricorrente lamentava che il giudice del rinvio avesse travalicato i limiti del compito assegnatogli dalla Cassazione. A suo dire, la Corte di Appello avrebbe dovuto limitarsi a verificare la scomputabilità del presofferto, senza rimettere in discussione l’intera vicenda esecutiva. La difesa ha definito l’approccio della Corte territoriale un “escamotage” per riproporre un ragionamento già bocciato, ignorando quanto devoluto dalla Suprema Corte.

L’applicazione della Fungibilità della pena: le motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici di legittimità hanno chiarito un punto processuale cruciale: le due precedenti sentenze di annullamento avevano rimosso totalmente i provvedimenti impugnati, senza porre alcun vincolo specifico se non quello di riesaminare i presupposti fattuali della domanda. Di conseguenza, il giudice del rinvio aveva il pieno potere di riconsiderare l’intera questione.

Nel merito, la Corte ha confermato la correttezza della decisione impugnata, fondandola sul principio sancito dall’art. 657, comma 4, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che la custodia cautelare e le pene espiate sine titulo possono essere computate solo se sofferte dopo la commissione del reato per cui si deve eseguire la pena.

La ratio di questa regola è evitare che un periodo di detenzione ingiusta o cautelare si trasformi in una sorta di “riserva di impunità” o “credito di pena”, che potrebbe incentivare la commissione di futuri reati. La pena, per assolvere alla sua funzione rieducativa e preventiva, deve sempre seguire cronologicamente il fatto criminoso che intende sanzionare. La Cassazione ha inoltre richiamato precedenti pronunce della Corte Costituzionale (sent. n. 198/2014 e ord. n. 117/2017) che hanno confermato la piena legittimità costituzionale di tale impostazione.

Le Conclusioni

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di esecuzione penale e fungibilità della pena: non esiste un “diritto a compensare” la pena da espiare con periodi di carcerazione pregressa, se questi si riferiscono a un momento antecedente alla commissione del reato per cui si è stati condannati.

La decisione sottolinea che la funzione della pena non è meramente retributiva, ma anche preventiva e rieducativa, funzioni che verrebbero vanificate se si permettesse di “saldare” in anticipo il proprio debito con la giustizia. Per i professionisti del diritto, questa pronuncia consolida l’interpretazione restrittiva dell’art. 657 c.p.p., chiarendo che ogni analisi sulla scomputabilità del presofferto deve partire da un’attenta verifica della cronologia tra la detenzione subita e il reato commesso.

A quali condizioni un periodo di detenzione già sofferto (presofferto) può essere scomputato da una pena da eseguire?
Secondo la sentenza, in base all’art. 657, comma 4, c.p.p., il periodo di custodia cautelare o di pena espiata senza titolo può essere scomputato solo se è stato sofferto dopo la commissione del reato per il quale si deve eseguire la pena.

Perché non è possibile scomputare un presofferto da una pena per un reato commesso successivamente?
Non è possibile perché la pena deve sempre seguire, e non precedere, il fatto criminoso che sanziona. Ammettere il contrario significherebbe trasformare il presofferto in una “riserva di impunità”, incentivando la commissione di futuri illeciti e vanificando le funzioni preventive e rieducative della pena.

Cosa succede quando la Corte di Cassazione annulla una decisione e rinvia il caso a un altro giudice?
Quando l’annullamento rimuove totalmente il provvedimento precedente senza fissare un principio di diritto specifico ma richiedendo solo una nuova valutazione dei fatti (come in questo caso), il giudice del rinvio acquisisce la piena cognizione dell’intera questione e ha il potere di riesaminarla completamente, senza essere vincolato dalla decisione annullata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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