Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 14969 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 1 Num. 14969 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/02/2019
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il 05/03/1954
avverso l’ordinanza del 03/07/2018 della CORTE APPELLO di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette/se~e-le conclusioni del PG 0. 1 r GLYPH P’. 024..< GLYPH (it,! i tA GLYPH /2-tvuLutd–ki,e,
Ritenuto in fatto
1.Con ordinanza resa il 2 aprile 2016, la Corte di appello di Catania, pronunciand quale giudice dell’esecuzione, accoglieva l’istanza, avanzata dal condannato NOME COGNOME di rideterminazione della pena unica da espiare in dipendenza delle sentenze di condanna, emesse a suo carico dalla Corte di appello di Catania il 16 marzo 1985 ed il 17 luglio 2014 e dalla Corte di Assise di appello di Catania il 21 dicembre 1999, pena che, detra il presofferto per anni quattro e mesi sei dal cumulo di anni quindici e mesi quatt reclusione, quantificava in anni dieci e mesi dieci di reclusione.
1.1 Proposto ricorso per cassazione da parte del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Catania, la Corte Suprema di cassazione con sentenza n. 5518 del 19 gennaio 2017 annullava con rinvio l’ ordinanza impugnata, rilevando che il presofferto portato in detrazi non era comprensibile a quale titolo ed a quale periodo di detenzione fosse riferito e la entità corrispondeva alla pena inflitta allo Strano con sentenza della Corte di appello di T del 26 maggio 1999, inclusa nel provvedimento di unificazione di pene concorrenti, emesso dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Catania del 5 aprile 2000.
1.2 Nel giudizio di rinvio, la Corte di appello di Catania con ordinanza del 13 ott 2017 rideterminava la pena da espiare da parte dello Strano in anni tredici e mesi quattro reclusione; rilevava che, per quanto risultante dal decreto di cumulo del 20 giugno 2017, pene inflitte con le sentenze di cui ai punti 1) e 2) erano state interamente espiate e che condanna di cui alla terza sentenza doveva essere detratto un anno di reclusione, par all’ aumento applicato determinata a titolo di continuazione, riconosciuta tra i reati con giudicati e quelli oggetto della sentenza sub 2). Escludeva di poter riconoscere una maggior detrazione per presofferto dalla pena di anni tredici e mesi quattro di reclusione, infli reato commessi sino al giugno 2006.
1.3 Ricorreva per cassazione questa volta il condannato COGNOME lamentando la violazione dell’ art. 623 cod. proc. pen. per non essersi attenuto il giudice dell’ esecuzi compito delineato nella sentenza di annullamento della Corte di cassazione ed avere applicato un principio non affermato dal giudice di legittimità.
1.4 Con sentenza in data 20 febbraio 2018 la Corte di cassazione, quinta sezione penale, annullava con rinvio anche l’ ordinanza del 13 ottobre 2017, riconoscendo che i giudice dell’ esecuzione aveva effettivamente travalicato i limiti fissati nella sent annullamento, per cui avrebbe dovuto decidersi solamente se il periodo di presofferto potess essere scomputato, oppure se fosse imputabile ad una pena inflitta con un titolo diverso d quello oggetto della domanda proposta quale incidente di esecuzione.
1.5 Con ulteriore provvedimento emesso in sede di rinvio la Corte di appello di Catania
confermava in anni tredici e mesi quattro di reclusione la pena detentiva residua che lo Stra doveva espiare.
1.6 Ricorre nuovamente l’ interessato a mezzo del difensore, il quale lamenta violazione ed erronea applicazione della legge penale, di norme processuali e vizio motivazione in relazione al disposto degli artt. 628, 623, comma 1, 624, comma 1, e 627, comma 3, cod. proc. pen., chiedendo l’ annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato. Secondo la difesa il giudice dell’ esecuzione non si è attenuto a quanto richies dalla Suprema Corte e non ha indicato in modo puntuale i titoli ed i periodi del presoffert ha rilevato in modo corretto la irrilevanza, perché non pertinente, del cumulo del 5 aprile rispetto alla determinazione della pena da espiare per i titoli considerati. Erroneament Corte di appello ha ritenuto di poter riesaminare di nuovo la domanda proposta in data 19 novembre 2015 avanzata dalla difesa dello Strano come se la sentenza di annullamento avesse eliminato tutti i provvedimenti sino a quel momento assunti dalla Corte di appello, ment avrebbe dovuto fare riferimento unicamente al provvedimento dell’ 1 aprile 2016, che aveva determinato la pena da espiare in anni 10 e mesi 10 di reclusione. Al contrario, c I’ escamotage di ripartire dall’ esame della prima istanza, si è riproposto il ragionamento esposto nel provvedimento annullato senza tener conto di quanto devoluto.
1.7 Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Considerato in fatto
Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi che sono manifestamente infondati e non si confrontano con le argomentazioni esposte nel provvedimento impugnato.
Dopo avere premesso che la questione devoluta alla sua cognizione quale giudice dell’ esecuzione riguardava la corretta individuazione della pena da espiare in relazione reati giudicati con le sentenze, pronunciate dalla Corte di appello di Catania il 16 marzo 1 ed il 17 luglio 2014 e dalla Corte di Assise di appello di Catania il 21 dicembre 1999 e unificati per continuazione in sede esecutiva con quantificazione in complessivi anni quindic mesi quattro di reclusione della pena complessiva, la Corte distrettuale ha rilevato che: a pena inflitta con la sentenza del 17 luglio 2014 non era stata eseguita; b) doveva ritenersi espiata la pena di un anno di reclusione, inflitta con la sentenza della Corte di Assise di ap di Catania del 21 dicembre 1999 ed applicata quale aumento per continuazione sulla pena per il reato giudicato con la precedente sentenza della Corte di appello di Catania del 16 mar 1985, mediante imputazione del periodo di custodia cautelare dal 10 gennaio 1989 al 10 gennaio 1990, patito per altra causa non seguito da condanna; c) era stata già espiata dal 2
febbraio 1986 al 28 maggio 1990 per anni quattro, mesi tre e giorni sei anche la pena infli con la sentenza del 16 marzo 1985. Ha quindi concluso che, una volta formatosi il cumulo giuridico per effetto del riconoscimento in sede esecutiva della continuazione tra i giudicati con le tre predette sentenze di condanna e determinata la pena complessiva in misura inferiore al cumulo materiale, la differenza non può essere in via automatica imputata alla pe da eseguire. Ad avviso della stessa Corte deve, infatti, farsi applicazione del criterio d dall’ art. 657, comma 4, cod. proc. pen., secondo il quale vanno computate soltanto l custodia cautelare e la pena espiata sine titulo dopo la commissione del reato e per pot compiere tale operazione è necessario procedere in via preliminare allo scioglimento de cumulo giuridico.
In conseguenza di tali premesse, ha stabilito che la pena per il reato di cui all 416-bis cod. pen., commesso sino all’ 1 giugno 2006 e giudicato con la sentenza della Corte di appello di Catania del 17 luglio 2014, deve essere interamente espiata per l’ impossibilit scomputare dalla stessa il periodo di carcerazione subita dal 23 febbraio 1986 al 28 maggio 1990 in esecuzione delle sanzioni detentive inflitte allo Strano per reati commessi nel 198 nel 1986, quindi in epoca antecedente alla commissione del delitto associativo.
2.L’ impugnazione incentra le proprie obiezioni su un’ unica doglianza di ordi processuale per lamentare la sottrazione da parte del giudice di rinvio all’ obbligo di att alle ragioni dell’ annullamento, disposto in sede di legittimità, della precedente determinaz esecutiva e quindi l’ illegittimo superamento del limite del devolutum e l’ eccentricità della decisione assunta rispetto al compito assegnato dalla Corte di cassazione.
2.1 II motivo è del tutto infondato e non pare tenere conto degli effetti dell pronunce rescindenti, adottate dalla Suprema Corte di cassazione, in riferimento all’ uni domanda proposta dal condannato nelle forme dell’ incidente di esecuzione.
2.1.1 Come già esposto in narrativa, il primo intervento demolitorio, adottato c sentenza n. 5518 del 17 gennaio 2017, ha eliminato l’ ordinanza che aveva inizialmente accolto l’ istanza difensiva e detratto dall’ entità della pena complessiva di anni qui mesi quattro di reclusione, frutto del riconoscimento della continuazione tra i reati giudica le tre sentenze di condanna in essa indicati, il periodo di presofferto di anni quattro e me di reclusione e ha preteso un riesame dell’ intera vicenda esecutiva da parte del giudice merito. Le ragioni del disposto annullamento con rinvio sono state individuate nell’ obiet incertezza sui titoli e sui periodi del dedotto presofferto, non specificati nel provved impugnato, sicchè la sua sottrazione dalla pena da espiare è stata apprezzata quale esito assertivo ed ingiustificato, tanto più che pena nella stessa entità quantitativa di anni qua mesi sei di reclusione era stata oggetto di un decreto di unificazione di pene concorrenti d aprile 2000, riguardanti reati diversi, rispetto al quale era necessaria una verifica in p
fatto per riscontrarne la pertinenza alla vicenda esecutiva.
Per essere stato ravvisato un difetto di motivazione, tale da non consentire di rinven la correttezza giuridica della decisione, l’ annullamento ha colpito l’ intero provvedimen assenza di un accertamento sulla validità e legalità del procedimento decisorio seguito con primo provvedimento emesso dal giudice dell’esecuzione.
2.1.2 La successiva ordinanza emessa nel conseguente primo giudizio di rinvio ha subito la medesima sorte per il disposto annullamento da parte della quinta sezione di quest Corte, la quale con la sentenza n. 10553 del 2018 ha riscontrato la medesima carenza, già motivo della precedente pronuncia rescindente ed il mancato assolvimento del compito da questa assegnato al giudice di rinvio di “indicare in maniera precisa i titoli ed il pe presofferto al fine di chiarire se il presofferto di anni quattro e mesi sei doveva decurtars pena complessiva in esecuzione, oppure non poteva computarsi in quanto afferente al provvedimento di cumulo del 5/4/2000” .
2.2 La successione delle decisioni adottate in sede di legittimità e le rel motivazioni convincono dell’ insussistenza di un vincolo cognitivo vedente sui profili giur della vicenda esecutiva , imposto al giudice di rinvio, per non essere stato espresso entrambe le pronunce di cassazione un principio giuridico, oggetto di obbligator uniformazione ed essere stato piuttosto richiesto un riesame dei presupposti fattuali de domanda in riferimento al tema specifico della legittima deducibilità del presofferto dalla unica cumulata.
2.3 Considerata l’ ordinanza contestata in base a siffatte premesse, ritiene la Corte non poter riscontrare i vizi denunciati dalla difesa. La Corte distrettuale ha offerto r puntuale e pertinente alla domanda del condannato e ha assolto al compito demandatole dal giudice di legittimità, poiché ha escluso che il presofferto coincidesse con la pena oggetto decreto di unificazione di pene concorrenti del 5 aprile 2000 e, sulla scorta dei dati conos offerti dall’ istruttoria documentale, ha negato di poter sottrarre quel periodo di detenzio patito per ragioni giuridiche, correttamente esposte ed applicate.
Diversamente da quanto argomentato in ricorso, resta escluso che la considerazione dell’ istanza proposta dallo Strano possa definirsi un “escamotage” , un mero pretesto pe eludere un preciso limite alla potestà delibativa del giudice dell’ esecuzione come circoscr dal pronunciamento rescindente: nel procedimento risulta proposta, non una prima domanda, ma una sola domanda da parte del condannato e questa è stata doverosamente presa in esame nell’ esercizio dei poteri cognitivi conferiti dal giudice di merito, che ha colm lacuna due volte segnalata dalla Corte di cassazione. Non giova dunque al ricorrente contestare che si sia ripartiti dalla prima istanza difensiva, poiché la stessa ha prospe I’ unico thema decidendum del procedimento, che sino all’ ordinanza impugnata è rimasto
privo di una determinazione definitiva, anche parziale, per la mancata formazione del giudicat progressivo, posto che le due pronunce di annullamento hanno rimosso totalmente entrambi i precedenti provvedimenti e conferito al giudice dell’ esecuzione nella pienezza dei pro poteri decisori il compito di pronunciarsi sulla fondatezza dell’ incidente nel rispe parametri normativi di riferimento.
2.4 Ed è quanto ha doverosamente compiuto la Corte di appello di Catania con la decisione che rispetta in modo puntuale e corretto i principi di diritto già fissati da quest di legittimità.
2.4.1 econdo costante indirizzo interpretativo di questa Corte (Cass. sez. 1, n. 4525 del 27/09/2013, Sapia, rv. 257618; sez. 1, n. 8109 del 11/02/2010, RAGIONE_SOCIALE, rv. 246383 sez. 1, n. 25186 del 17/02/2009, Bernardo, rv. 243809; Sez. 1, n. 1680 del 06/03/2000, COGNOME, rv. 216418), sul presupposto che il reato continuato, frutto di una fictio juris, “può considerarsi reato unico solo ai fini specificamente previsti dalla legge, mentre va conside come pluralità di reati agli effetti dell’art. 137 c.p. e art. 657 c.p.p., comma 4, ove si problemi di fungibilità tra le carcerazioni sofferte per i singoli reati unificati ex a (Cass., sez. 1, n. 3228 del 6/7/1992, COGNOME, rv 191589; sez. 1, n. 367 del 16/2/19 Scaglione, rv. 183652), si è affermato che il riconoscimento in sede esecutiva del continuazione tra più reati con la conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale, non comporta che la differenza c formatasi sia automaticamente imputata alla detenzione da eseguire. Anche in detta eventualità opera il disposto dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., secondo cui a tal vanno computate solo custodia cautelare sofferta e pene espiate sine titulo dopo la commissione del reato e si deve conseguentemente scindere il reato continuato nelle singole violazioni che lo compongono. Il principio di diritto così riassunto è la conseguenza della re per cui la pena non può precedere il reato, ma solo seguirlo ed esso riceve esplicitazio proprio nell’art. 657 citato (in tal senso ex multis sez. 1, n. 1680 del 9/6/2000, Palomb 216418; sez. 4, n. 27948 dell’11/7/2001, P.m. in proc. COGNOME, rv. 219607). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.4.2 Né si pongono dubbi di incostituzionalità suscitati dalla linea esegeti propugnata nel!’ ordinanza impugnata, posto che la specifica tematica è stata risolta in term negativi dalla Corte costituzionale in plurime pronunce. Con la sentenza n. 198 del 27/7/20 ha dichiarato non fondata la questione di illegittimità costituzionale dell’ art. 657, co cod. proc. pen., che era stata sollevata in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, terzo comma, della Costituzione perché, a parità di situazioni, la possibilità di “compensar la pena da espiare con l’ ingiusta carcerazione già subita verrebbe a dipendere da un fatto meramente casuale di natura temporale, quale la circostanza che l’ ingiusta carcerazione segua, e non già preceda, la commissione del reato per il quale deve essere determinata la
pena da eseguire. E’ stato osservato al riguardo che la previsione normativa censurata trova giustificazione sotto due distinti profili:
-è imposta dall’ esigenza di evitare che l’ istituto della fungibilità si risolva in uno commettere reati, trasformando il pregresso periodo di carcerazione in una “riserva d impunità” utilizzabile per elidere le conseguenze di futuri illeciti penali, mentre perse scopo di porre rimedio a disfunzioni del sistema giudiziario e di compensare chi ne abbia pati le conseguenze in termini di privazione della libertà personale, poi rimasta priva di v titolo;
-la pena in ogni caso, seppur scontata mediante l’ imputazione ad essa del periodo di ingiusta detenzione sofferta per altro reato, per assolvere alle funzioni preventive e di recu del reo che le sono attribuite dall’ ordinamento, deve sempre seguire, e non precedere, il f criminoso cui accede e che mira a sanzionare.
Si è quindi escluso che la norma scrutinata confligga col principio di eguaglianza p irragionevole disparità di trattamento, poiché la situazione di chi ha sofferto la cu cautelare, o espiato una pena senza titolo, dopo la commissione di altro reato non corrispond a quella di chi l’ ha subita o eseguita anteriormente; né con l’ art. 13 Cost. perché sacrif libertà individuale a ragione dell’ esigenza di non incentivare la commissione di ulterior criminosi, contando su una sostanziale impunità, e di non stravolgere le funzioni di prevenzio e di emenda della pena e nemmeno con l’ art. 27 Cost. per l’ impossibilità di concepire u funzione rieducativa in relazione a reati che debbano essere ancora commessi.
La medesima questione è stata nuovamente esaminata in rapporto agli stessi referenti normativi costituzionali con l’ ordinanza n. 117 del 12/4/2017, che ha dichiarato la manife infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 657, comma 4, e 67 codice di procedura penale e dell’ art. 81, secondo comma, del codice penale, nella parte i cui non consentirebbero ai Giudice dell’ Esecuzione, una volta ritenuta la continuazione reati per i quali la pena è espiata e reati per i quali è in corso di espiazione, uno dei natura permanente, di applicare l’ istituto della fungibilità. Il quesito rivolto al Giud leggi, analogo alle censure mosse dal ricorrente, riguardava un caso di continuazione, d riconoscere in sede esecutiva, tra un delitto associativo ed i relativi reati fine, nel giudice rimettente aveva individuato possibili profili di attrito tra l’ art. 657 cod. p comma 4, e gli artt. 3, 13 e 27 Cost. perché, a fronte dell’ individuazione della d commissione del reato associativo come precedente la carcerazione sine titulo per i reati-fine, la scelta legislativa di non privilegiare il favor libertatis non potrebbe essere giustificata con il timore che l’ interessato si costituisca un “credito di pena” da spendere per consegu I’ impunità per reati successivamente commessi. La Consulta, nel richiamare i principi gi espressi con la sentenza n. 198/2014, ha affermato che l’ art. 657 “non contiene, in alc
modo, regole irragionevolmente discriminatorie” e ha riscontrato la conformità ai prece costituzionali dell’ interpretazione offerta dalla Corte di cassazione, in quanto il dato per l’ applicazione della disciplina della fungibilità è costituito dalla data di commissi reato, non quella del suo accertamento, anche se si tratti di reato permanente. In assenza qualsiasi indicazione normativa contraria, la soluzione giurisprudenziale “non soffre eccezi nel caso in cui il “credito di pena” utilizzabile in compensazione derivi – come generalme si ammette (Corte di cassazione, sezione prima, 11 febbraio-1° marzo 2010, n. 8109; Corte di cassazione, sezione prima, 17 febbraio-17 giugno 2009, n. 25186) – dall’ applicazione sede esecutiva della continuazione tra più reati oggetto di separate condanne; né nel caso cui il reato al quale si riferisce la pena da eseguire sia un reato associativo: fermo restand – secondo un consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità – nei reati perma (quali appunto quelli associativi) l’ anteriorità del reato alla carcerazione ingiust sofferta deve essere verificata avendo riguardo al momento di cessazione della permanenza, e non a quello del suo inizio” . Pertanto, ha ribadito la piena coerenza con i param costituzionali dell’ orientamento esegetico che nega la compensazione tra pena da espiare e periodo di detenzione ingiusta già sofferto, anche se questo derivi dall’ unificazione continuazione dei reati Separatamente giudicati, nel senso che soltanto “ove il giud dell’ esecuzione verifichi (nel rispetto degli accertamenti già svolti in sede cognitiva reato associativo, con pena da espiare, è stato commesso – nei sensi dianzi precisati – in epo anteriore alla carcerazione sine titulo patita per i reati-fine dell’ associazione, egli de sconnputare senz’ altro quest’ ultima dalla pena relativa al primo reato, quale che sia la del suo accertamento” , escludendo tale beneficio nel caso opposto.
In definitiva, tenuto conto di tali illuminanti rilievi e della già riconosciut legittimità dell’interpretazione della norma regolatrice, accolta dal giudice dell’esecuzi ricorso, palesemente infondato in tutte le sue deduzioni, va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, stante i profili di colpa insiti nella proposizione di siffatta impugnazione, anche al versamento di sanzi pecuniaria, che si reputa equo determinare in euro 3.000,00.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro 3.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2019.