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Fungibilità della pena: i limiti per reati associativi

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un condannato che chiedeva l’applicazione della fungibilità della pena. La richiesta è stata respinta perché i reati associativi per cui si chiedeva lo scomputo erano considerati una condotta unitaria e perdurante, non ancora conclusa al momento dell’inizio della carcerazione per un altro reato. La decisione si fonda sul principio che il giudice dell’esecuzione non può modificare la valutazione dei fatti coperta da giudicato.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fungibilità della pena: la Cassazione chiarisce i limiti in caso di reati associativi

Il principio della fungibilità della pena rappresenta un cardine del nostro sistema esecutivo, consentendo di scomputare un periodo di detenzione già sofferto da una pena ancora da espiare. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e incontra precisi limiti, come chiarito da una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 10606 del 2024. Il caso in esame ha riguardato la richiesta di un condannato di vedere riconosciuta la fungibilità tra una pena espiata per un singolo reato e quella inflitta per gravi reati associativi. La Corte ha respinto il ricorso, stabilendo un importante principio sulla non scindibilità della condotta criminosa associativa.

I fatti del caso

Un soggetto, condannato in via definitiva per un reato legato agli stupefacenti commesso nel marzo 2011, chiedeva al giudice dell’esecuzione di attribuire la pena già espiata per tale delitto (pari a due anni, dieci mesi e venti giorni) a titolo di fungibilità della pena da scontare per altri reati. Questi ultimi, di natura associativa (ex artt. 416-bis c.p. e 74 D.P.R. 309/90), erano stati posti in continuazione con il primo reato in una successiva sentenza.

Il ricorrente sosteneva che, poiché il cumulo pene aveva considerato solo una piccola parte del periodo di detenzione sofferto (otto mesi), la restante parte dovesse essere scomputata dalla pena complessiva. La Corte di appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva però respinto la richiesta, rilevando un elemento cruciale: la condotta associativa non si era mai interrotta.

La decisione della Corte sulla fungibilità della pena

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, ritenendo il ricorso infondato. Il punto centrale della pronuncia risiede nella valutazione della continuità e unitarietà dei reati associativi contestati.

Condotta unitaria e giudicato come ostacoli alla fungibilità

La sentenza di condanna per i reati associativi aveva considerato le diverse condotte criminose come un’unica entità, senza operare una segmentazione temporale e senza applicare aumenti di pena per la continuazione interna tra i due reati associativi. Questa valutazione, coperta dall’autorità del giudicato, non poteva essere rimessa in discussione in sede esecutiva. Di conseguenza, i due reati associativi sono stati trattati come un’unica condotta criminosa ininterrotta.

Il principio dell’art. 657, comma 4, c.p.p.

La Corte ha inoltre richiamato un principio fondamentale sancito dall’art. 657, comma 4, del codice di procedura penale: i periodi di custodia cautelare sofferti dopo la commissione di un reato non possono essere computati per la pena da eseguire per quel medesimo reato. Nel caso di specie, la condotta associativa era ancora in corso quando il ricorrente fu arrestato per il reato di spaccio nel 2011. Pertanto, la carcerazione successiva a tale data non poteva essere considerata ‘fungibile’ con la pena per i reati associativi, poiché questi non si erano ancora conclusi.

Le motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte Suprema poggiano su un’interpretazione rigorosa del concetto di giudicato e dei limiti del potere del giudice dell’esecuzione. I giudici hanno chiarito che la richiesta del ricorrente avrebbe presupposto l’esistenza di due distinti periodi criminali e due pene separate per le associazioni, cosa che la sentenza di condanna aveva escluso, trattando il tutto come un’unica condotta perdurante. Il giudice dell’esecuzione non ha il potere di rivedere tale accertamento di merito. La Corte ha specificato che la sua precedente pronuncia (n. 47738/2022), che aveva annullato una prima ordinanza, si era limitata a statuire sulla competenza del giudice dell’esecuzione, senza entrare nel merito del diritto alla fungibilità. La decisione finale, quindi, si basa sull’insussistenza delle condizioni legali per l’applicazione della fungibilità, data la natura unitaria e continuativa dei reati associativi, come cristallizzato nella sentenza di condanna irrevocabile.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: la fase esecutiva non è una terza istanza di giudizio dove poter rimettere in discussione la struttura del reato e la sua collocazione temporale, così come accertate nel processo di cognizione. La fungibilità della pena, pur essendo un istituto di garanzia, è subordinata a presupposti oggettivi, tra cui la chiara distinzione temporale tra i reati e i periodi di detenzione. Quando si è in presenza di un reato associativo permanente, la cui condotta si protrae nel tempo, diventa impossibile applicare la fungibilità per periodi di carcerazione sofferti mentre il reato era ancora in corso. La decisione rafforza la stabilità del giudicato e delimita con chiarezza l’ambito di intervento del giudice dell’esecuzione.

È possibile utilizzare il carcere scontato per un reato per ‘pagare’ la pena di un altro reato?
Sì, questo meccanismo è noto come ‘fungibilità della pena’. Tuttavia, la sua applicazione è soggetta a condizioni precise, come la posteriorità del reato per cui si chiede lo scomputo rispetto al periodo di detenzione già sofferto.

Perché in questo caso la richiesta di fungibilità della pena è stata negata?
La richiesta è stata respinta perché i reati associativi erano stati giudicati come una condotta criminale unica e ininterrotta. Poiché questa condotta era ancora in corso al momento della detenzione sofferta per un altro reato, non era possibile, secondo l’art. 657, comma 4, c.p.p., scomputare quel periodo di carcerazione dalla pena relativa al reato associativo.

Il giudice dell’esecuzione può rimettere in discussione come un reato è stato valutato nella sentenza di condanna?
No. Il giudice dell’esecuzione è vincolato dal ‘giudicato’, ovvero dalla decisione definitiva e irrevocabile del giudice della condanna. Non può quindi modificare la valutazione sulla natura unitaria o sulla collocazione temporale di un reato già accertata nella sentenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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