Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46632 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46632 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a CAMPOREALE il 25/05/1962
avverso l’ordinanza del 12/04/2024 del TRIBUNALE di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG. M. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in preambolo il Tribunale di Palermo, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata da NOME COGNOME volta a ottenere la rideterminazione della decorrenza della pena dalla data di commissione dei fatti oggetto della condotta associativa giudicata con la sentenza in data 11 ottobre 2001 della Corte di appello di Palermo e il conseguente riconoscimento della pena espiata sine titulo, da computarsi sulla pena di cui all’ordine di esecuzione emesso dalla Procura della Repubblica presso lo stesso Tribunale, ai sensi dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen.; tanto quale conseguenza dell’avvenuto riconoscimento del vincolo della continuazione e, dunque, dell’assorbimento in detta sentenza dei reati associativi di cui alla sentenza emessa dalla Corte di Assise di appello Palermo in data 12 febbraio 2020 e di cui alle sentenze della Corte di appello di Palermo, rispettivamente in data 12 luglio 2002 e 10 ottobre 2005.
Il Giudice dell’esecuzione, a ragione della decisione ha in primo luogo ricostruito dettagliatamente i periodi di detenzione del condannato, nonché le sentenze irrevocabili e i provvedimenti di unificazione di pene concorrenti emessi nei suoi riguardi, infine ha richiamato il provvedimento con cui era stato riconosciuto il vincolo della continuazione tra i fatti di cui alle sentenze di cui ai n. 1, 2 e 3 dell’elenco contenuto nello stesso provvedimento; quindi – illustrate le censure opposte dalla difesa, che si doleva della mancata detrazione del periodo di pena già scontato, e richiamati condivisi principi di diritto espressi nella giurisprudenza di legittimità – ha rilevato (p. 4) che tutte le pene comminate per i reati posti in continuazione erano state espiate in epoca antecedente alla commissione del reato per cui COGNOME è attualmente ristretto e che il condannato aveva già beneficiato della fungibilità della pena espiata in eccesso dall’Il dicembre 2013 al 28 gennaio 2016 (due anni, un mese e ventotto giorni) come risultante dal provvedimento di rideterminazione della pena n. 394 del 2021.
Concludeva, dunque, che non residuavano altri periodi di detenzione patiti dal condannato sine titulo dopo la commissione dei reati per i quali sono state inflitte le pene tuttora in esecuzione.
Avverso detta ordinanza ricorre per cassazione COGNOME per mezzo dei suoi difensori, e deduce un unico, articolato motivo.
Denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale e processuale in riferimento agli artt. 125, 663 e 657, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui il Giudice dell’esecuzione ha confermato la decorrenza della pena alla data del 15
novembre 2016 e ha ritenuto non sussistenti i presupposti per l’applicazione dell’istituto della fungibilità.
Il ricorrente cita a sostegno di dette censure ampia giurisprudenza di legittimità in tema di fungibilità nel caso di riconoscimento della continuazione reato permanente e lamenta che il Giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di considerare che la pena per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., commesso fino alla data del 14 aprile 1998, giudicato con la sentenza del 12 luglio 2002, non era stata ancora espiata al momento della commissione del reato giudicato con la sentenza dell’il ottobre 2020, posto in essere il 24 dicembre 1999; di qui, il diritto del condannato a fruire dell’istituto invocato.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME NOME COGNOME intervenuto con requisitoria scritta in data 19 agosto 2024, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONDIDEFtATO IN DIRITTO
Il ricorso, che deduce censure infondate, dev’essere rigettato.
L’art. 657, comma 4, cod. proc. pen. limita la possibilità di computare la custodia cautelare subita o la pena espiata per reato diverso al dato cronologico che la custodia e la espiazione anzidette siano successive alla commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire.
2.1. La giurisprudenza di legittimità, nel rappresentare che la ratio di tale limitazione, costantemente riaffermata, è quella di non consentire ad alcuno di fruire di crediti di pena che possano agevolare la commissione di fatti criminosi nella consapevolezza dell’assenza di conseguenze sanzionatorie (tra le altre, Sez. 1, n. 12937 del 12/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266181; Sez. 1, n. 9277 del 01/03/2006, COGNOME, Rv. 233589; Sez. 1, n. 5537 del 11/11/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212215), ha rimarcato che l’indicato principio trova applicazione anche nel caso in cui il c.d. «credito di pena» si sia formato a seguito del riconoscimento della continuazione fra taluni reati, con la conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale (tra le altre, Sez. 1, n. 25186 del 17/02/2009, Bernardo, Rv. 243809), e che, ove si pongano problemi di fungibilità tra le carcerazioni sofferte per i singoli reati unificati ex art. 81 cod. pen., il reato continuato, che può considerarsi reato unico solo ai fini specificamente previsti dalla legge, deve essere scisso nelle singole violazioni che lo compongono, sì da potersi individuare quelle commesse prima della detenzione senza titolo e stabilirsi l’aliquota di sanzione del relativo frammento di aumento per la continuazione per far luogo alla fungibilità,
stabilendosi, quindi, la parte di custodia cautelare o di pena inutilmente sofferta (ex multís, di recente Sez. 1, n. 17531 del 22/02/2023, COGNOME, Rv. 284435; Sez. 6, n. 48644 del 27/09/2017, COGNOME, Rv. 271651; Sez. 1, n. 45259 del 27/09/2013, Sapia, Rv. 257618).
2.3. Lo sbarramento temporale, fissato dall’indicata norma, è stato anche ritenuto non in contrasto con gli artt. 3, 13, primo comma, e 27, terzo comma, Cost. dalla Corte costituzionale che, con sentenza n. 198 del 2014, ha dichiarato non fondata la sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., rilevando che detto sbarramento «è imposto dall’esigenza di evitare che l’istituto della fungibilità si risolva in uno stimolo a commettere reati, trasformando il pregresso periodo di carcerazione in una “riserva di impunità”; esso risponde inoltre, prima ancora, alla fondamentale esigenza logico-giuridica che la pena segua, e non già preceda, il reato, essendo questa la condizione indispensabile affinché la pena possa esplicare le funzioni sue proprie, e particolarmente quelle di prevenzione speciale e rieducativa». Detti principi sono stati ribaditi dal Giudice delle leggi che si è espresso con ordinanza n. 117 del 2017, dichiarando la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 657, comma 4, e 671 del codice di procedura penale e dell’art. 81, secondo comma, cod. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, 24, quarto comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.
3. Ed è a tali principi che si è correttamente uniformata l’ordinanza impugnata.
Il Giudice dell’esecuzione – preso atto della già riconosciuta continuazione tra i reati giudicati con le sentenze di cui ai n. 1, 2, e 3 dell’elenco contenuto nel provvedimento impugnato e dell’operata rideterminazione della pena, confermando l’ordine di esecuzione per la carcerazione – ha osservato che, nella determinazione della pena detentiva da eseguirsi da parte del ricorrente, non fosse possibile scomputare il periodo di detenzione espiato in esecuzione delle suindicate sentenze di condanna, siccome detta espiazione aveva preceduto la commissione del reato per il quale era stata determinata la pena da eseguire.
Segnatamente, muovendo dai dati concreti richiamati a p. 4 del provvedimento, ha ribadito che le pena delle sentenze ritenuteunificate ex art. 81 cod. pen. erano state già eseguite, ciò che imponeva di limitare la valutazione sull’eventuale pena sofferta sine título a quella di cui alla sentenza sub. 4.
Osservava – con motivazione scevra da fratture logiche e non avversata se non apoditticamente dal ricorrente – che tale pena era stata cumulata con quella di cui all’ultimo reato commesso, dunque ancora in espiazione, non risultando altri periodi di detenzione senza titolo sofferti dal condannato dopo la commissione dei reati in ordine ai quali gli erano state inflitte le pene tuttora in esecuzione,
rimarcando che egli aveva già beneficiato della fungibilità per il periodo successivo al novembre 2013.
Poiché l’ultimo reato commesso dal condannato era quello del 4 luglio 2016, di cui alla sentenza del 2018, la cui pena risulta ancora in espiazione essendo stata cumulata con quella di cui alla sentenza n.4, la data di decorrenza fissata nel provvedimento di esecuzione di pene concorrenti doveva ritenersi corretta.
Si tratta di motivazione rispettosa del principio, espressamente richiamato nel provvedimento, secondo cui, ai fini della determinazione della pena detentiva da eseguire, in relazione al computo della custodia cautelare o della pena subita sine titulo «in caso di più fatti in continuazione commessi in tempi diversi, deve aversi riguardo alla data di consumazione di ciascun reato e alla corrispondente porzione di pena inflitta ed espiata – ,Sez. 1, n. 36859 del 08/06/2021, COGNOME, Rv. 282033).
Detta motivazione, dunque, esente da vizi logici e giuridici, resiste alle osservazioni e deduzioni difensive, che reclamano, in termini di contrapposizione argomentativa, una diversa lettura del dato risultante dai provvedimenti di esecuzione di pene concorrenti e finiscono per porsi in contrasto con il consolidato principio che è a base della fungibilità della pena, secondo cui la pena non può precedere il reato, ma solo seguirlo.
Il ricorso, alla stregua delle svolte considerazioni, deve essere, conclusivamente, rigettato.
Al rigetto consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 26 settembre 2024