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Fungibilità della pena: i limiti e il divieto di impunità

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un condannato che chiedeva di detrarre un periodo di detenzione già scontato da una nuova pena per reati commessi successivamente. La sentenza ribadisce il principio della non retroattività della fungibilità della pena, stabilito per evitare la creazione di ‘riserve di impunità’ e per garantire che la sanzione segua, e non preceda, la commissione del fatto illecito.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fungibilità della pena: la Cassazione ribadisce che non si accumulano “crediti” per futuri reati

Il concetto di fungibilità della pena rappresenta un importante principio di equità nel nostro ordinamento, consentendo di detrarre un periodo di carcerazione sofferto ingiustamente da una pena da espiare. Tuttavia, la sua applicazione non è illimitata. Con la sentenza n. 46632/2024, la Corte di Cassazione ha riaffermato un paletto invalicabile: la detenzione già subita non può essere utilizzata come un “credito” per reati commessi in un momento successivo. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale volto a prevenire la creazione di “riserve di impunità” e a preservare la funzione rieducativa e di prevenzione della pena.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso di un condannato che, a seguito del riconoscimento del vincolo della continuazione tra diversi reati, aveva ottenuto una rideterminazione della pena complessiva. L’uomo sosteneva che un periodo di detenzione, patito in relazione a reati commessi in passato e già interamente espiati, dovesse essere scomputato dalla pena che stava attualmente scontando per un reato commesso in epoca successiva. In pratica, chiedeva che il tempo passato in carcere per vecchi delitti venisse considerato un anticipo sulla sanzione per un nuovo crimine.

Il Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Palermo aveva rigettato l’istanza, sottolineando che tutte le pene relative ai reati più datati erano state completamente espiate prima della commissione dell’ultimo reato. Di conseguenza, non vi erano periodi di detenzione sofferti sine titulo da poter detrarre. Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte e la Fungibilità della pena

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando in toto la decisione del giudice di merito. Gli Ermellini hanno ribadito la corretta applicazione dell’art. 657, comma 4, del codice di procedura penale. Questa norma pone un limite cronologico preciso all’istituto della fungibilità della pena: la custodia cautelare o la pena espiata per un diverso reato possono essere computate solo se successive alla commissione del reato per il quale si deve eseguire la pena.

La logica è cristallina: la sanzione penale deve seguire il reato, non precederlo. Consentire il contrario significherebbe trasformare un periodo di detenzione già sofferto in una sorta di “bonus” o “riserva di impunità”, che potrebbe incentivare la commissione di nuovi crimini nella convinzione di avere un “credito di pena” da spendere. Tale logica snaturerebbe completamente le funzioni della pena, in particolare quelle di prevenzione speciale e rieducazione sancite dall’articolo 27 della Costituzione.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su un consolidato orientamento giurisprudenziale, supportato anche dalla Corte Costituzionale. Il principio cardine è che la pena non può mai precedere il fatto illecito. Questo sbarramento temporale è considerato indispensabile affinché la pena possa svolgere le sue funzioni. La Corte ha chiarito che, anche in caso di riconoscimento della continuazione tra più reati, è necessario distinguere le singole violazioni e le relative date di commissione.

Nel caso specifico, la detenzione relativa ai primi reati si era conclusa prima della commissione dei reati successivi. Pertanto, al momento della nuova condotta criminosa, il soggetto non aveva alcun “credito di pena” residuo. La Corte ha specificato che il condannato aveva già beneficiato in passato della fungibilità per un periodo di detenzione eccedente, ma tale beneficio era stato correttamente calcolato rispetto ai reati commessi fino a quel momento. Non era possibile estenderlo a reati futuri.

La sentenza sottolinea come la motivazione del giudice dell’esecuzione fosse logica e priva di vizi, avendo correttamente applicato il principio secondo cui, per determinare la pena da eseguire, si deve avere riguardo alla data di consumazione di ciascun reato e alla porzione di pena ad esso corrispondente.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza n. 46632/2024 rafforza un principio fondamentale del diritto dell’esecuzione penale: la fungibilità della pena non opera retroattivamente per il futuro. Un condannato non può “accumulare” periodi di detenzione da utilizzare per compensare pene relative a reati che commetterà in seguito. Questa pronuncia riafferma l’esigenza logico-giuridica che la pena segua il reato, preservando così l’efficacia deterrente e rieducativa del sistema sanzionatorio. La decisione chiarisce che il riconoscimento del reato continuato non crea un’entità unica indistinta, ma richiede una valutazione attenta delle singole condotte e della loro collocazione temporale ai fini del calcolo della pena espianda.

Cos’è la fungibilità della pena?
È il principio giuridico che consente di detrarre un periodo di custodia cautelare o di pena già scontato (ad esempio, per un reato per cui si è stati poi assolti) dalla pena da eseguire per un altro reato.

È possibile utilizzare un periodo di detenzione già scontato per ridurre la pena di un reato commesso successivamente?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la detenzione può essere computata solo se è successiva alla commissione del reato per il quale si deve eseguire la pena. La pena non può mai precedere il fatto illecito.

Perché esiste questo limite temporale alla fungibilità della pena?
Questo limite, previsto dall’art. 657, comma 4, c.p.p., esiste per evitare che un periodo di carcerazione si trasformi in una “riserva di impunità”, che potrebbe incoraggiare la commissione di nuovi reati. Serve a garantire che la pena mantenga la sua funzione di prevenzione e rieducazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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