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Fungibilità della pena e reato permanente: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha negato l’applicazione della fungibilità della pena a un condannato per associazione a delinquere. La richiesta di detrarre un periodo di custodia cautelare sofferto in precedenza è stata respinta perché il reato, essendo di natura permanente, si è protratto anche dopo il periodo di detenzione, venendo meno il presupposto temporale richiesto dalla legge.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fungibilità della pena: quando la detenzione ingiusta non si può scontare

L’istituto della fungibilità della pena, previsto dall’articolo 657 del codice di procedura penale, rappresenta un importante principio di equità del nostro sistema giudiziario. Esso consente di ‘recuperare’ un periodo di detenzione preventiva sofferto ingiustamente, detraendolo da una pena che si deve espiare per un altro reato. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e dipende da precise condizioni temporali, come chiarito da una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha affrontato il delicato rapporto tra questo istituto e i reati di natura permanente.

I fatti del caso

Un individuo, condannato in via definitiva per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis c.p.), ha presentato un’istanza al giudice dell’esecuzione. La sua richiesta era di applicare la fungibilità della pena, chiedendo di detrarre dalla sua condanna un periodo di custodia cautelare che aveva subito ‘senza titolo’ tra il 2008 e il 2009.

La difesa sosteneva che l’adesione dell’imputato al sodalizio criminale fosse avvenuta già nel 2004-2005, quindi prima del periodo di detenzione in questione, rendendo così applicabile il beneficio. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva respinto la richiesta, sottolineando che il reato contestato era proseguito ben oltre il periodo di detenzione, con prove di partecipazione attiva del condannato ad attività criminali negli anni 2010, 2011 e 2012.

La decisione sulla fungibilità della pena

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, dichiarando il ricorso infondato. Gli Ermellini hanno ribadito un principio giurisprudenziale consolidato: la fungibilità della pena non è applicabile ai reati permanenti quando la condotta criminale cessa dopo il periodo di detenzione ‘senza titolo’.

Il cuore della questione non risiede nel momento in cui il reato ha avuto inizio, ma nel momento in cui è cessato. Poiché l’appartenenza del ricorrente all’organizzazione criminale si è protratta anche dopo il 2009, il reato non può considerarsi commesso interamente ‘prima’ della custodia cautelare di cui si chiedeva il computo.

Le motivazioni della Cassazione: il principio sul reato permanente

La motivazione della sentenza si basa sulla natura specifica del reato permanente. A differenza di un reato istantaneo (come un furto, che si consuma in un preciso momento), un reato permanente come l’associazione a delinquere si protrae nel tempo. La condotta illecita continua finché l’autore non cessa la sua partecipazione al sodalizio.

La Corte ha stabilito che, ai fini dell’articolo 657 c.p.p., il presupposto fondamentale è che il reato per cui si sconta la pena sia stato commesso prima dell’inizio della custodia cautelare ‘senza titolo’. Nel caso di un reato permanente, questa condizione è soddisfatta solo se l’intera condotta, inclusa la sua cessazione, è anteriore alla detenzione. Poiché nel caso di specie la permanenza nel reato è continuata dopo il periodo di detenzione (2008-2009), la condizione non era rispettata. L’argomentazione difensiva, incentrata sull’inizio dell’attività criminale nel 2004, è stata ritenuta inconferente perché non teneva conto della prosecuzione della condotta.

Le conclusioni e le implicazioni pratiche

Questa sentenza riafferma un’interpretazione rigorosa dei requisiti per la fungibilità della pena in relazione ai reati permanenti. La decisione sottolinea che il momento determinante è quello della cessazione della condotta criminosa. Per chi è coinvolto in reati come l’associazione a delinquere, la possibilità di beneficiare della fungibilità è legata alla dimostrazione che la propria partecipazione al gruppo sia terminata prima dell’inizio di qualsiasi periodo di detenzione sofferto ingiustamente per altre vicende. Di conseguenza, la mera anteriorità dell’adesione al sodalizio non è sufficiente per ottenere il beneficio, se la partecipazione è proseguita nel tempo.

Cos’è la fungibilità della pena?
È un istituto giuridico che consente a una persona di detrarre un periodo di custodia cautelare, sofferto ingiustamente per un’accusa, dalla pena definitiva da scontare per un altro reato, a patto che quest’ultimo sia stato commesso prima dell’inizio della detenzione.

Perché in questo caso non è stata applicata la fungibilità della pena?
Non è stata applicata perché il reato per cui l’individuo è stato condannato (associazione a delinquere) è un ‘reato permanente’. La sua partecipazione al gruppo criminale è continuata anche dopo il periodo di custodia cautelare sofferto senza titolo (2008-2009). Di conseguenza, il reato non può considerarsi commesso interamente ‘prima’ della detenzione, come richiesto dalla legge.

Nel caso di un reato permanente, quale momento è decisivo per la fungibilità della pena: l’inizio o la fine della condotta?
Secondo la sentenza della Cassazione, per un reato permanente il momento decisivo è la cessazione della condotta illecita. Il beneficio della fungibilità può essere concesso solo se l’intera attività criminale, compresa la sua conclusione, è avvenuta prima del periodo di detenzione sofferto ‘senza titolo’.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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