Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 25964 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25964 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/12/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Palermo ha rigettato l’istanza presentata da NOME COGNOME, volta ad ottenere il riconoscimento della detrazione del presofferto nella misura di anni dieci di reclusione, in luogo di anni quattro, secondo quanto riconosciutogli con provvedimento della Procura generale presso la Corte di appello di Palermo del 25/09/2023.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo degli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME, deducendo due motivi, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., per erronea applicazione di norma di legge e mancanza della motivazione. Ha errato il Giudice dell’esecuzione nel non computare, quale presofferto, l’intero periodo di detenzione, pari ad anni dieci, trascorso i espiazione della condanna inflitta dalla Corte di assise di Caltanissetta del 13/02/1999 (cd. processo Borsellino bis), limitatamente al capo relativo al reato di associazione di stampo mafioso; tale condanna è stata unificata alle due sentenze indicate nell’ordine di esecuzione del 25/09/2023, oggetto del presente giudizio, come da provvedimento del Tribunale di Palermo del 22/06/2023. L’avvenuta unificazione sotto il vincolo della continuazione, dunque, non può che comportare la inapplicabilità della limitazione alla fungibilità, stabilita dall’art. comma 4 cod. proc. pen. La ratio del limite fissato in tale disposizione codicistica, rispetto all’operatività dell’istituto della fungibilità, risiede nell’esigenza di e la formazione di un “credito di pena”, ma è incompatibile con la fattispecie associativa ex art. 416-bis cod. pen., laddove sia stata ritenuta la continuazione fra due distinti segmenti temporali.
2.2. Con il secondo motivo, viene denunciato vizio rilevante art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, risultante dall’ordinanza e dal confronto con l’ordine d esecuzione. Il Giudice dell’esecuzione, nel provvedimento del 22/06/2023, aveva unificato in continuazione non due, bensì tre sentenze, tra cui anche quella pronunciata dalla Corte di assise di Caltanissetta nel cd. processo Borsellino bis. La pena complessiva di anni ventuno di reclusione, di cui all’avversato ordine di esecuzione, comprendeva quindi anche un aumento pari a quattro anni, inerente alla sopra detta condanna. La Procura generale avrebbe dovuto, allora, scomputare i quattro anni relativi a tale condanna, oppure – considerato che per
le due sentenze, entrambe inserite nell’ordine di esecuzione, la pena complessiva era stata determinata in anni diciassette – assumere quest’ultima quale pena base.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
L’atto di impugnazione è articolato, come precisato in parte narrativa, in due distinti motivi; questi presentano, però, una evidente matrice comune e ben si prestano alla trattazione unitaria.
2.1. Giova in primo luogo precisare che – nel caso in esame – COGNOME risulta esser stato scarcerato nel 2011; il reato di cui alla sentenza del Tribunale di Palermo del 20/12/2019 è contestato a partire dal febbraio 2015, ossia in epoca successiva, rispetto alla carcerazione subita. In ipotesi difensiva, dunque, l’applicazione del vincolo della continuazione dovrebbe determinare – nel caso di specie – la non applicabilità della limitazione alla fungibilità stabilita dall’art. comma 4 cod. proc. pen.
Viene posta, in pratica, la questione relativa alla interpretazione di tale disposizione codicistica, in ordine al seguente profilo: se il limite alla fungibil della pena, di cui all’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., operi anche nel caso di pena, sofferta sine titulo, inflitta per un reato successivamente unificato sotto il vincolo della continuazione.
2.2. Ebbene, la norma di cui all’art. 657 cod. proc. pen. pone il principio della fungibilità dei periodi di carcerazione subiti per altro reato – per applicazion di misura cautelare, ovvero per esecuzione della condanna – all’interno del computo della pena detentiva da eseguire. Al quarto comma di tale articolo, viene posto un limite di operatività dell’istituto, in forza del quale sono computabil esclusivamente i periodi di carcerazione sofferti dopo la consumazione di quel determiNOME reato, al quale si riferisce la condanna da porre in esecuzione. A fronte del complessivo dato normativo – che si richiama ai periodi di detenzione sofferti “per altro reato”, ovvero “per un reato diverso” – la difesa ha sostenuto che, nel caso di riconoscimento della continuazione, si tratti di reato unico, piuttosto che di concorso di reati; deriverebbe da tale unificazione, quindi, la non applicabilità della regola fissata dall’art. 657 cod. proc. pen.
2.3. Questa Corte, però, ha ripetutamente precisato che il dettato di cui al comma secondo dell’art. 657 cod. proc. pen. – la cui lettera si riferisce ai casi di
V.’
condanna revocata e di amnistia impropria e di indulto – si applica anche nel caso di riconoscimento della continuazione in executivis, che può porre la questione della fungibilità, o meno, di pena espiata (Sez. 1, n. 1680 del 06/03/2000, Palomba, Rv. 216418). Vi è anche concordia di opinioni, nella giurisprudenza di legittimità, in ordine alla regola secondo cui – nel caso di riconoscimento in fase esecutiva della continuazione – occorre procedere alla scissione del reato continuato, considerando separatamente ciascuna delle condanne che siano state inflitte, nonché tenendo conto della data di consumazione di ciascun reato, in seguito unificato sotto il vincolo della continuazione (Sez. 1, n. 13646 del 12/02/2019, COGNOME, Rv. 275327; Sez. 1, 23/02/2018, COGNOME, Rv. 273133; Sez. 1, n. 6072 del 24/05/2017, COGNOME, Rv. 272101; Sez. 1, n. 45259 del 27/09/2013, COGNOME, Rv. 257618; Sez. 1, n. 8109 del 11/02/2010, COGNOME, Rv. 246383; Sez. 1, n. 25186 del 17/02/2009, COGNOME, Rv. 243809; si richiama, altresì, il dictum di Sez. 1, n. 17531 del 22/02/2023, COGNOME, Rv. 284435 – 01, secondo cui: «Il riconoscimento del vincolo della continuazione tra reati in sede esecutiva, con la conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale, non comporta che la differenza residua possa essere automaticamente imputata alla pena da eseguire, a ciò ostando la disposizione di cui all’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., per cui vanno computate a tale fine solo la custodia cautelare o le pene espiate “sine titulo” dopo la commissione del reato e dovendosi conseguentemente scindere il reato continuato nelle singole violazioni che lo compongono»).
La consolidata affermazione di questa Corte, quindi, è nel senso che la continuazione realizzi una particolare modalità di concorso di reati, che – in punto di determinazione della pena – viene considerato, ai sensi dell’art. 81 cod. pen., in maniera unitaria. Si è anche precisato che – in sede di considerazione di aspetti specifici, che non trovino espressa disciplina normativa – la valutazione unitaria del reato continuato sia consentita solo ove determini effetti favorevoli al reo (Sez. 1, n. 13003 del 10/03/2009, COGNOME, Rv. 243140).
2.4. È necessario, allora, considerare la specifica disciplina del computo delle pene nella fase esecutiva, al fine di verificare se sia consentita una considerazione unitaria, favorevole al condanNOME, del reato continuato.
E da questo punto di vista, i dati sicuramente rilevanti sono la data di consumazione di ciascun reato e la relativa pena, che sia stata inflitta con la sentenza di condanna, ovvero che sia stata oggetto di rideterminazione conseguente al riconoscimento, in executivis, del vincolo della continuazione. Ne segue che è ricavabile una chiara indicazione del legislatore, nel senso che il reato continuato va considerato come concorso di reati, con conseguente rilievo della
data di consumazione di ciascun reato e della porzione di pena inflitta in relazione a ciascun reato.
Il Collegio intende dare continuità, in sostanza, all’orientamento secondo il quale – anche nel caso di riconoscimento della continuazione – ai fini del computo della pena da eseguire, è necessario considerare ciascun reato, nonché la relativa data di consumazione e la relativa porzione di pena inflitta ed espiata.
Sono pertanto rilevanti, ai fini dell’applicazione della norma di cui all’art 657, comma 4, cod. proc. pen., solo la data di commissione del reato, cui si riferisce la condanna in esecuzione e le date che definiscono il periodo di carcerazione sofferta sine titulo (Sez. 1, 18/02/1994, COGNOME, Rv. 196831; Sez. 1, 11/05/2006, COGNOME, Rv. 234444; Sez. 1, 14/09/2017, COGNOME, Rv. 272292). In tal senso depone il dato letterale della norma, che limita il computo per fungibilità alla detenzione subita “dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire”, senza dar rilevo alla data in cui viene pronunciato il provvedimento che accerta la ingiustizia della detenzione. La norma, peraltro, è già stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale (sentenza n. 198 del 2014 e ordinanza n. 117 del 2017).
Tanto chiarito, al solo fine di richiamare le coordinate teoriche rilevanti per la soluzione della questione giuridica, ritiene il Collegio che le doglianze difensive siano meramente contestative e marcatamente aspecifiche. E infatti, la motivazione dell’ordinanza impugnata è esente da censure e applica correttamente la norma, laddove l’operatività dell’istituto della fungibilità limitata alla custodia cautelare e alle pene espiate sine titulo dopo la commissione dello specifico reato, in relazione al quale deve essere effettuata la determinazione della pena da eseguire.
Il ricorrente, al contrario, propone una lettura della norma palesemente impropria, che tende a valorizzare il dato della permanenza del reato – nel periodo intercorrente tra le due condanne – al fine di far presumere che, in tale arco temporale, il soggetto si sia reso protagonista di altro reato associativo, magari frutto di medesima ideazione preventiva rispetto al primo. Generica e reiterativa, infine, è la doglianza attinente ad u preteso errore in sede di determinazione della pena da espiare.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre che di una somma, che si stima equo fissare in euro tremila, in favore della Cassa delle ammende (non ricorrendo elementi per ritenere
iI ricorrente esente da colpe, nella determinazione della causa di inammissibilità, conformemente a quanto indicato da Corte cost., sentenza n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2024.