Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 36681 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 36681 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nata a Avezzano il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 24/04/2025 del Tribunale di Caltanissetta; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 24 aprile 2025, il Tribunale di Caltanissetta ha accolto parzialmente, riducendo l’importo del sequestro per equivalente nei confronti di COGNOME fino alla concorrenza di euro 92.635,49, il riesanne proposto dalla ricorrente avverso il decreto di sequestro preventivo del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Caltanissetta del 14 marzo 2025, finalizzato alla confisca, sino alla concorrenza dell’importo di euro 555.812,96, di beni mobili, immobili, somme di denaro giacenti su conti correnti o depositi o su qualsiasi altro tipo di rapporti bancari intestati o cointestati, riconducibili alla ricorrente comunque nella disponibilità di costei, in relazione al reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, per aver NOME COGNOME, nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE dal 29/01/2020 al 26/03/2020, in concorso con altri soggetti, in forza di simulati contratti di appalto stipulati con alcune imprese, al fine di consentire a queste ultime di evadere l’imposta sul valore aggiunto, emesso fatture per operazioni inesistenti per l’importo complessivo di euro 1.620.086,34 dal 21/01/2020 al 08/09/2020.
Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidandosi a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione di legge in relazione all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., per motivazione apparente ed erronea in ordine al fumus commissi delicti, mancando la specificazione del ruolo ricoperto dalla ricorrente nel reato contestato, nonché la specificazione di una reale consapevolezza dell’emissione delle fatture per operazioni inesistenti.
Deduce la difesa che, essendo stata la ricorrente rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE dal 29/01/2020 al 12/03/2020, non può desumersi il suo coinvolgimento nell’attività illecita dal mero – status di legale rappresentante ricoperto in un periodo così limitato, considerando che alcune fatture sono state emesse il 31/01/2020 e che i contratti di appalto oggetto di contestazione sono stati stipulati in epoca non coincidente con quella in cui l’indagata ha ricoperto la carica di amministratrice, sicchè quest’ultinna non aveva la minima consapevolezza del presunto intento fraudolento.
Quanto all’elemento soggettivo del dolo specifico, lamenta la ricorrente che. il Tribunale ha impostato il decisum sull’avvenuta accettazione del ruolo di amministratrice e per non aver impedito l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire ovvero nel mancato esercizio dei poteri di gestione della società e di controllo sull’operato dell’amministratore di fatto, elementi insufficienti, essendo necessario provare la consapevolezza nel prestanome della inesistenza delle operazioni, supportata dall’intenzione di evadere le imposte.
La difesa richiama, poi, la decisione di legittimità n. 36107 del 04/06/2024, con la quale è stata annullata la decisione del Tribunale dei riesame di conferma di un precedente decreto di sequestro preventivo in relazione al reato di cui all’art. 10-quater d.igs. n. 74 del 2000, rimarcando a) la impossibilità di individuare lo specifico frammento di azione criminosa commessa dalla ricorrente, non essendo sufficiente la emissione delle 11/12 fatture per operazioni inesistenti, di cui la ricorrente non poteva essere a conoscenza, b) il mancato riferimento alla ricorrente nelle dichiarazioni dell’indagato NOME NOME COGNOME che ha confermato il meccanismo fraudolento, c) la mancata specificazione delle date di utilizzazione dei falsi crediti in compensazione che, in ogni caso, risalivano ad epoca anteriore rispetto a quella in cui la ricorrente aveva rivestito la crica di amministratrice della società.
2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione di legge in relazione all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., per motivazione apparente ed erronea in ordine al periculurn in mora, per non aver indicato le ragioni che rendono necessario anticipare l’effetto ablativo prima della definizione del giudizio e per aver fornito una errata interpretazione della nozione di profitto del reato, ritenendo soddisfatto solo in via presuntiva l’onere di accertare il profitto del reato concretamente riconducibile alla ricorrente, non essendo emerso alcun rapporto diretto tra i coindagati, specie per la ricorrente che ha ricoperto la carica di amministratrice per soli 44 giorni.
Deduce la difesa che il sequestro per equivalente presuppone l’accertamento che il detentore dei beni abbia incamerato il profitto, mentre non risulta che la ricorrente abbia mai percepito alcun profitto dal reato, sottolineando che ha cessato la sua brevissima carica di amministratrice il 12 marzo 2020, non ricoprendo, da allora, altre cariche societarie e non essendo sottoposta ad ulteriori procedimenti penali sul territorio nazionale come legale rappresentante di società appaltatrici.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In via preliminare deve richiamarsi la costante affermazione di questa Corte secondo cui il ricorso per cassazione contro le ordinanze in materia di appello e di riesame di misure cautelari reali, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso per sola violazione di legge, in tale nozione dovendosi ricomprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29/5/2008, COGNOME, Rv. 239692;
conf. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, COGNOME, Rv. 269296; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, COGNOME, Rv. 245093). Ed è stato anche precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e ritern logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, COGNOME, Rv. 254893).
Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell’atto.
Sempre in premessa è necessario rammentare che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione, mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, bkani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269296; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, COGNOME, Rv. 254893; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, COGNOME, Rv. 245093).
Resta, dunque, esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 18521 dell’11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. .40350, del 05/06/2014, NOME, non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massinnata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 dell’11/01/2007, Messina, Rv. 235716).
Tanto premesso, il primo motivo di ricorso è fondato e il secondo motivo conseguentemente assorbito, in conseguenza della natura pregiudiziale del primo motivo, dovendo ritenersi che, nel caso di specie, rispetto alla valutazione del fumus commisi delicti, il Tribunale del riesame abbia solo apparentemente illustrato le ragioni poste a fondamento della propria decisione di conferma del sequestro preventivo adottato dal G.I.P.
Il Tribunale cautelare, infatti, dopo aver richiamato gli elementi già valorizzati dal giudice per le indagini preliminari nel provvedimento genetico in tema di fumus
commissi delicti in relazione al meccanismo fraudolento illecito posto in essere, consistito nell’aver le società appaltatrici – una di esse legalmente rappresentata dalla ricorrente nel periodo 29.01-26.03.2020, come indicato in imputazione assunto fittiziamente lavoratori e, conseguentemente, stipulato fittizi contratti di appalto di servizi, in favore di società committenti che, in realtà, esercitavano sul personale un potere datoriale, anche perché i lavoratori impiegati presso le committenti erano i medesimi dipendenti delle imprese committenti prima della stipula dei fittizi contratti di appalto, indotti a dimettersi ed a stipulare un nuovo contratto di lavoro con le imprese appaltatrici, ha affermato che i contratti di appalto celavano, pertanto, una mera somministrazione di manodopera al fine di rendere imponibile VIVA: la mera somministrazione di manodopera, infatti, non è rilevante ai fini IVA, mentre il contratto di appalto lo è. Sviluppando ulteriormente il meccanismo si ha che, mentre le imprese appaltatrici emettevano fatture per operazioni inesistenti e assolvevano gli oneri tributari tramite una indebita compensazione di crediti inesistenti, le imprese committenti eludevano l’assolvimento degli oneri tributari connessi al rapporto di lavoro e maturavano un credito IVA che non avrebbero maturato se il contratto avesse avuto ad oggetto la somministrazione di manodopera, riuscendo così ad abbattere l’imponibile, imputando il costo del lavoro ad un costo di servizi.
Gli elementi richiamati, tuttavia, non offrono una risposta completa alle obiezioni difensive, limitandosi a rimarcare che, nel periodo – estremamente breve – in cui la ricorrente aveva ricoperto la veste di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, erano state emesse dodici fatture per operazioni inesistenti, senza individuare ulteriori elementi di fatto che, in considerazione del periodo estremamente limitato di svolgimento delle funzioni di amministratrice e del numero, anch’esso di per sé non rilevante, delle fatture emesse, attestino il coinvolgimento della ricorrente nel descritto meccanismo illecito di mera somministrazione di manodopera, tanto più che la stipula dei contratti di appalto, in esecuzione dei quali erano state emesse le fatture per operazioni inesistenti, risaliva ad epoca anteriore a quella in cui la ricorrente era subentrata nella carica di legale rappresentante della società appaltatrice.
Né può valere, in contrario, il riferimento che l’ordinanza impugnata fa al principio giurisprudenziale secondo cui, in tema di reati tributari, il prestanome risponde in ragione della condotta omissiva posta in essere, consistente nel non aver impedito, ex art. 40, comma 2, cod. pen., l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire, e cioè nel mancato esercizio dei poteri di gestione della società e di controllo sull’operato dell’amministratore di fatto, connaturati alla carica rivestita, sia perché nulla in atti (né l’addebito, né le argomentazioni dei provvedimenti cautelar’, né le deduzioni delle parti) conduce ad affermare che la ricorrente fosse un prestanome, sia perché l’argomento del mancato controllo, in
ragione della carica ricoperta, in mancanza di ulteriori elementi di fatto indica della consapevolezza, nella ricorrente, della inesistenza delle operazioni indica nelle fatture, si traduce in un rimprovero per colpa, per violazione del dovere diligenza, non sufficiente per la integrazione dell’elemento soggettivo del do specifico richiesto dalla norma di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, ovveros consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto.
Sotto gli specifici punti evidenziati, pertanto, la motivazione resa d Tribunale del riesame di Caltanissetta ha mancato di fornire risposte adeguate all analoghe censure sollevate nell’istanza di riesame e non può che considerarsi mancante, per cui il provvedimento oggetto di ricorso deve essere annullato, dovendo il Tribunale del riesame, alla luce delle acquisizioni investigati disponibili, riesaminare la vicenda, illustrando compiutamente se gli elementi acquisiti integrino la sussistenza del fumus commissi delicti con riferimento allo specifico addebito mosso, nella provvisoria incolpazione, nei confronti della ricorrente.
L’ordinanza impugnata, pertanto, va annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Caltanissetta, competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod proc. pen., che provvederà a riesaminare la vicenda, attenendosi a quanto deciso da questa Corte.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Caltanissetta competente ai sensi dell’art. 324, co. 5, c.p.p. Così deciso nella camera di consiglio del 14/10/2025.